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«Direi che si tratta di un’ottima idea», commentò cauta. «Susciterebbe la benevolenza degli elettori onorando, al tempo stesso, la memoria della senatrice Jacobsen.»

Jeffers annuì. «Proprio quello che pensavo anch’io.»

«Come intende regolarsi con la relazione sul viaggio in Brasile?»

L’altro le rivolse un’occhiata interrogativa. «La relazione sul viaggio in Brasile? Temo di non saperne granché, sull’argomento.»

«Ma sì, l’indagine ufficiosa sugli esperimenti genetici in Brasile.»

«Bisognerà che tu mi ragguagli in proposito, Andie. Stai comunque certa che vorrò prendere parte anch’io alla comunicazione, in rappresentanza di Eleanor.»

Bene, pensò Andie. Poi, rivolta a Jeffers: «Prevede di seguire da vicino l’indagine sull’uccisione di Eleanor?»

Lui si accigliò. «Si capisce. Anzi, puoi star certa che vi parteciperò attivamente. Dobbiamo assolutamente scoprire i moventi del delitto, chi è stato ad assoldare l’assassino, quel Tamlin, e perché. Voglio assicurarmi che tutti comprendano bene che la caccia ai mutanti è finita.» Nella sua voce era emersa all’improvviso un’inflessione di estrema durezza, che fece correre un brivido per la schiena ad Andie. Lo sguardo di Jeffers parve per qualche istante perdersi lontano. Poi egli tornò a rivolgersi a lei, e i suoi occhi persero quell’espressione assente. Le sorrise.

«Ma che senatore musone, eh? Abbi pazienza, Andie. Sono inciampato in un brutto ricordo, tutto qui. Non farci caso. C’è tantissimo da fare, e sono ansioso di mettermi al lavoro.» Tese un braccio attraverso il tavolo, e le prese la mano. Lei constatò che le sue unghie erano curatissime, impeccabili. «Ho la certezza che insieme saremo capaci di grandi cose. Non tradiremo la memoria di Eleanor.»

Andie annuì. «Ne sono convinta anch’io.» Due i casi: o quell’uomo era il più scaltro politicante che le fosse mai capitato d’incontrare, oppure doveva essere assolutamente sincero. E quando si accorse che lui indugiava lungamente a tenerle la mano, Andie incominciò a pensare che il suo nuovo capo stava facendo di più che tentare di stringere un patto con una impiegata preziosa. Quel che la preoccupava, comunque, non erano i suoi modi seducenti, bensì il fatto di non essere per nulla sicura che le dispiacessero…

Melanie si stirò voluttuosamente, rigirandosi poi nel letto in cerca del calore di Ben. Quando ebbe inutilmente esplorato fino al bordo opposto, comprese che lui non c’era più. L’orologio a muro segnava le cinque del mattino. La camera era ancora immersa nell’oscurità. Dove poteva essere andato?

Sbadigliando, zampettò nuda fino in bagno e bevve un bicchier d’acqua. Ammiccando nella luce vivida si guardò allo specchio. Nel caldo chiarore rosato si vide trasformata: più matura, più donna. Viveva con Ben da ormai due mesi. Si sentiva tranquilla e soddisfatta. Ogni notte, a letto, lui pareva aver qualcosa di nuovo da insegnarle. E lei era felice di compiacerlo.

All’inizio aveva temuto di rimanere incinta, ma, dopo la visita al ginecologo, Ben le aveva assicurato che non era più il caso di starsi a preoccupare. Lo specialista le aveva inserito un blocco ovulare efficace per due anni. Melanie non l’aveva mai sentito nominare, quel metodo, ma se Ben diceva che era sicuro, allora così doveva essere. Non foss’altro che per tutto il tempo che c’era voluto a installare il complicato dispositivo. In quei momenti, mentre se ne stava lì rassegnata coi piedi immobilizzati dentro quelle dannate staffe, le era parso che il dottore avesse intenzione di continuare a trafficarle dentro per un anno intero.

Uscì nel corridoio e vide un filo di luce filtrare da sotto la porta della stanza privata di Ben. Ebbe l’impressione di udire delle voci. C’era gente che parlava?

«Ben?» Bussò alla porta. Niente risposta. «Ben? Lo so che sei lì dentro. Che stai facendo?»

