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Indossava un abito uguale a quello che l’aveva coperta nell’atrio, tranne che questa volta era nero e non bianco. Era anche meglio, notò Sweeney, nel contrasto di nero e bianco. Non aveva spalline e modellava carezzevole ogni curva del suo corpo.

Era a piedi nudi e l’abito era palesemente l’unico indumento che la copriva. Non portava né guanti, né bolero, né sciarpe, non vi era un passaggio graduale dal nero al bianco, alle spalle: sembrava che un lampo si sprigionasse, dall’abito alla carne.

Il tamburo batteva sempre.

L’avreste creduta una statua, e poi, tanto lenta che all’inizio non lo si notava, prese a muoversi, volgendo soltanto la testa.

E i vostri occhi dovevano seguire i suoi: allora vedevate anche voi, come lei, l’ombra accovacciata all’altro lato del palcoscenico: Demonio, il cane. Ma in quel momento non aveva più nulla del cane, era solo un demonio. Stava rannicchiato, le labbra tirate indietro in un silenzioso balenare di denti candidi, gli occhi gialli lucenti nell’ombra.

Il tamburo si abbassò fino a non udirsi quasi più. E in quel silenzio quasi assoluto, il cane ringhiò forte: fu lo stesso, preciso suono che Sweeney aveva udito due notti prima, che gli dava un brivido per la schiena e che glielo diede anche in quel momento.

Ancora mezzo accucciato, l’animale alzò una zampa rigida verso la donna, ringhiò di nuovo e si preparò a saltare.

Un improvviso movimento al tavolo costrinse Sweeney a distogliere lo sguardo dalla scena: nel medesimo istante la mano di Bline afferrava attraverso il tavolo il braccio di Guerney. Il poliziotto impugnava la rivoltella.

Bline mormorò rudemente: — Maledetto idiota, fa parte della scena. È istruito apposta per far così, non vuol farle del male.

Guerney bisbigliò in risposta: — Tanto per esser pronto. Nel caso che le saltasse addosso. Lo prenderei prima che le arrivasse alla gola.

— Metti giù quell’arnese, dannato imbecille, o ti butto fuori.

La rivoltella tornò lentamente nella fondina, ma Sweeney si avvide che la mano di Guerney restava appoggiata all’impugnatura.

Bline insisté. — Non fare il franco tiratore! Il cane le salta addosso perché è così nella scena, perdio!

La mano di Guerney uscì dalla giacca, ma rimase accanto al bavero. Gli occhi di Sweeney si volsero di nuovo alla scena, mentre un singhiozzo risuonava nel silenzio del pubblico. Era una donna al tavolo vicino al palco, che aveva emesso un grido strozzato.

Il cane spiccò un balzo. Ma anche la donna si era mossa di fianco e la bestia le passò accanto, una saetta scura, e si accovacciò di nuovo per ritentare il salto, mentre lei si riportava al centro della scena. Di nuovo, quando l’animale scattò, non c’era più. Sweeney si domandò se avrebbe continuato all’infinito così, ma non continuò: era l’ultima volta. Il cane, come se si fosse persuaso che non sarebbe riuscito a coglierla, si era accucciato in mezzo al palco, mentre lei gli danzava intorno, e la seguiva con lo sguardo.

La ragazza sapeva ballare; bene, se non magnificamente, e con grazia, seppure senz’anima. Il cane, senza più ringhii, si girava per non perderla di vista, coi suoi occhi gialli. Allora, presso la Bestia ormai domata, la Bella si inginocchiò e gli pose una mano sul capo: un ringhio ancora, ma la carezza fu tollerata.

Il tamburo riprese, a ritmo accelerato. E Iolanda si alzò con eleganza in piedi di fronte al pubblico, in mezzo al cerchio di luce gialla che già accennava ad abbassarsi, gradatamente, mentre il cane si alzava dietro di lei. Si sollevò sulle zampe posteriori, alto come lei, e mentre ricadeva a terra, i denti afferrarono il fermaglio della cerniera e tirarono.

L’abito nero cadde, all’improvviso, come quello bianco, ai suoi piedi.

