— No, perché? Non che io sappia con certezza, perché non c’ero. Sono stata al cinema. Vi manca qualcosa?
— Niente di valore — disse Sweeney — forse l’ho preso io quando ero ubriaco, l’ultima volta che sono entrato. Già… e voi non siete più andata in camera mia da ieri mattina?
— No. Anzi, uscite oggi? Vorrei rifarvi il letto e, se andate fuori, posso salire subito.
— Fra pochi minuti avrò sgombrato il campo. Grazie.
Tornò in camera e chiuse la porta, poi, acceso Un fiammifero, esaminò minutamente il segno sulla polvere: sì, c’era un velo lieve di polvere anche sulla forma del rasoio, un velo che aveva metà dello spessore di quello intorno. Quindi, dopo la spolveratura, il rasoio era rimasto ancora là: doveva essere stato asportato nel tardo pomeriggio o nella serata precedente.
Sedette in poltrona e cercò di ricostruire se avesse visto il rasoio quando era rientrato con la statuetta, o anche prima, quando era salito a cambiarsi gli abiti. Non ricordava di averlo visto, ma non lo aveva nemmeno cercato, perché si era sbarbato con il rasoio elettrico di Goetz, nella camera di Goetz.
Mancava forse qualcos’altro? Andò al cassettone e aprì il primo dei cassetti, dove conservava i piccoli oggetti vari. Tutto sembrava intatto, finché gli venne in mente un temperino a due lame che si sarebbe dovuto trovare dentro il cassetto. Ma che adesso non c’era.
Non mancava niente altro: vi erano in bella vista dei gemelli d’oro, che valevano tre o quattro volte il temperino. Vi era una spilla da cravatta con uno zircone, che a un ladro sarebbe potuto anche sembrare un diamante. Ma dal cassetto era stato sottratto solamente il temperino. E dalla stanza soltanto il rasoio.
Sweeney guardò la statuetta e capì quali dovessero essere i suoi sentimenti.
VII
Il rasoio lucente scivolava sulla gola di Sweeney, scendendo sotto il mento per grattare gentilmente all’insu, asportando schiuma e peli e lasciando una superficie morbida e liscia. Infine risalì sulla faccia.
— Prendete l’affare dello Squartatore — diceva il barbiere, mentre puliva il rasoio su una salvietta e lo riportava sulla faccia. — Ha messo in subbuglio la città e ieri sera mi ha anche fatto fermare dagli agenti.
Sweeney grugnì in tono interrogativo.
— Perché avevo con me un rasoio, il migliore che ci sia in commercio, uno Swatty; lo tengo a casa perché qui potrebbero anche portarmelo via e perciò ogni volta mi porto a casa un rasoio, e nessuno ha mai avuto niente da dire. L’ho messo nel taschino della giacca e la punta si vedeva, e guarda tu se un poliziotto non mi ferma per la strada e comincia a far domande. Per fortuna che potevo dimostrare di essere un barbiere, altrimenti mi avrebbe portato dentro senza discussioni. Ma ci è mancato proprio poco. Anche perché tutti dicono che lo Squartatore deve essere un barbiere. Ma non lo è di certo.
Il rasoio grattò nel contropelo e Sweeney domandò: — Come fate a saperlo?
— Le gole. Un barbiere che diventasse matto taglierebbe le gole: tutto il giorno si hanno davanti delle persone con la gola nuda ed esposta e il mento all’indietro e uno non può fare a meno di pensare come sarebbe facile e… insomma, capite!
— Capisco. Anche voi avete provato qualcosa del genere — rispose Sweeney. — Spero che oggi non abbiate di questi impulsi.
— No, non abbiate paura — ridacchiò il barbiere — ma certe volte, così a un tratto… sapete com’è, vengono certe idee in testa…
— A voi! — replicò Sweeney. Il rasoio grattò ancora.
— Una delle tre ragazze che ha ammazzato — continuò il barbiere — lavorava a pochi passi da qui, nel locale all’angolo.
— Lo so — disse Sweeney — stavo andandoci. La conoscevate voi?
