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«Precisamente.»

«Sai una cosa, Andie? Il tuo Jeffers dev’essere davvero un superuomo. Sinceramente non arrivo a capire come faccia. Con tutte quelle consociate… Betajef, Corjef, Unijef… Ma mi dici quell’individuo dove l’ha trovato il tempo di occuparsi del suo commercio internazionale, del suo studio legale, e contemporaneamente presentarsi candidato al Senato?»

«Certe persone sono più in gamba di altre, tutto qui.»

«Specialmente se si tratta di mutanti?»

«Allora sarebbe questo il nocciolo del discorso?»

«Oh, no. Sto solo manifestando la mia ammirazione. Il senatore Jeffers dev’essere un vero mago, in campo amministrativo e finanziario.»

«È un imprenditore di successo. Ma anche questo è risaputo. E tra i mutanti non si tratta affatto di un evento inconsueto. È gente che di solito tende a farsi largo, nella vita.»

«In quanto esseri superiori o come reazione all’angoscia della diversità?»

«Non ho la competenza necessaria ad azzardare simili congetture.»

«Che occasioni ha avuto per coltivare il proprio acume finanziario?»

«Be’, suo padre era a capo di una prospera impresa di commercio con l’estero. Immagino che lui, all’università, abbia studiato soprattutto scienza delle finanze ed economia aziendale.»

Aggrottando le sopracciglia, la Renstrow diede un’occhiata ai suoi appunti. «Mah, non vedo come, visto che ha conseguito una laurea in medicina.»

«Medicina?» Andie fece il possibile per dissimulare la propria perplessità.

«Esatto. Con specializzazione in genetica. Piuttosto strano che poi abbia intrapreso studi giuridici, invece che medici.»

«La gente a volte cambia idea.» Che diavolo stava cercando di dimostrare, la Renstrow?

«Meglio non parlarne. Io ho cambiato specializzazione tre volte.» La giornalista diede fondo al suo bicchiere. «Insomma, mi piacerebbe capire meglio come ha fatto a sviluppare il suo talento in campo finanziario.»

«Può anche darsi semplicemente che ci sia portato per natura.»

L’espressione della Renstrow, più un sogghigno che un sorriso, metteva addosso ad Andie una crescente sensazione di disagio.

«Probabilmente hai ragione tu», concesse la giornalista. «Vedi, mi rendo conto che dovrebbe trattarsi solo di una specie di articolo elogiativo, però bisogna ugualmente che rivolga qualche domanda a Jeffers. Puoi fissarmi un appuntamento con lui?»

Riappoggiandosi allo schienale, Andie simulò uno sbadiglio. «Non contare su di me. È tutto il giorno che parlo coi giornalisti. Così sui due piedi non posso prometterti nulla, Jackie. Però stai sicura che trasmetterò la tua richiesta al senatore. Che scadenza hai?»

«Lunedì.»

«Va bene, ti chiameremo noi.» Gettò un’occhiata all’orologio del bar. «Ora scusa, ma sono in ritardo per un appuntamento. Mi ha fatto piacere rivederti.» Afferrando il soprabito, Andie balzò in piedi, e agitando la mano in un fulmineo gesto di saluto fu fuori del locale prima che la sbalordita giornalista potesse spiccicare una sola parola.

Niente taxi in vista. Miseriaccia. Andie s’imbacuccò ben bene nel soprabito e partì velocemente per raggiungere a piedi la fermata del metrò. Erano appena le tre, e aleggiava in giro ancora un po’ di luce.

Le insinuazioni della Renstrow l’avevano turbata profondamente. Dove diavolo voleva arrivare, insistendo a quel modo sul talento affaristico di Jeffers? Aveva forse scovato qualche irregolarità nelle sue operazioni finanziarie? Andie decise di compiere una rapida indagine sulla situazione contabile dell’ufficio. Più tardi avrebbe interrogato Jeffers circa i bilanci delle sue ditte. Voltando in una strada secondaria costellata di lussuose villette a schiera con gli ingressi dalle barriere protettive verdi, e tagliando quindi per un vicoletto pavimentato in mattoni, Andie forzò l’andatura verso la stazione della sotterranea.

17

Rigiratasi nel letto, Jena rimase a fissare Michael nel chiarore lunare. Sospirò. «In realtà non sei qui con me, vero?»

