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«È andata bene», sorrise il senatore. «Meglio di quanto sperassi.»

«Lieta di sentirtelo dire», replicò Andie. «I tuoi giudizi sulla relazione della sottocommisione sono stati una grossa sorpresa, per me.»

Jeffers la fissò con espressione esitante. «Mi sembri turbata.»

«Lo sono.»

«E perché?»

«Ero convinta che avresti chiesto ulteriori indagini sugli esperimenti genetici in Brasile.»

«Ma come potevo? L’isterismo creatosi attorno all’assassinio di Eleanor non si è ancora placato. Confermare la possibilità della prossima comparsa di un nuovo genere di mutanti, anzi, di supermutanti, non farebbe che esacerbare ulteriormente gli animi. Neanch’io posso permettermi di rischiare tanto, Andie.»

«Quindi preferisci affossare tutto nelle sabbie mobili del Senato?»

«Ecco, a dire il vero non sono poi del tutto convinto che ci sia, come tu dici, tutta questa gran necessità di compiere altre indagini.»

Andie fu sul punto di replicargli che altri mutanti la pensavano diversamente… Ma una vocina, di dentro, le suggerì di lasciar perdere. Erano beghe mutanti, quelle, e lei c’entrava poco o nulla.

«Be’, comunque ci sono rimasta male che tu non abbia affrontato la questione un po’ più vigorosamente…»

Jeffers le accarezzò dolcemente il volto.

«Mi dispiace, Andie. Ti ho deluso. E proprio in una questione che per te significa molto, vero? Ascolta, che ne dici se ci troviamo alle sette per l’aperitivo, e poi ne parliamo con calma a cena?»

Il cuore di Andie diede un balzo. «D’accordo.»

Tre ore dopo se ne stavano seduti nella lussuosa sala da pranzo morbidamente illuminata di un ristorante francese a più stelle.

«Ti prego, Stephen, cerca di capire», insisteva Andie. «Sono stata in Brasile insieme a Eleanor poco prima che venisse uccisa. E ho, in un certo senso, l’impressione di tradirla, se non mi impegno con maggior decisione lungo la strada che lei aveva intrapreso.»

«Tu hai fatto del tuo meglio», replicò Jeffers in tono pacato. «È bellissimo tener vivo il suo ricordo, e sai bene quanto io ci tenga. Tuttavia sarebbe assurdo cercare di uniformare le nostre scelte attuali a quello che avrebbe potuto essere il comportamento di Eleanor.»

«Ma come la mettiamo se in Brasile stanno veramente conducendo esperimenti per creare un supermutante? Indizi sostanziosi non mancano di certo.»

Jeffers gettò il tovagliolo sulla tavola, e dalla tastiera chiese il conto. «Be’, personalmente continuo a non credere che quella memocassetta rappresenti una prova inconfutabile. E poi non mi avevi detto che i mutanti stanno conducendo una loro personale indagine? Quindi la vicenda è ben lungi dall’essere chiusa.»

«Sì, però…»

«Andie, ufficialmente più di tanto non possiamo fare. Il Brasile è una nazione straniera. Non possiamo rischiare di scatenare un incidente diplomatico. Sono d’accordo con te che l’idea di esperimenti su soggetti umani è ripugnante, ma una prova definitiva in tal senso non l’abbiamo. Registrazioni di scissioni embrioniche realizzate in vitro non significano per forza che debbano esservi, in qualche clinica di Rio, donne tenute prigioniere per far da involontarie ospiti a indotte gravidanze mutanti.» Jeffers aggrottò le sopracciglia. «Sembra la trama di un video dell’orrore. Il dottor Ribeiros e la sua isola di embrioni mutanti.»

Andie rise suo malgrado e l’accompagnò fuori del ristorante, risalendo con lui sul libratore grigio. Quando Stephen fermò accanto al marciapiede nei pressi dell’appartamento di Andie, lei rimase sorpresa nel vederlo spegnere il motore.

«Andie, non so dirti cosa significhi, per me, l’aiuto che mi dai. Hai trasformato le difficoltà di questo avvicendamento in una tranquilla passeggiata.»

«Mi fa piacere.» Teneva lo sguardo chino, imbarazzata.

