La domanda non era rivolta a Sweeney ed egli non rispose né si voltò. Nessuno dei presenti rispose.
Sweeney aveva barcollato all’urto, ma riprese il suo equilibrio e continuò a scrutare nella profondità dell’atrio.
L’agente in divisa blu accanto a lui accese la torcia elettrica che teneva in mano e proiettò un fascio di candida luce nell’oscurità dell’atrio, illuminando il luccichio giallo negli occhi selvaggi del cane e lo splendore dorato dei capelli della donna, insieme al bagliore bianco delle spalle e dell’abito di lei. Alla visione del quadro che gli si presentava, l’agente trattenne il fiato con un leggero fischio significativo e non pose altre domande. Avanzò di un passo e raggiunse la maniglia della porta.
Il cane interruppe il ringhio e si accucciò pronto a balzare in avanti, in un silenzio peggiore del sinistro brontolio di prima. L’uomo in divisa blu lasciò la maniglia, come se fosse incandescente. — All’inferno! — esclamò, e infilò la mano nella tasca interna della giacca, ma non estrasse la rivoltella. Invece si rivolse di nuovo alla piccola folla dei presenti. — Che cosa succede? Chi ci ha telefonato? Quella donna è ubriaca, o sta male, o che cos’ha?
Nessuno rispose. Interrogò ancora. — Il cane è suo?
Nessuna risposta di nuovo. Un uomo vestito di grigio era accanto all’agente in divisa blu e gli consigliò: — Prènditela calma, Dave. Se possiamo farne a meno, cerchiamo di non ammazzare la bestia.
— Bene — rispose la Divisa Blu. — Allora tu apri la porta e trattieni il cane, mentre io mi occupo della donna. Comunque, quello non è un cane: o è un lupo o è un demonio!
— Allora… — L’Abito Grigio alzò una mano verso la maniglia e la ritirò rapidamente alla vista del cane che di nuovo si preparava allo slancio, digrignando le zanne.
Divisa Blu sogghignò, domandando: — Ma la telefonata che cosa diceva? Hai risposto tu…
— Soltanto che in questo atrio c’era una donna sdraiata per terra: del cane non ha parlato. Il tipo in questione chiamava dal bar all’angolo nord della strada e ha detto anche il nome.
— Cioè ha detto un nome… — replicò sarcastico Divisa Blu. — Vedi, se fossi sicuro che la ragazza è solo ubriaca fradicia, potremmo chiamare la protezione animali per tirar fuori la bestia, perché loro son capaci di farlo. A me i cani piacciono: e non ho nessuna voglia di ammazzare quello lì. Molto probabilmente la donna è la sua padrona e lui cerca di proteggerla.
— Cerca un corno — brontolò Abito Grigio. — È maledettamente deciso. Anche a me piacciono i cani: ma quello lì non giurerei che è un cane… Bene… — Abito Grigio cominciò a togliersi la giacca. — Coraggio, io mi giro questa intorno al braccio e tu apri la porta, così, quando il cane mi salta addosso, io lo prendo con il calcio della…
— Guarda: si muove!
Infatti la donna si muoveva: alzava la testa. Si sollevò appena sulle mani (e Sweeney notò che calzava dei guanti bianchi lunghi sino al gomito) e alzò la testa finché gli occhi furono colpiti in pieno da un fascio luminoso della torcia elettrica. Il volto era meraviglioso, un volto in cui gli occhi fissavano sbarrati il vuoto, senza vedere.
— È fradicia addirittura — osservò Divisa Blu. — Guarda, Harry, tu potresti ammazzare il cane anche con il calcio della rivoltella e certamente poi qualcuno farebbe un putiferio. Anche la ragazza si metterebbe a farlo, una volta smaltita la sbornia. Invece, io aspetto qui di guardia e tu vai al posto di polizia più vicino e gli dici di far venire qua qualcuno della protezione animali con una rete o quel diavolo che adoperano loro, e…
In quel momento, dalle gole dei presenti uscì un suono strozzato, tanto strano che Divisa Blu tacque di botto come se gli avessero messo una mano sulla bocca. Qualcuno sussurrò, in modo quasi impercettibile, la parola «sangue».
