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Sweeney sospirò. — Da quando?

— Dieci giorni fa. Qui. Non ti ricordi?

— Ma certo — mentì Sweeney, dandogli il denaro. — Un bicchierino come interesse?

— Perché no?

Sweeney ingollò l’ultimo sorso del bicchiere che aveva davanti e ne ordinò altri due. — Se ti interessa, ti volevo parlare perché lavori al caso dello Squartatore.

— Già. Negli ultimi giorni, però: dell’affare Brent, di due mesi fa, non so nulla. Ho cominciato dal secondo, di Stella Gaylord.

— Hai tracce o idee?

— Nessuna traccia, Sweeney. E se ne avessi una, la direi subito alla polizia, con gioia e rapidità. Lo Squartatore non è un tipo che vorrei incontrare, tranne che al di là di alcune solide sbarre, come lo metterebbe Bline, dopo averlo preso. Lo sai che c’è una squadra speciale della polizia, distaccata per questo lavoro e diretta dall’ispettore Bline?

— Me l’ha detto Carey. Credi che lo prenderanno?

— Di sicuro lo prenderanno, se continua a sfregiare belle signore. Ma non ci riusciranno se si ferma adesso. Dimmi un po’, sei riuscito a parlare con la Lang?

— Sì, un’ora fa. Perché?

Horlick rise. — Perché me lo immaginavo, dopo aver letto il tuo pezzo di cronaca. Scritto bene, vecchio. Faceva venire l’acquolina in bocca anche a me e da quel momento ho cercato di vederla per un’intervista, ma non ci sono riuscito. Però immaginavo che ci saresti riuscito tu.

— Perché? — domandò con curiosità Sweeney. — Non perché io ho provato, ma perché immaginavi che io sarei riuscito dove nessun altro ce l’ha fatta?

— Per l’articolo che hai scritto! Lontana da me l’idea di lodare quel che scrive un altro, Sweeney, ma era un piccolo capolavoro classico di giornalismo. E quel che conta di più, valeva diecimila dollari di pubblicità per la signora, al di sopra e al di là di ogni pubblicità che potesse farle l’essere stata colpita dallo Squartatore e l’averla scampata, unica e sola, fra le vittime. Doc Greene deve amarti come un fratello.

Sweeney rise. — Certo, come Caino amava Abele. Dimmi, Horlick, sui vari casi è venuto fuori qualcosa che i giornali non hanno pubblicato? Io ho letto tutto di Lola Brent e di Stella Gaylord, ma non sono arrivato ancora alla terza, alla Lee.

Horlick rifletté e poi scosse il capo. — Niente che io ricordi, o che valga la pena di essere notato. Perché? Ti interessa davvero? Oltre all’intervista che hai avuto? Perché quella non hai bisogno di spiegarmela.

Sweeney decise di attenersi alla bugia detta a Joe Carey. — Dovrei scriverci un giallo per un editore e il modo migliore per farlo è di avere tutto pronto in modo che, appena il caso viene risolto, io possa precipitarmi in velocità.

— È una buona idea, nel caso che riescano a risolvere il problema. E ci riusciranno se quello continua a squartare, perché non può aver sempre fortuna. Spero che Wally ti dia il caso, al posto mio: a me non piace. Vuoi che gliene parli?

— Ci pensa Carey, perciò è meglio che tu non lo faccia: Wally potrebbe insospettirsi se gliene parlaste troppo. Che cosa sai di Doc Greene?

— Perché? Vorresti attribuirlo a lui?

— Mi piacerebbe tanto. Anch’io gli voglio bene come a un fratello. Mi ha detto che la polizia ha avuto la stessa mia impressione, che lui aveva ottimi alibi per due dei delitti e che i poliziotti li hanno accettati. Ne sai qualcosa?

Horlick scosse di nuovo il capo. — Dev’essere stato per l’ultimo attacco dello Squartatore, contro Iolanda, naturalmente, in questi due giorni. No, Bline non mi ha accennato di aver indagato su Greene, ma credo, d’altronde, che abbiano indagato su chiunque fosse in qualche modo collegato con una delle quattro signore.

— Tu, personalmente, che impressione hai avuto di Greene?

— Mi dà i brividi, se è di questo che vuoi parlare.

— Esattamente di questo — disse Sweeney. — E perciò ti offro un altro bicchierino.

— Whisky.

