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Il resoconto del terzo giorno era un breve riassunto, in cui l’unica novità proveniva dalle ammissioni di Cole rispetto ad alcune accuse minori che gli venivano mosse. Gli altri giornali dei giorni seguenti non portavano nulla di nuovo. Poi il caso di Lola Brent sembrava fosse caduto nel silenzio, senza alcuna soluzione. Negli ultimi due giorni della serie settimanale di due mesi prima, non se ne parlava più. E non ci poteva essere nulla, come sapeva Sweeney, nei giornali relativi alle cinque settimane e mezzo che lui non si era procurato. Prese allora in mano la serie dei giornali di dieci giorni prima e diede una rapida scorsa ai resoconti dell’assassinio di Stella Gaylord, la ragazza di Madison Street. Non cercò i particolari, perché voleva concentrarsi su un solo delitto per volta: per il momento, cercava una possibile citazione della morte di Lola Brent. La trovò nell’articolo del secondo giorno dopo la morte della Gaylord, quando per la prima volta si suggeriva l’ipotesi che il delitto potesse essere stato commesso da un maniaco, forse quel medesimo che sei settimane prima aveva ucciso la Brent. Il pezzo del giorno seguente era lo sviluppo di questa supposizione, con un confronto descrittivo delle ferite inferte alle due donne: entrambe erano state uccise con un colpo vibrato orizzontalmente all’addome, ma l’arma non era la stessa nei due casi. Il coltello che aveva ucciso la Brent non era stato più affilato del normale, mentre la lama che aveva colpito la Gaylord era un filo di rasoio.

Sweeney sorvolò rapido i resoconti degli altri giornali, cercando soltanto ulteriori particolari sul caso Brent; un’idea alla volta era il massimo che la sua mente potesse concepire e assorbire nelle condizioni in cui si trovava. A quanto sembrava, non c’era stata più alcuna scoperta rilevante nel caso Brent. La polizia non era ancora proprio sicura che l’uccisore della Brent fosse il medesimo pazzo omicida, assassino della Gaylord e, dopo altri cinque giorni, di Dorothy Lee. Ma per le ultime due non c’era dubbio che fossero state colpite dalla stessa mano.

Sweeney depose l’ultimo giornale, il più recente, e cercò di raccogliere le idee e di pensare. Ora sapeva tutto quello che era stato rivelato ai giornali sulla morte di Lola Brent, ma non gli serviva a niente. D’altra parte, che cosa poteva servirgli, se non un colpo di fortuna, per andare alla caccia di un omicida che ha ucciso senza motivo? Senza un motivo speciale riferibile alla vittima e non in modo generico a qualunque donna bionda e bella. Ecco, questo era un punto in comune: le tre vittime, così come Iolanda Lang, erano tutte bionde e belle.

Sweeney andò al telefono nell’atrio e formò un numero. Quando ebbe trovato l’uomo che cercava, domandò: — Sammy Cole, quello che viveva insieme alla Brent, quando era al mondo, è sempre in carcere qui a Chicago?

— Sì — gli rispose il suo interlocutore. (Non posso rivelarvene il nome, perché fa ancora quel mestiere, ci si trova bene e lo metterei nei guai. Sweeney, vedete, sapeva qualcosa su di lui: di solito non si pensa che i giornalisti sappiano cose importanti sui pubblici ufficiali, invece accade spesso.) — Sì, è ancora dentro. Potremmo averlo rilasciato, ma le sue note stanno ancora arrivando e, ogni volta che stiamo per mollarlo, dobbiamo fermarlo per un’accusa di frode.

— Vorrei parlargli — disse Sweeney — questa sera stessa.

— Stasera? Ma senti, Sweeney, non puoi aspettare domani, nelle ore regolamentari? Sono già passate le sette e…

— Pensaci tu — replicò Sweeney — io prendo un taxi e arrivo.

Ecco come, circa mezz’ora dopo, Sweeney sedeva sul tavolo del custode, e Sammy Cole su una sedia di paglia davanti a lui. Erano soli nella stanza. Stando alla fotografia che Sweeney aveva osservato poco prima sul giornale, Sammy Cole era riconoscibile, per quanto molto a stento. I capelli erano neri, ma tagliati troppo corti per vederne i ricci, e la faccia era rudemente desolata, invece che rudemente simpatica.

