— Provate.
— Benissimo. — Gli occhi di Doc apparivano enormi, con un potere ipnotico, dietro le grosse lenti. — Una statuetta nera, soprannominata «La statua che urla». E molte di queste statuette vengono messe in vendita nei negozi d’arte e di chincaglieria. Una delle ragazze uccise lavorava in uno di questi negozi, proprio nel giorno del delitto. Non ricordo più dove, ma sui giornali lo ritroverei. Se trovassi il padrone e gli domandassi notizie della «Statua che urla» mi servirebbe a qualcosa?
Sweeney alzò il bicchiere. — Vi ho sottovalutato davvero, Doc.
— E io voi, Sweeney, quando quasi mi ero convinto che non aveste trovato nessuna traccia. Alla vostra cattiva salute!
— Alla vostra!
Bevvero entrambi, poi Greene domandò: — Allora, devo andare a cercare il padrone del negozio o vuotate il sacco?
— Posso anche farlo. Lola Brent ha venduto una statuetta nera di una donna nuda, urlante, proprio poco tempo prima di venire uccisa. È una buona ragione per pensare che il suo cliente sia stato lo Squartatore, che l’abbia seguita verso casa e l’abbia fatta fuori. Probabilmente la statuetta lo aveva sconvolto: ha qualcosa che può influire su uno psicopatico.
— A voi piace?
— Non mi piace, ma la trovo affascinante. E fra l’altro è veramente ben lavorata. Ho svolto qualche indagine: a Chicago ne sono state mandate soltanto due. Io ne ho una, e lo Squartatore l’altra.
— La polizia lo sa?
— No, sono sicuro di no.
— L’avevo detto io, Sweeney. La fortuna degli irlandesi. In questo caso, la vostra fortuna la seguite da lontano o state per difendervene da vicino?
— Difendermi?
— Sì, con una rivoltella o un’arma qualsiasi. Se lo Squartatore, o un altro anche, fosse venuto a trovarmi per portarsi via la mia piccola armeria di temperini e rasoi, io metterei in moto l’artiglieria. Se lo Squartatore sapesse dov’è la mia camera, dormirei con una rivoltella sotto il cuscino, senza la sicura. O forse lo Squartatore sa tutto?
— Cosa vorreste dire?…
— Sì…
Sweeney sogghignò. — Volete il mio alibi? Bene, di due mesi fa non so niente, e non credo di poter ricostruire la serata. Quanto ai due successivi assassinii, ero in giro per una sbornia di quindici giorni. Solo Dio sa dov’ero e che cosa facevo, ma non sono stato sempre con Dio. Quanto alla notte scorsa, quando Iolanda è stata aggredita, sono arrivato sulla scena del delitto press’a poco nell’ora in cui è stato commesso. Come vi sembrano questi alibi?
Doc Greene emise un grugnito, e disse: — Ne ho sentiti di meglio e non posso ricordare di averne sentiti di peggio. Sweeney, come esperto di psichiatria, non mi sembra che siate lo Squartatore, ma potrei anche sbagliare. Lo siete?
Sweeney si alzò. — Che sia dannato se ve lo dico, Doc. Nel piccolo e piacevole scambio di cortesie che esiste tra noi, questo è un grosso punto a mio favore. E lascerò che voi cerchiate. Nel caso che io lo sia, grazie dell’avviso per la rivoltella.
Uscì, ed era ormai sera. Il mal di testa era scomparso e si sentiva di nuovo quasi un normale essere umano.
Scese per Clark Street senza pensare a dove si dirigeva e, in fondo, senza pensare a nulla. Lasciava la sua mente sola, e la sua mente lasciava solo lui, cosicché si accordavano perfettamente. Si udì canticchiare e, prestando ascolto alla sua voce con attenzione, riconobbe la Danza ungherese di Brahms. Smise di ascoltarsi e si dedicò invece a esaminare le immagini che passavano nella sua mente, constatando che erano immagini bellissime. Iolanda che sedeva di fronte a lui al tavolo, come era stata poco prima; Demonio, il cane, accovacciato ai piedi di lei, con un piccolo e assurdo cerotto sulla testa, risultato del colpo abile del poliziotto che gli aveva sparato attraverso il vetro. Sweeney ammirò nella sua mente la perfetta mira del poliziotto così sentitamente, benché non nello stesso modo, quanto ammirava l’immagine apparsagli in seguito: il corpo meraviglioso di Iolanda, illuminato dal cono di luce della torcia elettrica.