— Bene, whisky per Horlick, Burt. Io questa volta rinuncio. — E rinunciò davvero, per quanto Horlick insistesse. Dopo mezz’ora si avviò verso casa.

Udendolo entrare, la signora Randall aprì la porta. — Signor Sweeney, un signore vuole vedervi. Siccome voleva aspettarvi, l’ho fatto entrare in salotto. Devo dirgli…

Un uomo piuttosto grosso avanzò dietro di lei, dicendo: — William Sweeney? Io mi chiamo Bline, ispettore Bline.

IX

Sweeney porse la mano e il poliziotto fece altrettanto, con scarso entusiasmo. Ma Sweeney finse di non notarlo. Disse anzi: — Volevo proprio incontrarmi con voi, capo, dato che ho sentito che vi occupate dello Squartatore. Volevo chiedervi qualcosa. Accomodatevi in camera mia.

Bline lo seguì per le scale, fino in camera, sedette nella sedia indicatagli da Sweeney, quella scricchiolante, che gemette sotto il suo peso.

Sweeney si accomodò sull’orlo del letto e, guardando il giradischi, disse: — Un po’ di musica, mentre parliamo, capo?

— Diavolo no, dobbiamo parlare, non cantare duetti. E spetta a me fare le domande, Sweeney.

— A che proposito?

— Potete già immaginarvelo. Per esempio, non credo che vi ricorderete dove vi trovavate nel pomeriggio dell’otto giugno, no?

— No, non lo ricordo. A meno che non fossi a lavorare. Ma anche in questo caso non saprei se mi trovavo a scrivere o se ero fuori per un servizio. Tranne che… forse, se ero a correggere le bozze delle ultime edizioni della sera e delle prime del mattino, potrei rintracciarle e ricordare quali mi sono passate sotto le mani.

— Non ve ne è passata nessuna: quel giorno non lavoravate. Ho già controllato al “Blade”.

— Allora tutto quel che posso dirvi è quel che ho probabilmente fatto, ma non sarà molto. Probabilmente ho dormito fino a mezzogiorno, ho passato la maggior parte del pomeriggio qui a leggere o ad ascoltare dischi, e probabilmente la sera sono uscito a bere qualcosa e a fare una partita. O forse sono andato al cinema o a un concerto. Quest’ultima parte potrei forse anche controllarla, ma non il pomeriggio, e credo che sia proprio il momento che vi interessa.

«Nessuna speranza nemmeno per la prossima domanda che state per farmi, capo. Il primo agosto. Sa Dio dove mi trovassi in quei due giorni, tranne la certezza che ero a Chicago. Che io sappia, nelle ultime due settimane non sono stato fuori città.»

Bline grugnì. Sweeney sorrise. — Soltanto, io non sono lo Squartatore. Vi garantisco che anche se non so dov’ero e che cosa facevo quando sono state uccise la Gaylord e la Lee, so di non aver ucciso la Brent, perché allora non ero ubriaco, per lo meno non tanto da non ricordare che cosa facessi. In nessun giorno di giugno. E so di non aver fatto il colpo contro Iolanda Lang, perché ricordo bene mercoledì sera: cominciavo a smaltire la sbornia ed era un vero inferno. Domandi a Dio.

— A chi?!

Sweeney aprì la bocca e la richiuse. Era inutile far portare il povero vecchio Diomede alla polizia, perché Diomede non era in grado di fornirgli un alibi per l’ora in cui Iolanda era stata colpita. Disse: — È un modo di dire, capo. Solo Dio potrebbe provare che cosa io facessi mercoledì notte. Ma fatevi coraggio, se lo Squartatore continua a squartare, forse per la prossima volta avrò un alibi sicuro.

— Sarà un grande aiuto.

— Nel frattempo, capo, e seriamente, perché siete venuto da me a chiedermi i miei alibi? È stato un uccellino a sussurrarvi una paroletta? O un certo Greene?

— Sweeney, sapete benissimo perché sono qua. Perché voi eravate davanti a quel maledetto portone nella notte di mercoledì. E probabilmente lo Squartatore era anche lui davanti a quel portone. Secondo le nostre supposizioni, aspettava alla porta del retro, poi è entrato e ha colpito la donna, mentre avanzava verso di lui. Ha sbagliato il colpo di pochi centimetri, e il cane gli è saltato addosso, così è dovuto scappare, chiudendo la porta senza la possibilità di un secondo tentativo. Che cosa può aver fatto dopo?