— Trovato qualcosa, Sweeney? Una traccia?
— No.
Greene sospirò profondamente. — Carissimo nemico del mio cuore, ho paura che non vi fidiate di me.
— E dovrei fidarmi?
— In un certo senso, solo quello che vi indicherò io. Cioè per quanto riguarda trovare lo Squartatore. — Si curvò avanti con i gomiti sulla tavola. — Per quanto riguarda Iolanda, no. Per quanto riguarda voi personalmente, no. Per quanto riguarda il denaro, no, benché questo argomento non abbia ragione di esistere tra noi. Ma per quanto riguarda lo Squartatore sì, potete fidarvi di me. Perché io starò in pena per Iolanda finché quello sarà in libertà. Preferirei addirittura che fosse ucciso, invece che preso, dato che ha osato toccarla.
— Con una lama fredda — disse Sweeney — e non con una mano ardente.
— Qualunque cosa. Comunque, è passato. Ma il futuro mi preoccupa: per ora ci sono due guardiani con Iò, in ogni momento, a tre turni di otto ore l’uno. Ma la polizia non continuerà così per l’eternità. Trovatemi lo Squartatore, Sweeney.
— E poi?
— Poi, potete andare al diavolo.
— Grazie, Doc. L’unico guaio è che voi siete talmente sincero, che non posso credervi.
Greene sospirò di nuovo. — Sweeney, non voglio che perdiate tempo a sospettare di me. Anche la polizia ci aveva fatto un pensierino, dato che non potevo fornire un alibi per l’ora in cui lo Squartatore attaccò Iolanda. Non so dove mi trovassi, salvo che ero nella South Side, con una cliente, una cantante del Club Cairo, fino a mezzanotte, e avevo piuttosto bevuto. Andai a casa, ma non posso provare quando ci sono andato e poi non lo so nemmeno io, quando.
— Tutto può essere — replicò Sweeney — ma perché dovrei crederci?
— Per la stessa ragione per cui ci ha creduto la polizia. Perché succede anche che io abbia dei solidissimi alibi per altri due degli attacchi dello Squartatore. Sono andato a cercare, e la polizia è andata a controllare quel che avevo detto io. Per il caso Brent, due mesi fa, non ho potuto trovare dov’ero: è passato troppo tempo ormai. Ma per il secondo… come si chiamava?
— Stella Gaylord.
— È stato nella notte del ventisette luglio e io mi trovavo a New York per affari, dal venticinque al trenta del mese. E la sera del ventisette per mia fortuna mi sono trovato anche con persone orribilmente rispettabili dall’ora del pranzo alle tre del mattino. E non perdete tempo a chiedermi cosa facevo io insieme con della gente rispettabile, perché non ha alcuna importanza. Lo ha controllato la polizia, potete chiederlo all’ispettore Bline. E il primo agosto, nel momento in cui è stata ammazzata la segretaria, quella Dorothy Lee, io ero qui a Chicago, ma, guarda caso, ero in tribunale a testimoniare in un processo per rottura di contratto contro un agente teatrale. Il mio alibi è stato avallato dal giudice Goerring, dal sergente, dal cancelliere e da tre avvocati, uno mio e due dell’avversario, tutti quelli che ho potuto trovare. Ora, se volete che io sia un mezzo Squartatore, al lavoro nel primo e nell’ultimo caso e in vacanza nel secondo e nel terzo, siete il benvenuto. Ma non siete poi così stupido neppure voi.
— C’è qualcosa di vero — ammise Sweeney, prendendo di tasca un foglio di carta e una matita. — Voglio occuparmi di un solo alibi. Nella sezione del giudice Goerring, avete detto? Dà quando a quando?
— La causa è stata chiamata alle tre e ha proseguito fin dopo le quattro. Prima di cominciare sono stato a discutere con gli avvocati per mezz’ora nell’anticamera dell’aula. Stando ai giornali, la Lee lasciò, viva, l’ufficio, alle tre meno un quarto, per recarsi a casa. Fu trovata morta in casa sua alle cinque, e la morte è stata fatta risalire a un’ora prima circa. Perdio, Sweeney, non avrei potuto combinare un piano di difesa migliore! Fu uccisa nel momento preciso in cui io stavo sul banco dei testimoni, a tre chilometri da lei. Vi basta questo?
— Lo accetto — continuò imperterrito Sweeney. — Come si chiamavano gli avvocati?
