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Un silenzio assoluto scese sulla stanza, mentre il clan attendeva che Halden si pronunciasse. Il Custode del Libro fissava Michael in modo strano. Pareva quasi che lo vedesse per la prima volta. Poco distante, James Ryton guardava nel vuoto. Dal suo volto era scomparsa ogni traccia di emozione. Su una guancia di Sue Li, un piccolo muscolo continuava a fremere. Il silenzio si protrasse. Poi Halden si alzò.

«Il fidanzamento è accordato», dichiarò, increspando le labbra in modo strano, come se quelle parole gli lasciassero l’amaro in bocca. «Il clan deve proteggere la nuova vita.»

Michael balzò in piedi.

Sposare Jena? Neanche per idea. Ben altri erano i suoi progetti. Aveva la vita intera che l’aspettava a casa. Una vita con Kelly. Non poteva sposare Jena. Ma sfidare la volontà del clan voleva dire espulsione per lui, e disonore per i suoi genitori. Che ne sarebbe stato di loro? E del suo futuro?

D’altronde, se non sfidava il clan, cosa ne sarebbe stato di Kelly, e del suo futuro insieme a lei?

«Non la sposerò mai!» gridò Michael, un po’ sorpreso egli stesso di udirsi pronunciare quelle parole. In un repentino scoppio di rabbia rovesciò la sedia con una pedata e si precipitò fuori della porta, in mezzo alla neve, innalzando una barriera mentale contro i clamori telepatici del clan.

Poteva andare in Canada. Unirsi a Skerry. Non l’avrebbero mai preso. Mai. Correndo con tutte le sue forze per allontanarsi dal luogo del convegno, Michael si gettò alla disperata giù per il sentiero, nelle tenebre che si andavano addensando.

Stupefatta, Sue Li vide suo figlio scomparire oltre la soglia. Per lunghi attimi rimase lì inerte, incapace di pensare, incapace di provare emozioni e sensazioni. Volse lo sguardo su Jena, di là dal tavolo. La ragazza teneva lei pure gli occhi fissi sulla porta, come se aspettasse Michael di ritorno da un momento all’altro; poi, malinconicamente, li chinò a terra.

«Be’, penso comunque che andrà tutto per il meglio», disse Zenora.

«Il meglio? Perché, lo sai forse tu che cosa è meglio o peggio? Io no di certo», scattò Sue Li.

«Tornerà, non ti preoccupare», disse Tela.

«Ma forse per lui sarebbe meglio di no», replicò Sue Li alzando la voce.

Jena la fissava, pallida in volto.

Sue Li le si rivolse inferocita.

«Hai ingannato mio figlio», l’accusò. «Hai acquisito su di lui diritto di fidanzamento, e se tornasse saresti capace di costringerlo. Ma sappi che non dimenticherò mai ciò che hai fatto, e mai ti perdonerò.»

Gli occhi di Jena si riempirono di lacrime.

Dominando a stento la collera che la pervadeva, Sue Li si guardò attorno in cerca di suo marito.

James Ryton era al terminale, intento a ripercorrere il contenuto della memocassetta. Pare soddisfatto, pensò Sue Li. Ma non gli importava di Michael?

«Dichiaro sospesa l’assemblea fino a quando non conosceremo le vere intenzioni di Michael», annunciò Halden.

«Ma ci potrebbero volere giorni e giorni!» obiettò Tela. «E abbiamo tutti da tornare a casa, riprendere il lavoro…»

Halden si passò stancamente una mano sulla fronte. «Michael deve avere tempo di riflettere. Gli concedo tre giorni, per giungere a una decisione. Dopo di che, se non ritorna, lo dichiareremo bandito dal clan e riprenderemo l’assemblea.»

Liberi dai formalismi dell’adunanza, i membri del clan si intrattennero in gran parte a chiacchierare nell’ampia sala.

«Stai tranquilla, Sue Li, vedrai che tornerà», insisteva Tela. «Vieni da me, intanto, e canteremo insieme.»

«Forse più tardi, Tela.»

Un gruppetto femminile si era riunito attorno a Jena.

«Che splendida notizia!» esclamava una cugina.

«Quando ti scade il tempo?» s’informava un’altra.

Vedendosi osservate da Sue Li, le si fecero incontro.

«Congratulazioni, Sue Li», sviolinò la cugina Perel.