— Io a loro gliel’ho detto — diceva Sammy Cole — gliel’ho detto ogni dannato giorno. Ho sputato fuori tutto di me perché avrei proprio voluto vederlo prendere quello che mi ha conciato Lola in quella maniera. Poteva anche darsi che fosse uno immischiato in qualcosa che lei faceva, no? Perciò io ho sputato fuori tutto, e che cosa me ne è venuto? Tanti guai che quando uscirò di qua, e se uscirò, andrò a vendere matite!

— Brutta storia! — disse Sweeney e, traendo di tasca una busta e una matita, scrisse: Vuoi bere qualcosa? e porse il messaggio a Sammy.

— Gesù Cristo! — esclamò Sammy Cole, non senza profondo rispetto. Per chiunque fosse stato ad ascoltare, era una risposta oscura, ma Sweeney prese dalla tasca posteriore la bottiglia che aveva comperato in drogheria e che era ancora piena per tre quarti, e la porse a Sammy. Sammy gliela restituì vuota e, pulendosi le labbra col dorso della mano, domandò: — Che cosa volete sapere?

— Non lo so — rispose Sweeney — è questo il problema: che non lo so nemmeno io. Ma da qualche parte devo ben cominciare. Quando hai visto Lola per l’ultima volta?

— Quella mattina stessa, mi pare, verso mezzogiorno; quando stava andando a lavorare.

— A lavorare? Eri ridotto così a terra da mandare a lavorare lei?

— Insomma… sì e no. Io mi stavo occupando di un affare che prometteva di essere piuttosto grosso, perché ero stanco del piccolo lavoro, fatto tanto per mangiare. Il progetto che avevo, poteva darci una sistemazione, se andava bene, e mandarci a passare l’inverno in Florida. Potete anche ridere, ma ero deciso a rigare diritto dopo il colpo. Per Lola, perché a lei non piacevano i colpi. Per questo lei provvedeva al necessario, mentre io preparavo il piano.

— Anche lei aveva da lavorare in questo piano?

— No. Ero soltanto io. Ma per lei avevamo trovato un lavoretto piccolo, tanto per gli spiccioli, che ci fruttava un centinaio di dollari alla settimana, all’incirca. Quando è morta, si occupava proprio di quello.

— Dove? Che lavoro era?

Sammy Cole si passò la lingua sulle labbra e si chinò con sguardo interrogativo verso la tasca di Sweeney, ma questi scosse la testa e allargò le mani. Sammy sospirò e riprese a parlare. — Era un negozio di articoli da regalo, in Division Street. Si chiama “Da Raoul”. Era il primo giorno che ci lavorava, perciò non ne so che quel poco che mi ha raccontato il giorno prima, quando era andata a presentarsi, e quel che ho visto io alle sei, quando sono andato a dare un’occhiata, come eravamo d’accordo, per il lavoro: quel “Raoul” è una miniera di roba!

— Che cosa significa come eravamo d’accordo per il lavoro? È in relazione con il lavoro di Lola il fatto che tu ci andassi alle sei?

— Il lavoro era organizzato così: Lola doveva trovare un posto di commessa, possibilmente dove si facessero poche vendite grosse. In genere erano negozi piccoli, dove lei restava sola per un poco, mentre il padrone andava a mangiare o a spasso. Dagli incassi, lei toglieva dieci, cinquanta dollari, secondo quel che le sembrava opportuno in base alle vendite. Lavoravamo sul sicuro, perché volevo che lei stesse fuori da tutte le grane. Io entravo nel negozio all’ora che avevamo stabilito prima e lei mi passava il malloppo. Non lo teneva mai su di sé per più di qualche minuto: dopo averlo preso, lo nascondeva in qualche buco e lo tirava fuori un attimo prima che io arrivassi. Una cosa sicura come mangiare un uovo. Quando vedeva che il padrone cominciava ad avere dei sospetti, filava. Non lavorava in nessun posto per più di pochi giorni e poi stava lontano dai dintorni per un bel pezzo. Insomma, avete capito come funzionava.