Era incredibilmente bella, pensò Sweeney, benché fosse troppo coperta. Troppo coperta sul petto da una lievissima rete trasparente, a maglie larghe, diafana come l’aria, che sembrava accentuare invece che coprire la bellezza dei suoi seni; troppo coperta da un minuscolo cache-sex, che nella luce bassa poteva anche non esserci e alla cui esistenza si doveva credere per fiducia nella serietà della squadra del buon costume di Chicago; troppo coperta da un altro oggetto: un nastro adesivo nero di quindici centimetri, che si stendeva dall’ombelico al seno. E il contrasto di quel nero sul bianco accentuava la sua nudità, mostrandola ancora più nuda di quanto Sweeney l’aveva contemplata due notti prima.

Il tambureggiare pian piano si abbassò. Iolanda alzò le braccia, stendendo nel gesto i seni, e allargò le gambe; il cane entrò sotto quell’arco e rimase così, con la donna a cavalcioni sul dorso, e la sua testa si alzò per sfidare chiunque ad avvicinarsi a quella che era ormai sotto la sua protezione.

— Cerbero che sorveglia l’ingresso del paradiso — bisbigliò Sweeney a Bline.

— Che? — replicò Bline.

Il suono del tamburo andò ancora abbassandosi e la luce diminuì fino a scomparire. Quando si riaccesero le lampade in sala, il palcoscenico era vuoto.

All’improvviso riapparire delle luci, tutti balzarono in piedi: il pubblico applaudiva frenetico, ma Iolanda non riapparve, nemmeno una volta.

Superando il chiasso, Bline domandò a Sweeney: — Che cosa ve ne pare?

— Del ballo o di lei?

— Del ballo.

— È probabile che sia un simbolo, ma simbolo di che cosa, lo sa il diavolo! Credo che nemmeno il coreografo lo sapesse. Se pure c’è stato un coreografo. Secondo me, è una creazione di Doc Greene. È abbastanza intelligente e abbastanza di gusto… col suo temperamento italiano.

— Greene non è italiano — ribatté Bline. — Piuttosto penso che sia tedesco.

Sweeney si risparmiò la risposta perché Guerney si era voltato e Bline lo guardava minacciosamente. — Pezzo di cretino, per poco non ti toglievo la pistola per farti andare in giro senza…

Guerney arrossì. — Non avrei sparato, capo, se non…

— Se il cane non le fosse saltato addosso. E lo ha fatto, per due volte. Buon Dio, ma sarebbe stato un disastro, per noi!

Sweeney provò un certo dispiacere per il poliziotto e disse: — Se avessi sparato a quel cane, Guerney, ti avrei difeso!

Bline replicò: — E gli avreste fatto un gran bene!

La comparsa di Nick al loro tavolo risparmiò a Guerney ulteriori frecciate.

— Ancora qualcosa da bere, signori? — disse Nick. — Vi è piaciuto lo spettacolo? Certo che quel cane lo ha ammaestrato bene, no?

Sweeney osservò: — Certo che mantiene in simili circostanze un sangue freddo che io non saprei mantenere!

— Neanch’io — disse Guerney e accennò un principio di sorriso, ma, cogliendo uno sguardo di Bline, comprese di essere ancora in disgrazia. — Voglio dire che vorrei vedere chiunque… cioè, credo che saprei mantenerlo… Scusatemi. — E filò via in mezzo ai tavoli.

Nick si accomodò sulla sedia rimasta libera, annunciando: — Mi fermo un minuto finché torna. Avete osservato qualcosa di interessante durante lo spettacolo, capo?

Sweeney intervenne. — Tutto quello che non era coperto. Sapete, qualche volta penso che mi piacerebbe anche vederla senza nulla addosso.

Nick lo fissò. — Credevo, secondo il vostro articolo…

Sweeney scosse il capo con malinconia. — Guanti. Portava dei lunghi guanti, bianchi.

Bline brontolò: — Questo ragazzo è un maniaco, Nick. Cosa intendevi dire, domandandomi se avevo osservato qualcosa durante lo spettacolo?

Nick si chinò in avanti. — Solo questo: nel momento in cui la ragazza è ferma, davanti al pubblico, in mezzo al palco, mentre la luce si abbassa. Vedete, io non posso correre rischi cambiando lo spettacolo (non che importi, perché avrei la folla così, anche per sentir cantare Annie Laurie) ma sono preoccupato. Non vorrei che la ammazzassero, perché se lo Squartatore venisse qua, quello sarebbe il momento buono.