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«Forse ho bisogno di starmene un po’ per conto mio.» Lanciò un’occhiata verso la finestra. «Mi piace stare a guardare la neve. A volte in febbraio vengono certe tormente…»

«È proprio vero che ognuno ha i suoi gusti», sorrise Andie. «Ah, datemi una spiaggia calda e un bel brasiliano premuroso…»

«Mica male, come idea…» ammise Michael. Ma era evidente che pensava a tutt’altro.

«Sei felice?» gli domandò.

Michael fece un mezzo sorriso. «Bisognerebbe che rispondessi di sì.»

«Che cos’è successo?»

«In che senso?»

«Con quella ragazza nonmutante di cui eri innamorato.»

Occhi perduti nel vuoto, mascella contratta. «Tutto finito.»

Più che il senso di quelle due parole, fu il loro tono a provocarle una fitta di compassione.

«Perché l’hai voluto tu?» gli mormorò.

«No», rispose lui chiudendo gli occhi.

«Mi dispiace, Michael.»

«Anche a me.»

«E lei come l’ha presa?»

«Kelly? Non bene. Ho saputo che è partita. È entrata all’Accademia Aeronautica. Un giorno o l’altro finirà di sicuro a pilotare qualche navetta.» Gli risuonava, nella voce, un’artificiosa indifferenza.

Andie gli sfiorò un braccio. «Ma ti va di parlarne?»

«Non molto.»

«Scusami, allora.»

«Oh, figurati.»

Poi la fissò, con improvvisa intensità. «Sei innamorata di Jeffers, vero?»

Andie arrossì. «Ecco, vedi, Michael…»

«No, lascia perdere. Non voglio impicciarmi. Promettimi una cosa, però. Che darai retta solo a ciò che ti dirà il tuo cuore. Che non consentirai a nessuno di intromettersi nella tua vita. Promettimelo.»

«Te le prometto.»

Michael tornò di nuovo a volgere lo sguardo fuori della finestra. Verso la neve turbinante. Verso le tenebre che si infittivano.

«È la cosa più importante e più difficile per chiunque», disse. «Sapere qual è la via che ci indica il nostro cuore, e seguirla.»

Gli invitati si trattennero tutta la sera, e Michael non se la sarebbe sentita di biasimarli. Ai mutanti non capitava spesso di avere motivo per simili festeggiamenti.

Riunitosi alla compagnia, aveva trovato Halden che piazzato in un angolo della stanza strimpellava il suo vecchio banjo, intonando con voce sguaiata un’indecente canzonaccia. Una dozzina di mutanti gli sedevano attorno, battendo le mani e accompagnandolo nel canto.

Con l’aiuto di Tela, Zenora fece levitare la grande tavola centrale contro il muro di fondo per far spazio alle danze. E subito i mutanti si slanciarono gioiosamente in aria, sfiorando il soffitto, librandosi in cerchio, riscendendo con ampie oscillazioni, riproiettandosi più e più volte in alto con elaborate giravolte ed eleganti ghirigori sino a ridursi rossi in viso e senza fiato. Quelli incapaci di levitare venivano spinti dai più dotati.

Senza starci troppo a pensare, anche Michael si gettò nell’aerea mischia, guizzando e ruotando.

«Ecco lo sposo!» gridò qualcuno. «E la sposa? Vogliamo la sposa!»

«È di sopra!» disse un’altra voce. «Portiamola qui, che festeggi insieme a noi!»

Coordinato da Chavez, un gruppetto dei più infervorati fece levitare Jena giù per le scale, depositandola, vezzosa e ridacchiante, in piedi davanti a Michael.

Egli le fece una profonda riverenza. «Mia cara, vuol concedermi questo ballo?»

«Onorata», rispose, e lo prese per mano.

Insieme fluttuarono in alto, girando lentamente su se stessi mentre percorrevano in cerchio la sala. La tunica di Jena ondeggiava lieve. Lei rivolse a Michael un sorriso impertinente, per poi salutare Halden con mossa civettuola mentre gli transitavano sul capo.

«Non ti ci riprovare, sai», ordinò Michael, scimmiottando con buffo cipiglio il tono di un marito geloso.

La strinse a sé, la fissò un attimo negli occhi, poi la baciò teneramente. Dal basso, gli spettatori levarono applausi e grida d’incoraggiamento.

Forse, dopotutto, non sarà così difficile, si disse. Anzi, poteva addirittura rivelarsi uno spasso.

