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«Allora è di questo che si tratta», osservò in tono amaro. «Me l’ero immaginato.»

«A sentir te, parrebbe trattarsi di un destino spaventoso.»

«Può anche darsi che la mia opinione sia proprio questa.» Si accorse che gli occhi di sua madre erano colmi di lacrime, ma era troppo tardi per fare marcia indietro, e poi non aveva alcuna intenzione di ritrattare. «Non ho passato quattro anni alla Cornell solo per lasciarmi incastrare nei progetti di qualcun altro o per fare da stallone al clan.»

Udì levarsi attorno a sé esclamazioni soffocate. Suo padre si stava facendo paonazzo in volto, sintomo indubbio che era in arrivo il peggio.

«Michael, se non accetterai di riconoscere le tue responsabilità nei nostri confronti, ci costringerai a decidere al posto tuo.»

«Come se non l’aveste sempre fatto!» replicò il giovane in tono di sfida, fronteggiando suo padre con le mani sui fianchi. «Prima mi chiedete di pensare e agire come un adulto, ma poi, quando mi comporto da adulto, mi trattate come un bambino.»

Ciascuno dei cento occhi d’oro presenti nella sala era fisso su di lui. Michael si sentiva soffocare. Se non fosse uscito immediatamente di lì gli sarebbe venuto un collasso.

Si volse con scatto repentino, e per mezzo del suo potere telecinetico aprì la porta a distanza di un metro. Un attimo dopo se ne stava piantato immobile appena fuori del bungalow, con il respiro affannoso che formava nuvolette nell’aria gelida. Dove andare? Il ritmico, ostinato frangersi dei flutti pareva rivolgergli un messaggio insistente. Michael corse verso la spiaggia, deciso ad allontanarsi il più possibile dalla sua famiglia.

Quando la porta si richiuse con violenza alle spalle del suo primogenito, James Ryton dovette reprimere un trasalimento. Attorno a lui i membri del clan mormoravano la propria disapprovazione, scuotendo la testa e formando gruppetti per discutere l’accaduto.

«Gradiresti un consiglio da amico?» gli chiese Halden.

«A dire il vero no, Hal, ma ti conosco abbastanza per sapere che dovrò sorbirmelo ugualmente.»

Halden sorrise. «Se continui così, riuscirai solo a farlo scappar via.»

«Forse hai ragione», ammise Ryton sospirando. «Mi ricorda com’ero io alla sua età. Irascibile, impulsivo. Ho paura che finisca per mettersi nei guai.»

«Tu però ce l’hai fatta», osservò Halden. «E incolume, a quanto pare.»

Ryton gli rivolse un sorriso stentato. «Più o meno. Le vampate mentali stanno incominciando, comunque. Mi capita di sentirle sempre più spesso, in piena notte, quando l’alterazione della chiarudienza mi tiene sveglio.»

Il Custode del Libro afferrò l’amico per una spalla. «Fatti coraggio. Stiamo per trovare il modo di controllarle, forse addirittura di curarle…»

Con le labbra contratte in una piega amara, Ryton si sottrasse a quel contatto. «Non ho la minima intenzione di trascorrere i prossimi vent’anni sotto l’influsso degli inibitori neurali. Preferisco uccidermi.» Si espresse a voce così bassa che sembrò parlare fra sé.

«James, non dirlo neppure per scherzo.»

«Chiedo scusa, amico mio», mormorò Ryton costringendosi a sorridere. «Allora, vediamo di affrontare un argomento meno deprimente.»

Halden gli strinse affettuosamente un braccio. «Tuo figlio è un ragazzo brillante che fa onore al clan. Finirà per mettere giudizio, vedrai. Devi solo portare pazienza.»

«Spero proprio che tu abbia ragione. Hai saputo nient’altro a proposito di quel cosiddetto supermutante?»

«Chiacchiere a non finire», rispose il Custode. «Si dice che in Brasile stiano conducendo esperimenti con radiazioni. Su soggetti umani.»

«Ah, ora anche il Brasile? Ma non era la Birmania, l’ultima volta? Non ci credo nemmeno un po’. Esistono prove tangibili, testimonianze?»

