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Jeffers le lanciò un’occhiata sospettosa. «Sai anche del progetto supermutante?»

Lei annuì.

«Non ho potuto farne a meno», spiegò con voce concitata. «Le mie risorse personali non erano sufficienti. Non c’era altro modo. Con un po’ più di tempo a disposizione avrei potuto occultare ogni prova, e l’Ufficio Generale Contabilità non avrebbe scoperto nulla.» Dopo una breve pausa continuò deciso. «Ma non capisci che un mutante potenziato rappresenta il prossimo logico gradino nell’evoluzione umana? Sarebbe criminale ostacolare il progredire dell’umanità.»

«Quello che hai fatto tu, è criminale!», ribatté Andie. «Stephen, ti rendi conto che hai finanziato attività come il sequestro di minori, l’esecuzione di esperimenti genetici illegali e persino l’omicidio? Non provi nessun disagio, a rifletterci?»

«Il fine giustifica i mezzi.»

Andie lo scrutò con grave attenzione, come se si trattasse di un essere piovuto da un altro mondo. «Quale fine? Hai ucciso una donna coraggiosa, una degnissima esponente dalla causa mutante. Non c’è giustificazione a un crimine del genere. E poi dove sarebbe, il tuo famoso supermutante?»

«Ci riusciremo. Questione di poco.»

«Ancora però non ci siete riusciti.»

«Sei sicura di non voler lavorare con me?»

Comprese all’istante che, in pratica, lui le stava offrendo la possibilità di sopravvivere. Ma il prezzo era troppo alto.

«Non posso.»

Con espressione di rammarico, Jeffers scosse la testa.

«Peccato. Sei una donna abbastanza in gamba, per essere una normale.» Le si sedette accanto sospirando. «E adesso che ne faccio, di te?»

Andie si sentì attanagliare dal panico. «Lasciami andare, Stephen», lo supplicò affannosamente. «Ti giuro che non dirò mai nulla…»

«Andie, non sono così ingenuo. Anche ammettendo che in questo momento tu sia assolutamente sincera, prima o poi non potresti fare a meno di rivelare quanto hai saputo. Immagino quindi che l’unica soluzione logica consista nell’assicurarmi che tu non possa comunque far nulla.»

«No!»

Scattò in piedi e corse verso la porta. Ma egli la inseguì con agilità felina, riacchiappandola a metà scale e afferrandola in una morsa poderosa.

«Assassino! Ti sei servito di me!» gli urlò.

«Ma credevi davvero di interessarmi oltre i limiti di un banale esperimento sessuale?» replicò Jeffers in tono sprezzante.

Tentò, con gesto disperato, di artigliargli la faccia.

Per evitare quel colpo feroce lui si ritrasse di scatto, dandole modo di sfuggire alla sua stretta. Spinta da una forza che nasceva dalla paura, Andie balzò su per le scale, proiettandosi di slancio lungo il corridoio e poi dentro la camera di lui. Sbatté la porta, la chiuse a chiave, e si guardò attorno per trovare nella stanza un qualche mobile che contribuisse a ostacolare l’inseguitore. Ma proprio mentre spingeva verso la soglia il pesante cassettone di quercia, sentì la serratura girare e vide riaprirsi la porta. Aveva dimenticato i suoi poteri telecinetici. Mani invisibili si impadronirono di lei e la trascinarono verso l’uscita, dove l’attendeva Jeffers.

Ridendo brutalmente egli l’afferrò, mandandola a sbattere contro il muro con una violenza che la lasciò senza fiato.

Andie boccheggiò in cerca d’aria. Gli occhi dorati di Jeffers le scavarono dentro, togliendole la voglia di lottare.

«Sei un telepate?» gli domandò con voce fievole. «Ma allora la telecinesi?…»

«Possiedo entrambi i poteri», le rispose. «Non ti sei chiesta come ho fatto a curare quel ragazzo, sulla spiaggia?»

«Credevo che tutti i mutanti fossero potenziali guaritori.»

Jeffers sbuffò. «Normali! Mai una volta che riusciate a capirci davvero.»

Gli si abbandonò dolcemente fra le braccia. Jeffers le appoggiò una mano su ciascuna tempia.