Faticosamente, come in un incantesimo, la donna cercava di alzarsi. Aveva ripiegato le ginocchia sotto il corpo e si tirava su facendo leva sulle braccia tese. Il cane accanto a lei si mosse rapidamente e Divisa Blu con una bestemmia estrasse la pistola dalla fondina appesa alla spalla, mentre il muso dell’animale si avvicinava al volto della donna. Ma prima ancora che la pistola fosse pronta, il cane aveva leccato uggiolando il viso della padrona, con la lunga lingua rossa. Altrettanto rapidamente, vedendo che i due poliziotti si erano avvicinati alla porta, il cane si raccolse in posizione di slancio e ringhiò ferocemente. La donna continuava nel suo sforzo per alzarsi e ormai era visibile a tutti il sangue: una macchia allungata sull’abito bianco, sopra l’addome, nitidissima sul bianco dell’abito. E nel cono di luce, che rendeva la scena simile a una rappresentazione su un palcoscenico o a un’immagine proiettata su uno schermo televisivo alla mostra degli orrori, era chiarissimo lo squarcio lungo cinque pollici al centro della macchia.
Abito Grigio mormorò: — Gesù, una pugnalata! È lo Squartatore.
Sweeney venne spinto di fianco mentre i due agenti si avvicinavano di più. Egli si spostò girando intorno, per guardare sopra le loro spalle. Aveva dimenticato il progetto di andarsene al più presto possibile; in quel momento si sarebbe potuto allontanare senza che nessuno gli prestasse attenzione, ma non lo fece. Abito Grigio era ancora con la giacca mezzo infilata e mezzo no, agghiacciato nel gesto dall’improvvisa scoperta. Con un movimento brusco la rimise a posto strofinando le spalle contro il mento di Sweeney. Poi rapidamente: — Telefona per una ambulanza e per la squadra omicidi, Dave. Io cerco di prendere il cane.
Mentre dalla fondina estraeva la rivoltella, la sua spalla urtò di nuovo contro il mento di Sweeney. Poi la voce dell’agente risuonò improvvisamente calma, mentre impugnava la rivoltella. — Afferra la maniglia, Dave. Il cane ti salterà addosso e io avrò la mira sicura. Credo di riuscire a prenderlo.
Ma non alzò la rivoltella e Dave non toccò la maniglia. Perché stava accadendo la «cosa» incredibile, la «cosa» che Sweeney non avrebbe mai più dimenticato, e nessun’altra delle quindici o venti persone presenti avrebbe mai dimenticato.
La donna nell’atrio aveva ora la mano sul muro, accanto alla fila delle cassette postali e dei campanelli. Stava ancora sforzandosi per raggiungere la posizione eretta e appoggiava a terra un ginocchio. Il fascio abbagliante della luce la incorniciava come il riflettore di un palcoscenico, rivelando crudamente il candore dell’abito, dei guanti e della pelle e il rosso della macchia di sangue. Gli occhi erano sempre sbarrati. E Sweeney pensò che doveva essere soprattutto per lo choc, dato che una simile ferita di coltello non doveva essere molto grave né molto profonda perché altrimenti avrebbe sanguinato molto più abbondantemente. La donna chiuse gli occhi e vacillando si alzò lentamente in piedi. E l’incredibile avvenne.
Il cane si spostò dietro di lei e si drizzò sulle zampe posteriori, senza nemmeno sfiorarla con quelle anteriori, mentre il muso si avvicinava alla schiena di lei e coi denti cercava e trovava qualcosa sul bianco abito scollato e lo tirava verso l’esterno e verso il basso. Il «qualcosa», come si scoprì in seguito, era una nappina di seta bianca, attaccata all’estremità di una lunga chiusura-lampo.
L’abito scivolò a terra, formando intorno ai piedi di lei un cerchio di seta bianca. Sotto il vestito la donna non indossava nulla, assolutamente nulla.
Per un tempo imprecisato, che parve durare eterni minuti e che forse non fu più di dieci secondi, niente e nessuno si mosse. Nulla accadde, tranne un lieve tremolio della torcia nelle mani dell’agente.