L’altra sospirò. «Speravo che lei avrebbe deciso di collaborare.» Cercò nella borsetta, ne estrasse un sottile portafoglio, lo aprì. Un distintivo dorato percorso dal reticolo bluverde di un complesso oloschema ammiccò ad Andie.
«Signorina Greenberg, sono un’agente dell’FBI. Stiamo conducendo un’indagine sulle finanze del senatore Jeffers. Pare che ingenti somme di denaro siano state e vengano tuttora stornate dal vostro ufficio.»
«Cosa? E a che scopo?»
«È quello che vorremmo scoprire.»
«Ma perché dirmelo? Non ha paura che possa parlarne a lui?»
La Esteron annuì. «Francamente sì. Siamo a conoscenza della sua relazione col senatore. Tuttavia lei è una delle uniche due persone nonmutanti che lavorano in quell’ufficio. E, capirà, non possiamo certo rivolgerci a Canay.»
«Che intende dire?»
«Joe Bailey è mio amico», rispose l’agente in tono pacato. «E anche suo. È preoccupato per lei. Dopo la vostra conversazione di ieri pomeriggio mi ha chiamato. Abbiamo messo immediatamente il suo appartamento sotto controllo. Per questo, stamattina, mi ha trovato ad aspettarla nonostante l’ora.»
«Bailey le ha detto di Canay?» Andie scosse la testa. «Lo ucciderò, quel chiacchierone!» esclamò stringendo i pugni. Poi i suoi occhi incontrarono quelli di Rayma Esteron, e alle labbra le affiorò quasi un sorriso.
«Be’, se decide di farlo lo tenga per sé.» Nella voce della Esteron aleggiava un pizzico di amichevole ilarità. Ma il suo volto era serio. «Signorina Greenberg, noi nutriamo forti sospetti nei confronti di Canay. Il senatore potrebbe anche essere innocente. Nel caso dubitasse delle mie affermazioni, posso mostrarle i riscontri contabili. Ma sono convinta che lei mi crede.»
«Ha ragione.»
«Bene. Vorrei dunque chiederle di aiutarci nelle indagini.»
«Cosa?» Andie la fissò incredula.
«Dovrebbe semplicemente riferirci quello che vede, una volta al giorno.»
«Non credo di poterlo fare.»
Rayma Esteron sorrise lievemente. «Si rende conto, vero, che se il senatore o il signor Canay venissero incriminati per appropriazione indebita e falso in bilancio lei potrebbe essere accusata di complicità?»
«Si risparmi pure le sue ridicole minacce», replicò Andie. «Come senza dubbio risulterà dai vostri documenti, io sono avvocato, e saprei benissimo come difendermi in un’aula di tribunale. Innanzitutto parlerei di deliberati atti discriminatori e persecutori nei confronti dell’unico senatore mutante presente in Congresso. E poi, se siete andati in giro a curiosare quanto credo, dovreste sapere che non agirò mai contro Stephen per fare un piacere a voi. Mai.»
«Temevo che l’avrebbe presa a questo modo.» Per un attimo lo sguardo dell’agente si perse, pensieroso, fuori del finestrino. «Gli dirà tutto?»
«Non lo so.» Andie sollevò le mani in un gesto di esasperazione. «Ma perché dovete coinvolgermi in questa storia? Perché il vostro lavoro non lo fate da voi?»
«Ci serve il suo aiuto.»
«Be’, fatevi aiutare da qualcun altro.»
«Solamente lei ci può aiutare.»
«E allora mi sa proprio che vi è andata male!» esclamò Andie con voce aspra. «Jackie Renstrow lavorava per voi?»
«Sì, era una nostra informatrice. E sospettiamo che la sua morte sia da collegarsi a questa vicenda.»
«Non ci posso credere», ribatté Andie. «E non ci credo. Stephen non può essere implicato in niente di tutto questo.»
«Speriamo di no.»
Andie si sforzò di mantenere l’autocontrollo. «Non voglio discuterne oltre. Gradirei solo essere riportata al mio luogo di lavoro.» E, incrociate le braccia, fissò ostentatamente lo sguardo all’esterno, verso i primi, esitanti raggi di sole.
«Come vuole», assentì Rayma Esteron con voce sommessa, colma di rammarico. Premette un pulsante e il libratore svoltò al primo angolo, invertendo la rotta in direzione Campidoglio. Per tutto il resto del viaggio nessuna delle due aprì bocca.