Sospirò e poi sorrise. Non aveva mai pensato che una donna potesse essere così splendida e ancora non riusciva a crederci. Recandosi all’“El Madhouse” per incontrare Doc e Iolanda, quasi aveva temuto una delusione, perché, dopo tutto, era stato proprio ubriaco quando aveva scorto la scena quaranta ore prima. Se la donna fosse stata nella realtà diversa da come egli l’aveva vista, gli sarebbe dispiaciuto, ma la delusione non lo avrebbe sorpreso. Invece, ecco, era più affascinante di quanto ricordasse, soprattutto nel viso. E c’era di più: un’aria di mistero la circondava e quasi emanava da lei, quaranta ore prima, che egli aveva attribuito interamente alle particolari circostanze verificatesi nell’atrio. Invece era così: un mistero circondava la donna, e Iolanda aveva qualcos’altro oltre al più bel corpo che Sweeney avesse mai contemplato.
Pensò: “Diomede, hai ragione”. E sorrise, perché sapeva con assoluta chiarezza che Diomede aveva ragione. Se una cosa la volete davvero, la otterrete. Ed egli era sulla strada per ottenerla.
Se anche aveva nutrito dubbi prima dell’incontro con Doc Greene, ora non ne aveva più. Nel caso che Iolanda fosse stata una quarantenne, grassa (e non era né l’una né l’altra) si sarebbe rotto la testa a domandarsi perché lui e Greene si odiavano con tanta forza. Quell’uomo gli era ripugnante in un modo addirittura fisico.
Se solo avesse potuto provare che Doc era lo Squartatore…
Ma c’erano i due alibi. La polizia li aveva accettati o, almeno, Doc Greene aveva raccontato che la polizia si era occupata di lui e aveva accettato gli alibi. C’era però un elemento che egli stesso poteva controllare, e che avrebbe controllato subito.
Attraversò Lake Street, dirigendosi al Loop, da “Randolph”, dove si riunivano i colleghi del “Blade”.
In quel momento non era ancora giunto nessuno di loro e, nell’attesa, Sweeney ordinò un whisky e soda. Scorgendo al banco il gerente del locale, Burt Meaghan, gli domandò: — Credi che verrà qualcuno dei ragazzi, dopo il lavoro?
— Sarebbe un’eccezione se non venissero. Dove siete stato per tutto questo tempo, Sweeney?
— Qua e là. A bere. Non te l’ha detto nessuno?
— Sì, l’ho sentito dire, e vi ho visto qua due o tre volte, la prima settimana, ma ormai non vi vedevo da qualche giorno.
— Non ci hai perso molto. Burt, conosci Harry Yahn?
— Di fama, non di persona. Io non ho conoscenze in ambienti così altolocati. Ha messo su un locale poco lontano di qui, che dirige di persona. Ed è interessato in qualche altro.
— Sono rimasto un po’ fuori dell’ambiente — disse Sweeney. — Come si chiama il locale che dirige lui?
— Sulla facciata c’è scritto “Tit-tat-toe”, ma solo sulla facciata di fuori. Volete entrarci?
— Non importa, posso riconoscere Harry quando esce. Avevo solo perso le tracce della sua attività.
— Non c’è da molto tempo: un mese circa. Scusatemi, Sweeney.
Si allontanò verso l’estremità del banco per occuparsi di un altro cliente. Sweeney continuò a disegnare cerchi sul banco col fondo del bicchiere, domandandosi se fosse necessario parlare con Yahn. Sperava di no, perché scherzare con Yahn era come mettere le mani su una sega circolare. D’altronde, presto avrebbe avuto bisogno di soldi e doveva trovarli da qualche parte. Degli assegni pagati da Wally, gli restavano ancora circa centocinquanta dollari, ma non sarebbero serviti a molto con il piano che aveva in mente. Si voltò, sentendo una mano appoggiarglisi sulla spalla: era Wayne Horlick. Sweeney esclamò: — Proprio quello che volevo vedere! E poi si dice della fortuna degli irlandesi!
Horlick gli sorrise. — È una fortuna che ti costerà dieci dollari, Sweeney. Sono contento di vederti: vale i dieci dollari.