«Me le puoi anche risparmiare, le tue congratulazioni!» ribatté Sue Li rabbiosa.

Guardandosi attorno, scorse nei pressi Ren Miller.

«Ren, non ti andrebbe di raggiungere Michael per vedere di farlo ragionare?…»

Il giovanotto dai capelli neri per poco non si strozzò col panino di soia cui stava dedicando tutta la sua attenzione.

«Hmm, Sue Li, sia detto senza offesa, ma non voglio immischiarmi nelle beghe famigliari altrui.» E le volse le spalle.

Delusa, Sue Li si diresse verso Halden. Il Custode del Libro riposava, a occhi chiusi, in una vecchia idropoltrona azzurra.

«Halden?»

Lentamente, le palpebre del Custode si sollevarono.

«Ma come fai a startene seduto qui tranquillamente?» lo apostrofò Sue Li. «Non credi che dovresti andare a cercare Michael?»

Halden alzò le mani in un gesto d’impotenza. «E a cosa servirebbe? Vorresti forse che te lo riportassi qui legato per i piedi come un tacchino? No, Sue Li. Ciò che mi chiedi è completamente fuori luogo. In qualità di Custode del Libro, è mio dovere mantenermi neutrale. Michael deve essere lasciato libero di fare una propria scelta. Mi spiace.» E tornò alle sue meditazioni.

Sue Li volse per la sala un ultimo sguardo, che tutti fecero in modo di evitare accuratamente.

«E va bene», disse. «Se nessuno è disposto ad aiutarmi, vuol dire che andrò da me.»

Afferrò un superimbottito mantello termico rosso dall’attaccapanni vicino alla porta, e corse fuori nella neve.

Due settimane erano trascorse da quando il corpo senza vita di Jackie Renstrow era stato ripescato dalle acque del Potomac. La polemica sul Principio d’Imparzialità si stava facendo rovente. Bill Edwards, Katharine Crewall e tutti gli altri maggiori videocronisti se ne stavano praticamente accampati fuori della porta dell’ufficio di Jeffers. Andie aveva fatto il conto alla rovescia dei giorni che mancavano all’agognata vacanza, impaziente di sottrarsi alle innumerevoli telefonate e alle domande sempre uguali. Cinque giorni in Grecia con Stephen, loro due da soli… non stava più nella pelle dalla contentezza.

Un affusolato libratore grigioperla, con Ben Canay al volante, si fermò sul bordo della strada.

«Taxi, signorina?»

Andie salì a bordo, richiudendo con cura lo sportello.

«Ben, le sono davvero grata per questo passaggio allo spazioporto.»

Le rivolse un breve sorriso, mentre con rapida manovra si inseriva sulla corsia veloce.

«Piacere mio, Andie. Sarebbe stato un delitto lasciarla andare in metrò con armi e bagagli, e siccome Stephen è già volato a preparare il nido per il vostro tête-à-tête natalizio, ho pensato che il minimo che potevo fare era offrirmi come tassista.»

Canay stava mettendo un tale impegno a risultarle simpatico, che Andie si sforzò di mostrarsi cortese.

«Bella macchina.»

«Grazie. Ho appena fatto rifare la tappezzeria.»

«Tutta questa pelle? Dio mio, che lusso!»

Canay le sorrise di sbieco. «Be’, più che un lusso è stata una necessità. Vede, la mia ragazza me l’aveva strappata tutta.»

«Accidenti, che temperamento! E mi dica, lo fa spesso?»

«Diciamo che è stato il suo regalo d’addio. Dopo che mi aveva rubato la macchina. Fortuna che sono assicurato.» E se ne uscì in una risataccia.

Andie si limitò ad aggrottare lievemente le sopracciglia. Se tanto mi dà tanto, la vita privata di Canay doveva essere proprio un bel casino.

A uno degli ultimi semafori prima dello spazioporto, passò loro dinanzi una ben messa ragazza mutante dalle lunghe chiome bionde. Canay ne seguì la traversata sospirando languidamente.

«Favolosa», commentò.

«Le piacciono le donne mutanti?» gli chiese Andie. «Alla maggior parte dei maschi nonmutanti pare che non vadano molto a genio, invece.»

«Lo so. Anche se, rimanga fra noi, ho l’impressione che alla maggior parte dei maschi nonmutanti piacerebbe e come, sapere che effetto fa portarsi a letto una femmina mutante…» Si girò verso Andie e le fece l’occhiolino.