Il libratore tornò esattamente da dov’era partito, fermandosi dinanzi all’ingresso di servizio dell’ala nord. Mentre Andie scendeva, Rayma Esteron le porse un’olocarta.
«Se dovesse cambiare idea.» Poi l’agente le rivolse un breve cenno di saluto e se ne andò.
Andie si affrettò a salire in ufficio. Erano passate da un pezzo le sette. Possibile che il colloquio con la Esteron fosse durato tanto? Aveva le idee confuse. Un palpito incessante le aggrediva le tempie. Si programmò una tazza di caffè. Cosa poteva dire, a Jeffers? Il colpevole doveva essere Canay. Stephen non avrebbe mai commesso qualcosa di illegale. Mai.
Arrivò Canay vispo e baldanzoso. Nel vederla le fece un gran sorriso.
«Buon giorno! Mattiniera, eh?»
Andie si sforzò di ricambiare il sorriso. «Dev’essere che non riesco a star lontana dall’ufficio.»
Si risvegliò, insistente, l’avvisatore del terminale. Una chiamata di Jeffers, seduto all’interno del suo libratore.
«Andie, grazie a Dio ti ho trovata. Prima ho provato da te, ma non c’eri.»
«Stephen, è successo qualcosa?»
«Ho dimenticato a casa una della mie videoborse, e alle otto in punto ho una colazione di lavoro. Potresti mandare un fattorino a prenderla?»
Un’ispirazione repentina le attraversò il cervello con la forza di un cortocircuito.
«Non mi fido, dei fattorini», rispose. «Potrei fare una corsa io, a prenderla. Tanto ho una mattina poco impegnativa.»
Sul viso di Jeffers si allargò un sorriso di sollievo. «Davvero non ti scoccia?»
«Anzi, lo faccio volentieri.»
«È sul tavolino dell’ingresso, proprio vicino alla porta. Trasmetterò alla serratura di lasciarti entrare.»
«Perfetto.»
«Andie, non so come ringraziarti.» Le fece l’occhiolino e chiuse la comunicazione.
La corsa in taxi fino al lussuoso quartiere di Jeffers richiese un quarto d’ora. Il paesaggio mutò rapidamente dalla marmorea nobiltà degli edifici governativi all’armoniosa eleganza di abitazioni suburbane, inserite in una cornice di fitte macchie arboree e curatissimi giardini. Una zona pittoresca persino in inverno, pensò Andie.
Mentre scendeva davanti alla villetta di Jeffers, un pallido sole riuscì finalmente ad aprirsi un varco fra le brume del mattino. Andie poggiò il palmo della mano sull’apertura romboidale dell’analizzatore. La serratura rispose con uno scatto, consentendole di entrare.
Il vestibolo riceveva abbondante luce da opalini pannelli color avorio. La videovaligetta di Jeffers era esattamente dove aveva detto lui: stava infatti poggiata sopra un lucido tavolino a parete accanto alla porta.
Andie non era mai stata in casa di Jeffers. Afferrata la videoval, risalì guardinga alcuni scalini ricoperti di moquette verdescuro sbucando in un’ampio, soleggiato ambiente rivestito con pannelli in tek. Da sinistra si dipartiva un lungo corridoio. La prima stanza in cui giunse conteneva un terminale a scrivania, uno schedario magnetico, un idrodivano grigio. Mise giù la videoborsa e fissò il monitor.
Ho assolutamente bisogno di sapere, si disse.
A mo’ di prova, batté sulla tastiera un codice qualsiasi.
Lo schermo rimase vuoto.
Neppure il codice del terminale dell’ufficio diede alcun esito.
Continuò a osservare il video. Jeffers aveva programmato la serratura in modo da lasciarla entrare. Come fare per convincere il terminale a usarle la medesima cortesia? Occhieggiò il sensore palmare a lato della tastiera.
E se tutti gli aggeggi elettronici di casa fossero stati serviti dallo stesso circuito di protezione? Poteva darsi che Jeffers, non volendo, le avesse dato accesso anche al terminale… Poggiò il palmo sulla nicchia. Lo schermo si accese immediatamente.
Andie percorse l’interminabile elenco di file. Da dove incominciare?