— L’ho vista diverse volte, abbastanza da riconoscerla quando hanno pubblicato la fotografia sul giornale. Ma non vado in quei locali molto spesso, coi miei incassi. Senza accorgersene uno si trova con cinque o dieci dollari di meno fra le mance, il bere e il resto. Non che io non sia pronto a spendere cinque o dieci dollari per ottenere qualcosa di più di una «conversazione» con una donna, dato che di chiacchiere ne sento abbastanza tutto il giorno! I seccatori che si siedono su questa poltrona! — E picchiettando sulla faccia di Sweeney un panno umido e caldo, continuò: — Ma, in ogni caso, lo Squartatore adopera un coltello invece di un rasoio. Si potrebbe certo usare anche un rasoio in quella maniera, ma mi pare che debba essere troppo difficile tagliare così profondamente come fa lui, perché si dovrebbe sfilare il manico per avere una buona presa nel tagliare e allora sarebbe quasi impossibile portarlo con sé. Anche perché, se qualcuno lo vedesse, sarebbe come una confessione. Io credo che adoperi un temperino, e di misura piccola, che possa essere portato tranquillamente: uno di quelli importati prima della guerra, con la lama di vero acciaio, in modo da essere affilata come una lama di rasoio. Debbo tagliarvi i capelli?
— No — rispose Sweeney.
— Voi che cosa credete che usi lo Squartatore? Un coltello o un rasoio?
— Mah… — rispose Sweeney, alzandosi. — Quanto vi devo? — Pagò e uscì nel torrido sole di agosto, dirigendosi verso l’indirizzo che aveva letto sul giornale. Il locale aveva un aspetto scintillante: le scritte al neon, di un rosso malinconico nel sole, proclamavano che quello era il locale di Susie, dove le vetrate esagonali erano riparate all’interno da pesanti tende, e portavano in mostra pudiche fotografie rappresentanti impudicissimi esemplari di femminilità. Se ci si provava, dai vetri sfaccettati si poteva anche guardare nell’interno. Ma Sweeney non provò: spinse addirittura la porta ed entrò. C’erano fresco e oscurità, e mancavano i clienti. Un barista ciondolava ozioso dietro il bar, all’estremità del quale sedevano due ragazze, vestite una di rosso e l’altra di paillettes biancodorate. Nessun bicchiere appariva davanti a loro, e tutti si voltarono a scrutare Sweeney, quando entrò.
Egli sedette su uno sgabello a metà del bar e posò sul banco un biglietto da cinque dollari. Subito il cameriere si avvicinò, e la ragazza vestita di rosso si preparò a scendere dal proprio sgabello. Il cameriere la superò in velocità e Sweeney fece in tempo a chiedergli whisky e selz, prima che quella, ormai sullo sgabello vicino a lui, esclamasse: — Ciao.
— Ciao — rispose Sweeney. — Sola?
— Questo devo dirlo io, tocca a me. Mi puoi offrire da bere, se vuoi.
Sweeney annuì, mentre il barista stava già riempiendo il bicchiere, per poi allontanarsi discretamente e lasciarli in solitudine. La fanciulla in rosso rivolse a Sweeney un sorriso luminoso. — Sono felice che sei venuto. È stato sempre un mortorio oggi, da quando sono arrivata. Andiamo a sederci in uno dei salottini? Mi chiamo Tess, te lo dico, così ci siamo presentati. Su, andiamo in un salottino, e Joe ci porterà…
— Conoscevi Stella Gaylord?
Troncando la frase a metà, la ragazza fissò Sweeney, e domandò: — Non sei un altro poliziotto, vero? Qui pullulavano, dopo quanto è successo a Stella.
— Allora la conoscevi — disse Sweeney. — Bene. No, non sono un poliziotto, sono un giornalista.
— Uno di quegli altri. Posso bere, per piacere?
Sweeney assentì, e il cameriere, che non si era recato poi molto lontano, accorse subito a versare.
— Parlami di Stella.
— Parlarti come?
— Tutto quello che sai. Pensa che io non abbia mai sentito parlare di lei. Tanto più che, agli effetti pratici, veramente non ne ho sentito parlare, perché non ho lavorato al caso, quando è avvenuto. Ero in vacanza.
— Oh, e adesso ci stai lavorando?
Sweeney sospirò: doveva soddisfare la curiosità della ragazza, prima che lei potesse soddisfare la sua. — Non per il giornale — disse — debbo scrivere la storia per una rivista di cronaca nera e romanzi gialli. Non solo di Stella, ma di tutto il caso dello Squartatore. Ma la potrò vendere solamente quando il caso sarà risolto, perché gli editori non si occupano di casi rimasti insoluti. Però voglio essere pronto a scriverla subito e voglio avere tutti gli elementi, non appena il caso sarà risolto.