— Siete duro, Sweeney. Perché volete sospettare di me? Nello stesso modo potreste sospettare di Joe Blow, al bar, o dell’uomo vicino a lui!
— Perché qualcuno ha perquisito la mia stanza stanotte. Solo un rasoio e un temperino sono stati presi, e lame e rasoi si collegano con la faccenda dello Squartatore. Fino a ieri sera, soltanto un numero incredibilmente limitato di persone era al corrente del mio interesse per lo Squartatore. E voi eravate una di queste.
Greene rise. — E io come l’ho capito? Leggendo la storia che avete scritto per il “Blade”. Qual è la tiratura del “Blade”? Mezzo milione di copie?
— Scusatemi allora se sono ancora vivo — ribatté Sweeney. — Vi offrirò da bere per questo, Doc.
— Bourbon liscio. E ora, ditemi, avete trovato una strada buona?
Sweeney rispose solo dopo aver dato gli ordini al cameriere. — Non una traccia — disse e, puntando la matita sulla carta, continuò: — Come si chiamavano gli avvocati?
— Credevo che voi foste un segugio, Sweeney, ma invece siete un mezzo bulldog. Il mio avvocato è Hymie Fieman, nel Central Building. Gli altri erano dello studio Raenough, Dane e Howell. Dane, Charles Dane, mi sembra, e un giovane neofita che lavora nello studio, ma non è ancora socio della ditta, erano presenti alla causa. E il giudice era Goerring, G-o-e-r-r-i-n-g. È un repubblicano, perciò non si presterebbe a favorire uno squartatore.
Sweeney accennò di sì, con moderazione. — Vorrei uscire da quest’incubo e riflettere con calma. Sono nervoso come un gatto.
Spiegò il foglio di carta appallottolato e lo lisciò perfettamente. Poi lo appoggiò sulla mano destra aperta e volta in su. Il lieve tremito, ingrandito, si propagava agli orli del foglietto.
— Meno peggio di quanto pensassi. Scommetto che voi non riuscireste a fare di meglio. — Guardò Greene. — Scommetto cinque dollari.
— Non batterei mai un uomo al suo gioco — disse Greene — non ho neppure mai provato, ma voi mi ci attirate. Siete un relitto umano, e io ho nervi d’acciaio.
Greene prese il foglio e lo appoggiò in equilibrio sul dorso della mano. Tremò leggermente, ma molto meno che sulla mano di Sweeney.
Sweeney osservava molto attentamente il foglietto e domandò all’improvviso: — Doc, avete mai sentito parlare della «Statua che urla»?
La vibrazione agli orli del foglietto non mutò e, guardandolo, Greene disse: — Credo di aver vinto, Sweeney. Finita la scommessa?
Non ci fu risposta, ma Sweeney imprecò silenziosamente contro se stesso. L’uomo che aveva comperato la statuetta non poteva conoscere il nomignolo che le era stato attribuito nella ditta: Lola Brent, commessa nuova nel negozio, non avrebbe potuto dirglielo.
— Una statuetta nera, di una donna che urla.
Doc Greene alzò gli occhi dal foglio di carta, ma le vibrazioni di quest’ultimo non mutarono, per quanto Sweeney lo fissasse.
Doc appoggiò la mano sul tavolo. — Che cos’era? Un tranello?
— Lo era, Doc. Ma avete vinto la scommessa — disse Sweeney, porgendogli i cinque dollari. — Ne vale la pena. Avete risposto alla mia domanda, così adesso posso credervi.
— Avete detto «La statua che urla»? Non ne ho mai sentito parlare.
— Io non avevo ragioni sufficienti per credere alle vostre parole, Doc, ma posso credere a quel pezzo di carta…
— Intelligente, Sweeney. Uno scopritore di bugie casalingo… no, meglio, un segnalatore di reazioni. Mi tengo la vincita della scommessa, ma per berci qualcosa. D’accordo?
Sweeney annuì e Doc fece segno al cameriere. Poi mise i gomiti sul tavolo. — Allora voi mentivate: avete trovato una traccia. Vuotate il sacco, potrei anche aiutarvi.
— Non vorrei correre il rischio di trovarmi un taglio nel pancino.
— Mi sottovalutate, Sweeney. Credo che potrei trovarla, quella traccia, anche senza il vostro aiuto. E adesso ho proprio la curiosità di farlo.