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«E l’eutanasia?»

Halden incrociò le braccia. «Basta così, stiamo andando fuori tema. Skerry, la tua presenza nel gruppo ci farebbe molto piacere. Se ti serve un po’ di tempo per decidere, non hai che da dirlo. Ma con te o senza di te, noi andremo avanti comunque.»

Andie seguiva, affascinata, lo svolgersi di quelle discussioni. Vampate mentali? Si ripromise di chiedere lumi a Skerry.

«Altra questione di primaria importanza è, naturalmente, l’indagine in corso sul delitto», dichiarò Halden. «Non sappiamo ancora né per conto di chi abbia agito l’omicida, né quale sia la vera causa della sua morte. Ed è già trascorsa più di una settimana dall’assassinio di Eleanor Jacobsen.»

«Halden, servirci di canali ufficiali per ottenere questo genere di informazioni non ci sta portando a nulla», osservò Michael Ryton. «Forse è giunto il momento di ricorrere a sistemi non ufficiali.»

«In pratica, cosa suggeriresti? Di scendere in piazza compatti a manifestare, esigendo da governo e polizia circostanziate spiegazioni?…»

«Perché no? Ti sembra forse meglio starcene zitti e buoni ad aspettare che ci ammazzino tutti i nostri rappresentanti?» Diversi membri del clan annuirono, e alcuni manifestarono a gran voce il loro assenso.

Andie volse in giro per la sala uno sguardo preoccupato. Con quell’umore che volgeva al peggio, aveva quasi l’impressione che tutti la guatassero furibondi.

«Michael, è la collera che ti fa parlare», ribatté Halden. «Capisco benissimo come ti senti, ma dobbiamo procedere con cautela. Condurremo senza dubbio una nostra indagine sulla morte di Eleanor Jacobsen. Per ora, comunque, propongo di discutere la candidatura del suo successore, visto che devo a breve scadenza conferire in proposito col governatore Akins.»

«E io propongo che la signorina Greenberg se ne vada ad aspettare di sopra», intervenne Zenora. «Quel che aveva da condividere era interessante, ma non credo che il resto del nostro incontro la riguardi in alcun modo.»

Andie trasalì. L’ostilità che grondava dalla voce di quella bruna, corpulenta, iraconda femmina mutante la faceva rabbrividire.

«Non avevo intenzione di intromettermi», disse. «Vogliate scusarmi.» E se ne andò su per le scale, chiudendosi la porta dietro.

«Zenora, quando imparerai a tenere un po’ a freno il tuo caratteraccio?» inquisì Halden in tono severo.

Lei puntò addosso a suo marito uno sguardo bellicoso. «Non c’è alcuna necessità che le normali che Skerry si porta a letto vengano a immischiarsi nelle nostre faccende private!»

Michael si sentì imbarazzato per sua zia. Non aveva mai visto Zenora in preda a una simile irritazione. Che incominciasse anche lei a soffrire di vampate mentali?…

«Dedichiamoci al problema della successione», suggerì James Ryton.

L’immagine di un uomo in abiti color marrone chiaro, gran massa folta e arruffata di capelli castani, sorriso beffardo e forte mascella quadrata, apparve nella mente di Michael. Aveva un’aria familiare.

«Questo è Stephen Jeffers», spiegò Halden. «Come forse ricorderete, fu in lizza contro Eleanor Jacobsen alle primarie per il Senato. Essendo stato sconfitto, si trasformò in un valido sostenitore della campagna elettorale della sua ex avversaria. Fa da dieci anni l’avvocato a Washington, ma ha conservato la residenza nell’Oregon. Ha lavorato con la senatrice Jacobsen in numerose occasioni. È serio, fidato, stimato anche dai normali.»

Mentre l’immagine svaniva, Michael ricordò di aver visto Jeffers in primavera, quando insieme a suo padre si era recato nell’ufficio di Eleanor Jacobsen. A lui pareva buona, come scelta.

«Sì, ci è capitato d’incontrarlo», disse James Ryton. «Politicamente com’è?»

«Aggressivo. Vuole far abrogare il Principio d’Imparzialità… Sebbene, ovviamente, abbia portato avanti anche alcuni dei programmi di conciliazione propugnati da Eleanor.»

