«Ciao. Bevi qualcosa?» Skerry premette un pulsante sul tavolino, e l’erogatore riempì un bicchiere per Michael.
«Allora, che succede?»
Skerry assunse un’espressione disgustata. «Succede che stavolta l’hanno combinata davvero grossa.»
Michael sorseggiò lentamente l’aggressiva mistura, godendosi la punta vigorosa della componente alcolica.
«Cosa vorresti dire?»
«Voglio dire, caro cugino, che Stephen Jeffers non è affatto quello che sembra.»
«No? E allora che cos’è?»
«Ambizioso. Pericoloso.» Skerry si abbandonò ancor più comodamente fra le soffici braccia del sedile.
«Ambizioso? Non direi che sia poi un così gran difetto. A me pare un tipo in gamba. È stato nominato a larghissima maggioranza. E poi sono stufo di questi mutanti che vanno in giro in punta di piedi stando attenti a non infastidire i normali. Come fai a sapere che è un tipo pericoloso?»
Skerry finì di scolare il suo bicchiere e ne ordinò un altro. «Be’, sono entrato senza bussare e ho dato un’occhiatina… ovvio, no?»
Michael rimase a bocca aperta. «Che cosa hai fatto?»
«Risparmiami le facce scandalizzate, ragazzo. Tanto è probabile che tu non mi creda lo stesso. Comunque ti dico che quel tizio cova vibrazioni balorde.»
«Di che genere?»
«Si dà il caso che sia uno di quei sostenitori della supremazia mutante. Odia i normali.»
«E con ciò? Metà membri del clan la pensano allo stesso modo. E la maggior parte dei normali contraccambiano, non ti pare?»
«Può darsi. Ma a livello di cariche pubbliche sarebbe meglio avere qualcuno con meno pregiudizi. Qualcuno che sappia trattare affabilmente coi nonmutanti. I fanatici mi rendono nervoso.»
Michael bevve un altro sorso. «Se sei davvero così preoccupato, perché non ne hai parlato chiaramente in assemblea?»
«Ci ho provato. Ma non posso forzare oltre un certo limite il nostro refrattario gruppetto. Altrimenti mi faranno la festa. O per lo meno tenteranno, e io mi difenderò, e saranno dolori. Devi tener presente che non hanno nessuna voglia di credermi. Jeffers gli piace troppo. E poi sono tutti ansiosi di lasciarsi alle spalle questa brutta storia dell’assassinio. Di conseguenza, adesso Jeffers è senatore.» Skerry si versò un altro bicchiere del rosso beveraggio e rimase a fissarlo con aria immusonita.
«Su, Skerry, smettila di angustiarti. Vedrai che Jeffers non sarà la gran catastrofe che pensi tu. E poi abbiamo bisogno di qualcuno che occupi per noi quel seggio in Senato.»
«Non ne dubito. Meglio lui che Zenora, comunque.»
«A proposito, si può sapere che cos’è successo fra voi due?» Anche Michael ricorse all’erogatore.
«Tre anni fa, dopo la grande assemblea, la cara zietta mi si mise appresso con chiari intenti.»
«Zenora?»
Skerry annuì. «Bevuto troppo, o chissà che altro. Forse lei e Halden avevano dei problemi. Vai a capire. All’inizio provai a far finta di nulla. Ma lei era piuttosto insistente. Così, a un certo punto, finì che la presi sul serio. Ehi, non guardarmi in quel modo, ragazzo. Sono cose che succedono. E ti dirò che fra di noi le cose filarono anche piuttosto lisce. Comunque venne il momento che ci diedi un taglio. Non avevo nessuna voglia di creare casini. Cercai di sganciarmi senza far tragedie, ma lei non la prese per niente bene. E ancora non le è passata. È uno dei motivi per cui me ne sto alla larga. Chi scorna un mutante la paga in contante, è il mio motto. Non dir niente ad Halden, d’accordo?»
«Stai tranquillo.» A Michael l’idea della maestosa, solenne zia Zenora che faceva il filo a un uomo più giovane, Skerry in particolare, parve ridicola. E penosa. Ridletté inoltre che Halden, probabilmente, sapeva tutto. C’erano pochi segreti, nel clan.
«Bene, e adesso cos’hai in vista?»
