Nella notte percorreva Ontario Street, protestando ad alta voce, senza neppure accorgersene. Vedeva se stesso e si osservava. Il Grande Sweeney Che Cammina Nella Notte, e cercava di allontanare quell’immagine dalla sua mente, senza riuscirvi. Aveva fatto male a specchiarsi, ma c’era anche qualcosa di peggio: ora che si osservava, sentiva anche l’odore della sua persona, l’afrore del corpo su cui il sudore si era irrancidito. Non si era tolto quei vestiti da… da quando la padrona di casa rifiutava di consegnargli la chiave della sua camera?
Ohio Street. Diavolo, non doveva dirigersi più a sud, o sarebbe finito al Loop. Perciò voltò verso est. Dove stava andando? E che importava? Forse, camminando a lungo, si sarebbe stancato tanto da riuscire a dormire. Però era bene che restasse nei paraggi della piazza, così da avere un posto dove lasciarsi cadere, appena il sonno fosse arrivato.
All’inferno! Avrebbe fatto qualsiasi cosa per un bicchierino; qualsiasi, tranne, naturalmente, incontrare una persona conosciuta.
Sul marciapiede camminava verso di lui qualcuno: un bel ragazzo con una magnifica giacca a quadri. I pugni di Sweeney si strinsero. Che probabilità aveva di colpire il bel ragazzo, strappargli il portafoglio e scappare per un vicolo? Ma non si era mai provato in simili imprese e le sue reazioni erano troppo lente. Davvero troppo lente: il bel ragazzo, costeggiando il marciapiede, aveva girato l’angolo ed era scomparso, prima che Sweeney avesse finito di raccogliere le idee.
Un’auto giunse procedendo a passo d’uomo lungo il marciapiede. Sweeney riconobbe un’auto d’ordinanza della polizia, occupata da due massicci poliziotti, e gli parve di svenire al pensiero del pericolo corso. Si concentrò tutto nel tentativo di camminare diritto, con l’aspetto sobrio e normale. Accorgendosi poi che stava ancora imprecando contro se stesso, tacque di botto, riflettendo che sarebbe stato supremamente sciocco farsi fermare dagli agenti proprio in quel momento, così da trovarsi ad affrontare un avvenire privo di qualsiasi tipo di beveraggio. Nel frattempo, l’auto era passata senza fermarsi.
All’angolo di Dearborn Street, Sweeney esitò un attimo, poi si diresse di nuovo a nord, per State Street. Lungo la via rumoreggiò un autocarro, strombazzando come se annunciasse la fine del mondo. Lo seguì un taxi, diretto a sud, e Sweeney per un minuto prese in considerazione la possibilità di fermarlo e di farsi portare al bar Randolph, pregando l’autista di aspettarlo mentre lui sarebbe entrato a chiedere un prestito a qualcuno. Però, dato il suo aspetto, il taxi non si sarebbe forse fermato… e, comunque, mentre lui stava meditando, era già scomparso.
Voltò deciso in State Street. Dopo aver costeggiato l’Erie, ora camminava lungo l’Huron e si sentiva un po’ meglio. Non molto, solo un poco meglio di prima. Era arrivato alla Superior Street e pensò con ironia a se stesso. Sweeney il Superiore… Sweeney Che Cammina Nella Notte e Nel Tempo…
Fu in quel momento, quasi all’improvviso, che gli apparve la folla raccolta all’ingresso di un edificio, a pochi metri da lui. Non era una folla numerosa: una dozzina circa di persone variamente assortite, quella strana e particolare specie di personaggi che può raccogliersi in State Street alle due e mezzo di mattina, per scrutare attraverso una vetrata chiusa nell’atrio di un edificio. Si udiva anche nel silenzio un curioso rumore che Sweeney non riusciva a identificare con precisione. Era una specie di brontolio selvaggio e animalesco.
Sweeney non affrettò il passo: probabilmente, pensò, si trattava di un ubriaco, che era caduto per terra o era stato ferito e ora giaceva incosciente, o morto, in quell’atrio, in attesa che un’ambulanza arrivasse a raccoglierlo. Ed era altrettanto probabile che giacesse in una pozza di sangue, dato che, se fosse stato semplicemente morto, non si sarebbe formata una folla di dodici persone a osservarlo: gli ubriachi abituali sono fin troppo comuni e conosciuti in quel quartiere di Chicago. Il sangue non attirava Sweeney: nella sua carriera di cronista aveva visto tanto sangue da esserne ormai nauseato. Sarebbe bastata la volta in cui aveva seguito i poliziotti nella sala da gioco di Townsend Street dove si svolgeva un’amichevole riunione a base di rasoi…
Perciò proseguì per la sua strada, oltre il gruppetto di persone, senza nemmeno gettare un’occhiata all’oggetto del loro interesse. Le aveva ormai quasi del tutto superate, quando qualcosa di strano colpì la sua attenzione, costringendolo suo malgrado a fermarsi: dei suoni e il silenzio.