«Sarebbe ora», intervenne Ren Miller. «Sono francamente stufo di tutti questi penosi tentennamenti. Secondo me dovremmo pretendere più rappresentanza. Più voce. Che diavolo ci sta a fare l’Unione mutante, se poi non ce ne serviamo?»

«E cosa mai ci vorresti dire, con questa voce?» Ryton era in piedi, ora, e fissava Miller con aria di sfida. Il robusto giovanotto gli restituì lo sguardo, sollevandosi dalla sedia e appoggiandosi sui nerboruti avambracci.

«Ne ho pieni i coglioni d’inchinarmi davanti a questi normali… a questi inferiori!» La voce di Miller rimbombò nella stanza.

«E quindi ci vorresti mettere tutti quanti in pericolo! Ma sei impazzito?» Anche Ryton, adesso, gridava.

«In alternativa che cosa ci rimane?» ribatté Miller. «Lasciare che ci ammazzino impunemente? E poi andargli per giunta a leccare i piedi, scongiurandoli se per favore, anzi, per carità, si degnano di far sapere qualcosina pure a noi disgraziati?»

Michael scattò su, pronto a recare aiuto a suo padre se per caso Miller l’avesse aggredito. Voci furibonde si gonfiavano tutt’intorno prendendo vigore dall’alterco, ma il ruggito di Halden risuonò ancora più forte.

«James! Ren! Fatela finita!» Il Custode del Libro balzò in piedi rovesciando a terra la propria sedia. Halden era uno dei più formidabili telepati dell’intero clan, e lo dimostrò una volta ancora proiettando una bordata di echi mentali a rimbalzare nei cervelli di tutti i presenti finché, nell’intera sala, non rimase un solo paio di occhi dorati che non fosse puntato su di lui.

«Ne abbiamo già ampiamente discusso altre volte», dichiarò in tono alquanto più calmo. «Non siamo abbastanza forti per poter avanzare pretese. L’unico risultato che otterremmo consisterebbe nell’alienarci gran parte dell’opinione pubblica senza in compenso ricavarne nulla. Qualche piccolo passo avanti l’abbiamo fatto, ma dobbiamo procedere con estrema cautela.»

Michael si rimise a sedere. Halden aveva ragione, pensò.

«Se non siamo neppure capaci di ragionare con calma fra di noi, non abbiamo alcun diritto di aspettarci ascolto, comprensione e collaborazione da parte di estranei», proseguì Halden volgendo attorno lo sguardo sull’assemblea ammutolita. «Trovo molto preoccupante questa crescente arroganza nei confronti dei normali. Voglio ricordarvi che siamo tutti esseri umani, ciascuno provvisto di sue peculiari capacità. Non mi stancherò mai di mettere in guardia contro i pericoli della presunzione.»

«Be’, in tal caso fareste meglio a non scegliere Jeffers», avvertì Skerry. «… A meno che non andiate in cerca di guai.»

Halden raddrizzò la sua sedia e ci si ripiazzò. «Perché dici così?»

«Perché Jeffers è più conservatore di quanto crediate.»

«Smettila di parlare per enigmi», intervenne James Ryton massaggiandosi la fronte.

Skerry posò la tazza sul tavolo. «Possibile che non disponiate di altri candidati? Ad esempio proprio tu, Halden?…»

Halden scosse la testa. «È un lavoro che non voglio e per il quale non sono portato.»

«Ma in effetti cosa ne sapete, di Stephen Jeffers?» domandò Skerry.

«Gode di buona reputazione. Negli ultimi tempi ha un poco disertato le riunioni di clan, però è comunemente ritenuto individuo diligente, cauto e responsabile.»

«Secondo me dovreste scegliere qualcuno meglio conosciuto e più collaudato. Personalmente non mi fido di lui.»

Ryton scostò la sua sedia dal tavolo. «Direi che provenendo da te è davvero un bel complimento.»

Skerry fece finta di nulla. «… E vi chiedo, se potete, di credermi sulla parola. Che ne dite?»

«Eppure lo sai che potremmo obbligarti a condividere con noi», minacciò Zenora in tono iroso.

«Violenza mentale? E con l’appoggio di quale esercito mutante?» li sfidò Skerry a voce alta, sprezzante. «Non dimenticare che sono uno dei più forti, qui. Sei proprio sicura di volermi mettere alla prova?»