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«Capisco.»

«Voglio che Ben organizzi il comitato di cui si diceva, quello che dovrà dedicarsi a studiare soluzioni di reciproco interesse nell’interazione mutanti-nonmutanti.»

Andie sgranò gli occhi, colta di sorpresa. Aveva creduto di doverlo guidare lei stessa, quel progetto.

«Ben concorda sul fatto che ci serve un preciso punto d’incontro e confronto, se vogliamo iniziare a colmare le distanze che ci separano», proseguì Jeffers, apparentemente ignaro della reazione di lei.

«Abbiamo intenzione di procedere in tal senso al più presto», intervenne Canay. «Si tratta di un’iniziativa provvista di notevole potenziale propagandistico. Naturalmente avrò bisogno di collaborazione da parte del personale.»

«Sono convinta che non le mancherà», replicò Andie in tono gelido. Poi gli voltò la schiena. «Stephen, ti debbo parlare.»

«Puoi aspettare fino a oggi pomeriggio? Avrei da discutere con Ben di alcune cose.»

«Prima è, meglio è.»

«Ti va bene all’una?»

«D’accordo.»

«Lieto di aver fatto la sua conoscenza, Andie.»

«Altrettanto.» Fulminò Jeffers con uno sguardo furibondo, afferrò il videotaccuino e uscì a lunghi passi dalla stanza.

Schiumante di rabbia, controllò l’agenda. Accidenti! Era già in ritardo per il convegno del Gruppo Roosevelt.

«Aten, starò via fino all’una», avvertì, e si precipitò dabbasso.

Il Gruppo Roosevelt, che annoverava rappresentanti del personale addetto a ciascun senatore del Congresso, si riuniva ogni primo martedì del mese. In parte organismo di reciproco sostegno, in parte occasione di pettegolezzi a ruota libera, teneva Andie in collegamento con la vasta rete di assistenti politici che si snodava attraverso i corridoi del potere. Nessuno le avrebbe tolto di mente che si prendevano più decisioni e ci si scambiavano più favori lì che nell’aula del Senato.

Karim sedeva dalla parte opposta della sala. Vedendola entrare le fece l’occhiolino.

«Hai saputo che si è messo con una delle assistenti di Coleman?» bisbigliò accanto a lei Letty Martin.

Andie si accigliò. «No. Quale?»

«La bionda.»

Per un attimo le balenò in testa il pensiero che forse si era lasciata sfuggire un uomo in gamba, ma non diede seguito alla riflessione. Karim aveva rappresentato solo un interesse passeggero. Andie non aveva mai provato, nei suoi confronti, la passione che adesso le bruciava dentro per Jeffers. Le mancava, è vero, quel vivace scambio di idee che con Karim era stato all’ordine del giorno. E adesso un suo consiglio le sarebbe potuto tornare utile.

Innestò il terminale portatile alla presa del tavolo e digitò il codice di Karim. La risposta non si fece attendere.

CHE C’È?

PROBLEMA. PARLIAMO?

QUANDO?

DOPO CONVEGNO.

OKAY.

In capo a un’ora, allorché l’assemblea ebbe dato fondo allo scambio di battute e pettegolezzi, Andie trovò Karim ad attenderla, con aria interrogativa, accanto all’ascensore.

«Allora?»

«Facciamo due passi.»

«Ma sei matta? Fuori si gela!»

«Non sul viale.»

«Va bene.»

Il viale del Campidoglio, con la sua copertura emisferica, offriva gradito riparo dai venti del novembre inoltrato. Strade intasate di traffico, alberi e prati spogli in attesa della prima neve, si mostravano in rapidi squarci attraverso i segmenti trasparenti che interrompevano a tratti l’azzurra uniformità delle pareti. Gli occhi fissi all’esterno, ma senza vedere, Andie procedeva accanto a Karim.

«Allora», le domandò, «qual è il problema?»

«Penso di essere appena stata retrocessa.»

«Cosa?»

«Jeffers ha chiamato un tizio da una delle sue ditte perché lavori con lui a dei programmi speciali.»

«E la tua retrocessione in cosa consisterebbe?»

«Mi ha presentata a lui come addetto stampa.»