Stringendo sua moglie fra le braccia, Michael tornò a baciarla. E a baciarla.

23

Dopo le nozze, Jeffers dedicò tre giorni a raccogliere fondi e a tenere discorsi lungo la costa orientale, facendo sosta presso ogni comunità mutante da Baltimora a Bangor. Al momento di accompagnare Andie dallo spazioporto a casa sua, erano entrambi esausti.

Andie si distese sul sedile del libratore, assaporando la morbidezza della lussuosa tappezzeria blu scuro.

Jeffers affrontò una curva con scrupolosa precisione.

È bravo in tutto quel che fa, pensò Andie. Cullata dal ritmo del motore, finì col scivolare in un leggero dormiveglia, in cui rivisse alcuni momenti della loro vacanza a Thera.

La voce di Jeffers la strappò ai suoi sogni. «Chissà Ben come se la sarà cavata, in ufficio.»

Andie aprì gli occhi di scatto. «Ottimamente, di sicuro.»

Jeffers le rifilò un’occhiata obliqua. «Vorrei tanto che ti fosse più simpatico.»

Irritata, Andie si tirò su a sedere. «Perché, così non basta?» replicò in tono tagliente.

«Ben mi è stato di enorme aiuto.»

«Quant’è che lo conosci?»

«Oh, anni.»

Jeffers rallentò in prossimità di un incrocio, poi sfrecciò via prima che il semaforo cambiasse.

«Quindi hai conosciuto anche la sua ragazza mutante.»

«No», disse in tono studiatamente indifferente. «No, non l’ho mai incontrata.»

«Be’, lui mi ha raccontato di questa ragazza e di come gli ha conciato la macchina. Roba da matti.»

Sul volto di Jeffers, un sorriso ambiguo. «Cose che capitano.» Fermò il libratore proprio davanti all’ingresso di lei. «Ecco qua, servizio a domicilio.»

«Non male. Vuoi salire?»

«Stasera no, Andie. La mia giornata non è ancora finita.»

«Va bene.» Cercò di non mostarsi delusa.

Un bacio veloce, e Jeffers filò via.

Varcata la soglia dell’appartamento, per prima cosa Andie fece un po’ di coccole a Livia, poi calciò via le scarpe e diede un’occhiata alla posta in arrivo. Eliminò il solito immancabile ciarpame, conservando un messaggio di sua madre da leggere dopo con calma. Un avviso di messaggio urgente dall’ufficio continuava a lampeggiare fastidiosamente, e pur controvoglia finì per richiamarlo.

Emergendo da un verdognolo sfarfallamento, prese forma sullo schermo l’immagine di Ben Canay.

«Andie? Rayma Esteron, sostituto di Jackie Renstrow, ti vuol vedere al più presto. Ha detto che ti aspetta domattina in ufficio. Ho voluto avvertirti.» Le fece l’occhiolino e scomparve.

Diavolo, pensò Andie. Un’altra ficcanaso.

Si ordinò un bourbon dal robobar e incominciò a disfare i bagagli. Livia collaborò saltando sul letto a intrufolarsi fra gli indumenti.

«L’azzurro decisamente non ti dona», spiegò Andie alla sua flessuosa gatta abissina. «Magari il rosso. I mici con gli occhi d’oro dovrebbero preferire il rosso. Prendi esempio dai mutanti.»

Accidenti che matrimonio, pensò. Doveva essergli costato il guadagno di un anno. D’altre parte era pur giusto che i Ryton festeggiassero un po’. Da quando gli era sparita la figlia…

Si raggelò, sotto l’impatto dell’immagine che le era esplosa in mente: una ragazza mutante, dai lineamenti misti caucasico-orientali, che impugnando un coltello se ne serviva per squarciare l’elegante tappezzeria in pelle di un lussuoso libratore.

Melanie.

Ben Canay. No, pensò, non è possibile.

Scolò il bicchiere in tre sorsi e ne ordinò un altro.

E invece potrebbe essere e come, si disse. Devo sapere.

Diede un’occhiata al cronometro a parete. Le sei. Abbastanza presto, di martedì pomeriggio, perché Bailey fosse ancora al lavoro. Compose il numero della polizia di Washington, aggiungendo il codice privato di Bailey. Ci vollero cinque squilli prima che rispondesse. Le borse scure, sotto i suoi occhi, sembravano anche più profonde del solito.