«Sono davvero felice di lavorare con te. Di stare insieme a te.»

L’attirò a sé, la strinse fra le braccia. Il bacio fu appassionato, profondo.

«Vorresti salire da me?» Lo stava davvero invitando nel proprio appartamento? Il suo principale? Un mutante?

«Ma certo.»

Andie gli fece strada all’interno, e di sopra. Sostarono brevemente sul divano per un bicchierino. Poi passarono in camera.

«Vieni», le sussurrò, tendendo le braccia. Ogni esitazione scomparve in lei. Gli si abbandonò con la massima naturalezza, come se l’avesse già fatto innumerevoli volte.

Una volta a letto, Andie scoprì con sollievo che egli era un perfetto, normalissimo maschio umano. Nulla di genitalmente stravagante, grazie a Dio. Mentre si muoveva su di lei, dentro di lei, Andie percepiva sotto la sua pelle abbronzata il fluido incresparsi dei muscoli. Non era mai stata così vicina a un mutante. Le parve curiosamente caldo, come se la sua temperatura corporea fosse più alta del normale. Quegli imperscrutabili occhi dorati, occhi di felino selvatico, la dominavano con ipnotica intensità. L’aveva ghermita, facendola sua preda? Non le importava. La sola cosa che per lei contava, in quel momento, era avere Stephen Jeffers nel proprio letto. Sospirò dolcemente. Poi non altrettanto dolcemente, mentre l’orgasmo la travolgeva.

16

Michael fendeva l’acqua limpida della piscina con le braccia lungo i fianchi, le gambe immobili. Una sottile scia argentea si dipanava dietro di lui. Mentre passava loro accanto, gli altri nuotatori l’osservavano invidiosi. Michael non ci faceva caso. Uno degli aspetti più piacevoli della telecinesi consisteva nella possibilità di muoversi attraverso l’acqua senza il minimo sforzo. Una capacità che, naturalmente, gli impediva di partecipare a gare di nuoto. Il cosiddetto Principio d’Imparzialità vietava infatti ai mutanti di prendere parte a qualunque competizione sportiva. Ma a Michael non importava. Amava sentirsi avviluppare dall’acqua, e anche solo quel semplice piacere sensuale era per lui ricompensa sufficiente. Non gli interessava affatto umiliare qualche povero normale costretto ad agitare braccia e gambe per trascinarsi avanti. Se volevano mantenere «incontaminati» i loro stupidi sport, così da non doversi vedere continuamente rammentate le proprie intrinseche limitazioni, che facessero pure.

Si rovesciò agilmente sul dorso e scivolò verso Kelly. Era una nuotatrice aggraziata, per essere una normale. Michael guardò compiaciuto le sue chiome corvine distendersi a ventaglio nell’acqua, e ammirò il lucido costume azzurro aderirle addosso come una seconda pelle.

«C’è tempo per un’altra vasca?» gli domandò.

Con la coscienza che gli rimordeva, Michael alzò lo sguardo sull’orologio a muro. Aveva promesso a Jena di andarla a prendere allo spazioporto alle nove. Ed erano già le sette e mezzo.

«Be’, no. Bisogna che rientri a casa presto, ho da lavorare su certi contratti. Però possiamo tornare domani.»

«D’accordo. Tanto ho mezza giornata libera.»

Galleggiò verso Michael, gli pose le braccia attorno al collo, lo baciò dolcemente. L’acuta percezione del corpo di lei fluttuante contro il suo gli stuzzicò i sensi, ma si ritrasse.

Kelly aggrottò le sopracciglia. «Qualcosa non va?»

«No no. Mi sta solo venendo freddo.»

«Va bene, allora andiamo.» Nuotò verso la scaletta, poi si volse a guardarlo maliziosamente.

«Me la daresti una spintarella?»

Con misurata pressione telecinetica la sollevò delicamente fuori dall’acqua, depositandola sopra una panchina in legno di faggio. Il bagnino gli rifilò un’occhiata velenosa.

Chi se ne frega, pensò Michael, e levitando lui pure oltre il bordo della piscina andò ad atterrare con elegante piroetta accanto a Kelly. Lei batté le mani e gli gettò un asciugamano verde.