«Oh.» Karim si era fatto pensieroso. «Veramente ero convinto che tu fossi già il suo addetto stampa.»

«Certo, ma nell’ambito di ben più ampie attribuzioni.»

«Quindi credi che questo nuovo tizio debba rimpiazzarti?»

«Per l’appunto.»

Lui alzò le spalle. «Così impari a comprometterti troppo col principale.»

«Senti, Karim, non ho chiesto la tua opinione per sentirmi fare osservazioni volgari.» Gli girò le spalle e prese ad allontanarsi.

«Scusami, scusami!» L’afferrò per un braccio. «Aspetta. Questo nuovo tizio è un mutante?»

«No. Perché me lo chiedi?»

«Si dice in giro che Jeffers stia inserendo nel suo personale un mucchio di mutanti.»

Andie allontanò lo sguardo verso gli alberi esterni.

«È vero», ammise cupa. «Tre questo mese. Cinque il mese scorso. Lo sapevi che Caryl se n’è andata? Non lo sopportava.»

Karim annuì. «La cosa non mi sorprende affatto.»

«La senatrice Jacobsen non aveva mai fatto una cosa del genere.»

«Be’, lei usava metodi diversi.»

«E che altro si dice, in giro?»

«Che gran parte degli orientamenti legislativi appoggiati da Jeffers sono a favore dei mutanti», rispose Karim. «Ma c’era da aspettarselo, credo. Soprattutto dopo l’assassinio della Jacobsen.»

«Eleanor Jacobsen adottava una politica più lungimirante.»

«Be’, secondo me la Jacobsen era meno influenzata da pressioni di parte… specialmente quella cui lei stessa apparteneva.»

Andie si fermò di colpo. «Stai forse insinuando che Stephen sarebbe una pedina dei mutanti?»

«No. Non credo. Potrebbe anche essere, certo, ma forse è semplicemente molto più attento ai diritti e agli interessi dei suoi simili. Perché mai non dovrebbe volere mutanti fra il suo personale? Chi altro se ne serve, nel Congresso?»

«Davis.»

«E poi?»

Karim la fissava, aspettando. Mordicchiandosi il labbro, lei affrontò il suo sguardo.

«Basta.»

«Vedi, Andie, a mio parere non dovresti dare eccessiva importanza alla cosa. Se io fossi un mutante, l’unico in tutto il Congresso, è molto probabile che vorrei avere qualcuno del mio stesso conio, a lavorare con me. Ma sei davvero così preoccupata per il tuo lavoro?»

Si strinse nelle spalle. «Non lo so. Certo non mi è piaciuto per niente, quello che mi son sentita dire stamattina.»

«E allora domanda chiarimenti. Ma non c’è bisogno che te lo venga a suggerire io. Hai avuto difficoltà a lavorare col nuovo personale?»

«Finora no.»

«Questo rafforza la mia convinzione. Dai retta a me, ti stai creando problemi inutili.»

Karim sbirciò l’orologio.

«Senti, ora bisogna proprio che ti lasci, mi aspettano a pranzo.»

«Grazie, Karim.»

Le carezzò una guancia. «Quando hai bisogno…»

Andie lo guardò andar via in gran fretta. Tornò in Campidoglio da sola.

Sul monitor della scrivania trovò ad attenderla un messaggio di Jeffers: PER L’UNA NON CE LA FACCIO.

Probabilmente è a pranzo con Canay, pensò. Al diavolo. Si mise a battere la circolare fax di dicembre. Tanto valeva pensarci per tempo.

Un’ora dopo, Jeffers varcava con passo agile la soglia.

«Andie! Scusa il ritardo. Pronta per me?»

«Se vogliamo metterla così…» Videotaccuino alla mano lo seguì nel suo ufficio e richiuse la porta.

«Può assistere anche Ben?»

«Direi di no.»

Jeffers la squadrò con scherzoso cipiglio. «Parrebbe una cosa seria.»

Andie non perse tempo in convenevoli. «Stephen, cosa intendevi dire definendomi responsabile dell’ufficio stampa?»

«Che è il tuo lavoro qui dentro.»

«No, è una parte del mio lavoro», precisò lei con voce tagliente. «In aggiunta a compiti di documentazione, amministrazione e contabilità.»