La porta si aprì e Ben, il volto paonazzo contratto in una maschera di rabbia, l’afferrò brutalmente per le spalle.

«Mi stai rovinando una telefonata d’affari!» la investì. «Tornatene a letto!» E intanto la ricacciava a spintoni verso la camera.

«Ben? Ma che ti è preso?»

«Sto lavorando, accidenti a te! Fila subito via di qui!» E si richiuse dentro sbattendo la porta.

In lacrime, chiedendosi cosa mai avesse fatto di male, lei se ne tornò di corsa a letto. Rimase lì a singhiozzare per quelle che le parvero ore intere, finché nell’oscurità precedente l’alba non lo sentì accanto a sé, che la toccava gentilmente.

«Mel? Scusami. Il fatto è che mi hai interrotto nel bel mezzo di una delicata trattativa.»

«Alle cinque del mattino?»

«Questione di fusi orari. Promettimi di non immischiarti più, d’accordo?»

Si girò a fronteggiarlo. «Mi impiccio forse mai dei tuoi affari?»

«No.»

«Mi mancavi, tutto qui, e ho voluto vedere dov’eri.»

«Mi spiace di essermi adirato a quel modo.» La abbracciò. Mel sentì le sue dita incominciare a operare la loro magia su di lei.

Due giorni dopo, tornando a casa dal lavoro un po’ in anticipo, udì delle voci provenire dal fondo dell’appartamento.

«Ben?»

Nessuna risposta.

Si avvicinò in punta di piedi allo studiolo. La porta era aperta. Ben stava parlando per telecom con qualcuno la cui voce le risultò ignota.

«Cerca di non dedicartici troppo», disse la voce maschile.

«Non preoccuparti. E poi è tutto a vantaggio tuo, no?»

«Be’, proprio tutto tutto non direi…»

Scoppiarono a ridere entrambi.

«Che tipo è?»

«Inesperta. Ma appassionata e intraprendente. Come facevo a dirle di no, dopo che me la sono ritrovata dentro il letto?»

Melanie incominciò a tremare. Possibile che Ben stesse parlando di lei con quel tono sbrigativo e beffardo?

«Mi sai dire come hai fatto a trovarla?»

«Un colpo di fortuna», rispose Ben. «Mi è capitato di passare da quel club. Ci crederesti che Tamlin stava cercando di strangolarla?»

«Pezzo d’idiota. C’è da stupirsi che poi sia riuscito a colpire nel segno.»

«Già. Anche se in effetti ha sbagliato comunque.»

Tamlin. L’uomo che aveva ucciso Eleanor Jacobsen, pensò Melanie.

«Bah, inutile preoccuparsi per lui», disse la voce estranea. «Piuttosto, quanto ci vorrà, ancora, per avere la ragazza?»

«Sai, a dire il vero mi scoccia un poco darla via adesso che le ho insegnato tante cosette…»

Altra risata.

No, pensava Melanie. No. No. No.

«Via, non essere ingordo, Ben. Sarai ben ricompensato. Può darsi addirittura che te la restituiamo, quando avremo finito con lei. Ma al momento c’è un dottore, in Brasile, che è ansioso di fare la sua conoscenza.»

«Pensavo che quella fornitura di uova li avrebbe tenuti occupati per un anno.»

«Ne vogliamo altre. Ascolta, sei sicuro che non l’abbiano seguita?»

«Assolutamente. Ho controllato subito dopo averla portata qui.»

«Ottimo. Allora preparala. Ci serve entro una settimana.»

«D’accordo. Le dirò che andiamo in vacanza.»

Mel indietreggiò vacillando, sbigottita. Quasi non riusciva a credere alle sue orecchie. Scappare. Doveva scappare. Che cosa volevano farle? Uova? Brasile? Si sentì prendere da una nausea violenta. Facendosi forza riuscì in qualche modo ad aprire la porta d’ingresso, incamminandosi quindi precipitosamente sullo spesso tappeto beige del corridoio esterno.

«Mel? Sei tu, Mel?» Udiva, in lontananza, i richiami di Ben. Poi la porta dell’ascensore si richiuse. Col cuore in gola, indirizzò la cabina al parcheggio sotterraneo.

Scappare. Nient’altro. Avrebbe preso il libratore e sarebbe tornata a casa. Dai suoi genitori. Doveva raccontare loro ciò che aveva udito.