«Che vuoi dire?»

Lei si mise a sedere.

«Voglio dire che con la mente sei altrove. Insieme a qualcun altro. E non è difficile indovinare chi.»

«Guarda che ti sbagli.»

«Ah sì? Kelly comunque dev’essere un piacevole passatempo, vero?» replicò Jena in tono caustico.

È tutto quello che non sei tu, pensò Michael. Incominciava davvero a pentirsi di non avere acchiappato al volo l’offerta di Skerry, tagliando la corda in direzione Canada.

Con decisione repentina, Jena cambiò tattica. Si raggomitolò scherzosamente attorno alle ginocchia di Michael, e i suoi seni bisbigliarono segreti messaggi alla pelle di lui. Mentre Jena lo accarezzava, trasmettendo nuovi brividi di piacere ai suoi nervi ancora frementi d’estasi, Michael si lasciò andare all’indietro. Ecco, se solo si fosse limitata a toccarlo delicatamente, adesso, senza dire nulla…

«I tuoi genitori sono così contenti, che ci vediamo…»

Michael spalancò gli occhi.

«Come hanno fatto a saperlo?»

«Gliel’ho detto io.»

«E perché?»

«Pensavo che ci avrebbe reso le cose più facili.»

«Più facili?!» Michael scattò su, sottraendosi al suo abbraccio. «Che vuoi dire?»

Nella voce di Jena fece capolino una punta di nervosismo. «Be’, sai com’è, in questo modo loro non devono più stare a preoccuparsi quando passi la notte fuori casa, e intanto il clan si abitua all’idea che noi due facciamo coppia…»

Una chiara, acuta consapevolezza prese finalmente forma dentro di lui. Dandogli quasi un senso di sollievo. Saltò giù dal letto.

«Accidenti a te, Jena, ma si può sapere a che gioco stai giocando?»

Lei si mise a sedere, guardandolo attenta. «In che senso?»

Michael s’infilò i jeans e afferrò la camicia. «Nel senso che stai manovrando me e la mia famiglia. Che bisogno c’era che venissero a conoscenza di questa storia?»

«Tanto prima o poi l’avrebbero saputo comunque.»

«Tu stai solo cercando di incoraggiare le loro speranze. Di creare in loro l’illusione che questo nostro rapporto significhi qualcosa.»

«Ma è ovvio che significa qualcosa.» Ogni disinvoltura era ormai scomparsa dalla voce di lei.

«Per te, forse.» Finito di allacciarsi la camicia, Michael indossò senza indugio stivali e giacca. «Credevi forse che quei simpatici giochetti a letto potessero tenermi ipnotizzato?»

«Non sono io che ti ho ipnotizzato», replicò Jena con voce stridula. «Sei tu che mi hai voluto.»

«Verissimo. Ma solo dopo che ti sei letteralmente gettata fra le mie braccia.»

«A te, però, una volta sola non è bastata.»

Michael sentiva il rossore bruciargli le guance. «Lo so.»

«Ma perché devi farla così lunga, dico io?» Jena si stirò voluttuosamente, accogliendo carezze di luna sui fianchi vellutati. «Dai, torna a letto, che facciamo il fior di loto che ti piace tanto…»

«No.» Ignorò le immagini appassionate che gli guizzavano davanti agli occhi della mente. «Fra noi è finita, Jena. Finita per sempre.»

«Non puoi parlare sul serio, Michael.»

«E invece sì.»

Corse via, ma l’onda psichica di lei l’inseguì lungo il corridoio, e per le scale, e giù in strada. Non credere che sia così facile.

«Vai al diavolo, vai al diavolo, vai al diavolo…» continuò a borbottare fra sé, facendo trasalire un uomo d’affari in attesa, alla fine dell’isolato, che si liberasse un visofono pubblico. Sì, al diavolo. Adesso sapeva che cosa non voleva, ed era un buon punto di partenza. Anzi, più che un punto di partenza. Il pensiero di Kelly gli ardeva nella mente come un faro verso il quale dirigersi, un porto sicuro nel quale confidare. Le tradizioni mutanti potevano anche andare a farsi fottere. Dopo l’assemblea annuale le avrebbe chiesto di sposarlo, e questo avrebbe definito la questione una volta per tutte.