«Il Canada.» Skerry sbatté sul tavolo il bicchiere vuoto. «Vado al nord fra un paio di giorni. Volevo sapere se la cosa t’interessava. Potresti usare le tue capacità. Non venirmi a dire che lavorare in ditta col tuo vecchio non ti rompe le palle tremendamente.»
Michael annuì con aria afflitta. «Be’, non è il caso di esagerare…»
«Coraggio, vieni via con me.»
Michael rimase un poco in silenzio, col bicchiere sollevato a metà. Che tentazione, pensava. Lasciar perdere per sempre casa e clan… Smetterla di preoccuparsi per i contratti governativi e le tradizioni mutanti…
Skerry si sporse verso di lui. «Diciamo che esiste un certo numero di noi che si occupa, dietro le quinte, delle questioni mutanti. Un’efficiente organizzazione sotterranea. Ma con Jeffers a Washington, e l’Unione mutante che ricomincia a digrignare i denti, sarà bene scavare anche più a fondo. Bisognerà tenerlo d’occhio. E poi c’è sempre la minaccia del supermutante.»
«Be’, la cosa, in effetti, un po’ mi attrae…» ammise Michael posando il bicchiere. Perché no? pensava. Perché non partire? E lavorare con Skerry… E sottrarsi agli angusti confini del mondo mutante… Insomma, stava quasi per dire di sì, quando gli venne in mente Kelly. Ripensò alla sua pelle di seta. Ai suoi occhi scintillanti nel sorriso. Al calore che la sua risata gli trasfondeva nell’animo e nelle membra. Abbandonarla? Impossibile.
Aggrottando le sopracciglia, Skerry fece una smorfia di compatimento. «Inutile che cerchi di spiegare. Lo so già da me, non hai altro in testa che quella piccola normale che ti ha messo il fuoco nelle vene. Accidenti a te, Mike, smettila di pensare coi tuoi ormoni!»
«Mi mancherebbe terribilmente», si giustificò Michael arrossendo.
«La dimenticheresti in sei mesi», ribatté Skerry. «E incontreresti donne vere. Esotiche, eccitanti, esperte…»
«Lascia perdere, Skerry. Non è roba per me. Non ora, comunque.»
Un numero prese a lampeggiare nel cervello di Michael, cifre verdi ammiccanti dietro le pupille.
«Caso mai cambiassi idea, puoi lasciarmi un messaggio a quel codice. Pensaci, cugino. Adios.»
Tutt’intorno al tavolo l’aria fu percorsa da un tremolio. Michael sbatté le palpebre. Era rimasto solo nel separé. Sospirò, finì la bevanda, pagò alla cassa automatica, uscì.
Quando giunse a casa trovò fermo sul vialetto un libratore azzurro dal basso muso filante, e vide che il portoncino d’ingresso era aperto. In preda a un vago turbamento, varcò la soglia guardingo.
In soggiorno gli altoparlanti diffondevano una nenia inconsueta, pulsante, quasi inaudibile. Michael si accigliò. Percepiva, aleggiante intorno, l’aroma acre di uno spinello. Le luci erano talmente basse che riuscì appena a intravvedere una figura femminile seduta sul divano.
«Mel?»
Per tutta risposta, una lieve risata argentina.
«Kelly?»
«Ma no, sciocco, sono io, Jena.» Si alzò e gli andò incontro. Indossava un attillato monopezzo in plastipelle turchina che metteva in evidenza la sua corporatura snella, le lunghe gambe. Bionde chiome fluenti sulle spalle. Occhi dorati, luccicanti come monete.
«Gradisci uno spino?»
«Come hai fatto a entrare?»
«Mi hanno chiamato i tuoi genitori, sono stati loro a darmi la combinazione d’ingresso. Mi hanno chiesto di dare un’occhiata, di vedere come stavi.» Tornò a sedersi, mettendosi a gambe incrociate. Indossava stivali neri coi tacchi alti. L’aria era impregnata di narcoesalazioni. Michael cominciava a provare un certo stordimento.
Lentamente, confuso, si lasciò sprofondare nel divano. L’alcol bevuto in compagnia di Skerry gli stava dando alla testa. E quella nenia insistente aveva un effetto ipnotico. Notò che la tuta di Jena variava da opaco a translucida proprio in corrispondenza dei capezzoli. Una vocina, al centro dei suoi pensieri, già si domandava che sensazione avrebbe dato insinuarsi lì sotto con dita carezzevoli, percorrendo lentamente ogni centimetro di quella fulva pelle vellutata…