Il silenzio strano era quello che regnava sulla piccola folla (ammesso che una dozzina di individui possa esser chiamata una folla quando si stringe su due file compatte intorno a una porta d’ingresso larga due metri) e, quanto ai suoni, uno era la sirena di un’auto della polizia, che giungeva lungo la Chicago Avenue in procinto di voltare l’angolo di State Street. Sweeney immaginò allora che nell’atrio dell’edificio giacesse il «corpo del delitto», nel qual caso non sarebbe stato opportuno che i poliziotti lo vedessero allontanarsi dalla scena del delitto, poiché lo avrebbero subito acchiappato per interrogarlo. Se invece uno resta incantato a guardare e a farsi spingere via dagli agenti, con la raccomandazione di spicciarsi a circolare, allora può andarsene tranquillamente. L’altro suono che fermò Sweeney era il ripetersi del verso che aveva udito prima e che ora si sentiva ancora più chiaramente, al di sopra del silenzio della folla e frammisto all’ululato della sirena: si trattava realmente del brontolio di un animale.
Considerati tutti questi motivi, qualunque conseguenza sia in seguito nata dal suo gesto, non potrete biasimare Sweeney se si fermò a guardare.
Com’era logico, non riusciva a scorgere nulla, oltre le schiene di quella dozzina di spettatori assortiti. Né poteva udire niente, eccetto il brontolio selvaggio davanti a sé e la sirena alle sue spalle, mentre l’auto della polizia girava l’angolo.
In quel momento, fosse per il suono della sirena, o fosse per il ringhio dell’animale, alcuni degli spettatori al centro del gruppo si ritirarono dalla porta a vetri dell’edificio, e Sweeney la scorse chiaramente e insieme vide al di là della vetrata. Non si vedeva bene, perché l’atrio non era illuminato se non dalla pallida luce dei lampioni stradali, che penetrava fin nell’interno. Scorse anzitutto il cane, perché era il più vicino alla porta, con la testa diritta a guardar fuori. Cane? Dato che si era a Chicago bisognava considerarlo tale, ma se lo aveste incontrato in un bosco, l’avreste creduto un lupo e anche un lupo di dimensioni e ferocia ragguardevoli. Stava rigido sulle zampe, a un metro circa dalla vetrata: il pelo del collo irto, le labbra stirate in un ringhio prolungato, che gli scopriva i denti lunghi un pollice, e gli occhi d’un bagliore giallo nell’ombra.
Quando quello sguardo giallo, apertamente selvaggio, si incrociò ostile col suo sguardo stanco, Sweeney rabbrividì un poco e volse gli occhi altrove, a disagio, sentendo quasi scomparsa l’ubriachezza. La belva lo fissava ed egli guardò invece l’oggetto che giaceva sul pavimento, dietro al cane, nella parte laterale dell’atrio. Era una figura di donna, col viso contro terra. E la definizione «figura» è usata appositamente. Anche nella penombra, le spalle candide splendevano, uscendo da un abito bianco, senza spalline: un abito da sera di raso, che accompagnava morbidamente ogni meravigliosa linea del corpo, le linee almeno che sono visibili di un corpo di donna giacente bocconi, così che Sweeney al vederla restò senza respiro.
Il volto non era visibile, perché la figura gli mostrava soltanto la nuca bionda dai capelli corti, ma lui «sapeva» con certezza che quel volto sarebbe stato meraviglioso. Doveva esserlo, poiché nessuna donna può avere un corpo così bello, senza che anche il viso gli si accordi.
Gli parve che la donna si fosse mossa, sebbene quasi impercettibilmente. Il cane ringhiò ancora con un tono basso in contrasto con lo stridio acuto dei freni dell’auto che si fermava in quel momento all’angolo della strada. Senza voltarsi, Sweeney udì aprire gli sportelli della vettura e sentì i passi pesanti degli agenti. Una mano sulla spalla di Sweeney lo spinse da parte in maniera brusca, mentre una voce domandava, con tono sbrigativo e pratico: — Che succede? Chi ha telefonato?