«Sì, davvero un peccato», soggiunse. «L’addetta stampa del senatore Jeffers s’è presa un brutto esaurimento nervoso proprio prima delle elezioni. Necessita di cure e attenzioni incessanti; è ridotta a un vegetale, né più né meno.»

D’un tratto la sua espressione cambiò.

«Forse sarebbe meglio l’ipnosi», disse. «In quel modo potresti tornare ancora utile.»

La trascinò accanto a sé sul letto.

Del tutto inerme, lei venne immediatamente catturata dal suo sguardo scintillante.

«Tu sai che sono innocente», le disse con voce sommessa. «Sai che Canay ha collaborato con i miei nemici per screditarmi. È stato lui a falsificare i documenti contabili, e tu l’hai aiutato.»

Usava un tono di voce suadente, insinuante. Le pose una mano sulla guancia come una carezza, e la lasciò lì.

«Sì, tu e la tua rete di sabotatori. Avete lavorato contro di me per tutto questo tempo, probabilmente in combutta con Horner. Perché voi odiate i mutanti. E avete corrotto giovani come Canay, insegnando anche a loro a odiarci.»

«Odiare?» ripeté Andie con voce già incerta. «Chi?»

Jeffers tagliò corto. «Stasera chiamerai Cable News e renderai piena confessione, ammettendo le tue colpe.»

«Le mie colpe.» Le parole di Jeffers incominciavano a riecheggiarle ossessive nella mente. Avrebbe voluto controbattere, ma si sentiva la lingua spessa, impastata. E i pensieri confusi. Le sue colpe. Sì, le sue colpe. Chiuse gli occhi.

Cento, novantanove, novantotto, novantasette, novantasei…

Una possente cacofonia esplose nel cervello di Andie: voci, centinaia di voci che intonavano monotone una serie di numeri. E la voce di Jeffers, che sbraitava nel tentativo di soverchiare il prorompente coro. Senza riuscirci.

Ottantasei, ottantacinque…

Sentì che Jeffers allentava la presa, ma continuò a tenere gli occhi chiusi.

Sessantadue, sessantuno…

Il coro si ridusse a un sussurro, poi tacque.

Andie riaprì gli occhi.

Jeffers giaceva scompostamente a terra, privo di sensi.

Mi venisse un accidente, pensò Andie. Ha funzionato. La ridicola difesa mentale di Skerry ha funzionato!

Si alzò in piedi con gran cautela. La stanza le roteava attorno. Aggirò barcollando il corpo di Jeffers e imboccò malferma il corridoio, fermandosi solamente a recuperare il videotaccuino. Sentiva l’equilibrio migliorarle a ogni passo. Quando giunse alle scale, già correva.

Schizzò fuori dal portone principale, scavalcò una siepe, mise un piede in una pozza d’acqua semighiacciata e superò d’un balzo un’altra fila di cespugli, ritrovandosi in una stradina.

Nessuna traccia di inseguitori.

Corse per cinque lunghi minuti, ansimando a ogni passo. Finalmente, coi polmoni che le bruciavano sotto l’impatto dell’aria gelida, rallentò l’andatura.

Le ci volle un attimo a ritrovare in borsa l’olocarta, e un altro istante ad aprire il videotaccuino. Digitò il numero con mano tremante.

Apparve sullo schermo una gaia ragazza dalle gote rosse.

«FBI, divisione Crimini Speciali.»

Andie trasse un profondo respiro.

«Rayma Esteron», disse. «E in fretta. È urgente.»

24

Ben Canay venne arrestato quello stesso pomeriggio. Ma con Stephen Jeffers non fu così facile. Non ritornò in ufficio e non rispose al numero di casa. Quando gli uomini dell’FBI fecero irruzione nella sua villetta la trovarono vuota. Terminale e schedario non c’erano più. Il senatore mutante era scomparso senza lasciare traccia.

Ci volle una settimana prima che l’FBI togliesse i sigilli all’ufficio, consentendo ad Andie di tornare al lavoro. Quando aprì la porta, rimase inorridita. Le stanze interne erano un vero macello. Sedie rovesciate. Cassetti strappati dalle scrivanie. Fogli di carta, memocassette e dischi sparpagliati dappertutto. Prima che l’FBI intervenisse, Ben Canay aveva fatto in tempo a lasciarsi dietro una scia di distruzione. E nessuno, evidentemente, si era preso la briga di rimettere un po’ in ordine.