«Non proprio. Ma tutto questo blaterare ha sollevato un tale polverone che al Congresso stanno dibattendo sull’opportunità di formare una commissione d’indagine.»

«Da mandare in Brasile?»

«Per l’appunto. Una missione non ufficiale, si capisce. Non è il caso di andargli a rompere le scatole proprio ora che finalmente si sono decisi a pagarci una bella fetta dei loro debiti.»

«Già, tutto merito del filone di triobio che hanno scoperto a Bahia, e di quelle nuove tecniche estrattive con il laser elaborate dagli inglesi. La Jacobsen che fa? Scommetto che ci va anche lei, vero?»

Halden si strinse nelle spalle. «Per forza. E ti dirò che secondo me dovremmo incominciare a prendere la faccenda un po’ più seriamente di quanto abbiamo fatto sinora. Mi sono giunte segnalazioni anche dalla costa occidentale. Persino dalla Russia. I nostri esperti di genetica ritengono possibile che quella gente, di chiunque si tratti, abbia isolato e codificato il genoma mutante.»

Si levò, aspra, la risata di Ryton. «Per carità, non ricominciamo con questa storia. Lo sai benissimo che della codifica del genoma ne parlavano già venti o trent’anni fa, tra l’Ottanta e il Novanta, e che non sono mai riusciti a realizzarla… soprattutto dopo che quel pasticcio combinato dai giapponesi portò all’interruzione delle ricerche.»

«Può darsi che in Brasile la moratoria non sia mai stata applicata.» Halden vuotò la sua tazza in un sorso e si versò un’altra dose di caffè.

«E… che cosa avresti saputo, dalla Russia?…»

«Oh, niente di preciso. Loro, si capisce, non è che siano bene organizzati come noi, ma l’ultima volta che è stata là, Zenora ha parlato con Jakovski. E lui le ha detto che anche loro erano preoccupati per via del Brasile.»

«Si dovrebbe discuterne in assemblea plenaria.»

«Sono d’accordo. Diciamo domani?»

Ryton annuì. «Le implicazioni di questa faccenda sono terrificanti. Già ora i normali ci guardano con sospetto. Che cosa accadrebbe se dovesse far la sua comparsa un mutante davvero evoluto?»

«Oh, figuriamoci, le solite cose… sollevazioni popolari, pogrom, linciaggi…» Halden sorrise. «James, perché guardi sempre il lato negativo di ogni situazione? L’avvento di un mutante superiore potrebbe essere un fatto magnifico.»

«Halden, a te potrà anche sembrare divertente», ribatté Ryton in tono indignato, «ma io non l’ho scordato, il 1992, e nemmeno la morte di Sarah. Ti dico che andremmo incontro a rischi estremamente gravi.»

«Comprendo le tue preoccupazioni», disse Halden diplomaticamente, «ma sono fatti avvenuti venticinque anni fa. E poi, ammettilo, non stiamo cercando anche noi, a modo nostro, di giungere al medesimo risultato? Ottenere supermutanti tramite l’endogamia?»

«Niente affatto», replicò Ryton seccamente. «Quel che interessa a noi è sopravvivere. Consolidarci rimanendo uniti. Tenerci fuori dai guai, non adoperarci a rendere obsoleto il resto della razza umana. E questa sarebbe esattamente l’accusa che ci verrebbe rivolta, caso mai risultasse che nella storia del supermutante c’è anche solo un briciolo di verità. Inutile ricordarti che i normali, innanzitutto, ci temono. Nella malaugurata ipotesi che quelle dicerie su mutanti radiopotenziati non siano soltanto chiacchiere… riesci a immaginare, Halden, che cosa sarà di noi?»

Il crepuscolo andava rapidamente infittendosi, e nonostante l’assenza di dune che potessero fargli da schermo, Michael si arrischiò ugualmente a levitare sulle onde, ritenendo improbabile che qualcuno riuscisse a vederlo. A differenza di certi suoi cugini, che si divertivano a scombussolare i normali mettendosi in mostra, a Michael non piaceva affatto sfoggiare le proprie capacità mutanti in presenza di estranei. Ma sulla spiaggia non c’era anima viva.