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Si andavano avvicinando all’angolo di Erie Street, e Bline rallentò il passo.

— Voi ora voltate di qua, e io dovrò tornare alla sede. Datemi retta, state lontano da Greene. Non vorrei dovervi arrestare tutti e due per qualche guaio e ho paura che succederà, invece, se continuate a stuzzicarvi. — Tese la mano. — Amici, Sweeney?

— Allora, non sono lo Squartatore? Siete sicuro?

— Ragionevolmente sicuro.

Sweeney prese la mano tesa e sorrise. — E io sono ragionevolmente sicuro che voi non siete uno sporco figlio di puttana, capo. Mentre vi assicuro che per qualche ora l’ho pensato.

— Non posso biasimarvi. Arrivederci!

Sweeney sostò all’angolo per un momento. Scorse Bline guardarsi intorno e attraversare la strada in diagonale, fuori della direzione per l’“El Madhouse”, dove si sarebbe dovuto recare. Ma Sweeney comprese quando lo vide dopo un centinaio di metri fermarsi a parlare con un uomo fermo a una vetrina, che si allontanò poi con l’ispettore.

Ciò significava, a meno che non ce ne fosse un altro appostato, ma era difficile, che Bline aveva tolto la sorveglianza a Sweeney. Per assicurarsene, questi finse di percorrere State Street, fermandosi in un vano per vedere se qualcuno voltasse l’angolo della strada dietro di lui. Ma nessuno comparve. Tornandosene verso casa, fischiettava.

A casa, non c’era nessuno Squartatore ad aspettarlo, ma c’era «La statua che urla». La sollevò stringendola gentilmente, e la statuina lanciò il suo urlo verso di lui, tendendo le mani imploranti. Un piccolo brivido ormai noto gli corse per la schiena. In qualche altra parte di Chicago, c’era un’altra statuetta, uguale a quella, che aveva una ragione per urlare così. Lo Squartatore la possedeva. Chiamiamola la statuetta n. 1. Ma cosa sarebbe successo, se l’assassino avesse saputo che lui possedeva la n. 2?

Lo Squartatore però non poteva saperlo. Tranne che fosse Raoul Reynarde, che gli aveva venduto la seconda statuetta. Se Raoul fosse stato lo Squartatore, non avrebbe avuto però nessun motivo di parlargliene e… Dannazione, se lo Squartatore era Reynarde, tutta la storia di Lola Brent che aveva venduto una statuetta poteva essere stata un trucco per distrarre l’attenzione da se stesso. Ma allora Raoul ne avrebbe parlato anche alla polizia. Certo, Raoul doveva aver detto tutto anche alla polizia, ma quelli non avevano fatto caso al particolare della statuetta e non erano risaliti a cercare il duplicato di essa: non avevano intuito che l’assassino era l’uomo che l’aveva acquistata. Nemmeno Raoul lo aveva indovinato. Anche lui, Sweeney, non avrebbe compreso, se non fosse stata la strana sensazione che lo aveva spinto a comperare la statuetta da Raoul e poi… l’osservazione del cameriere al ristorante. Posò delicatamente la statuetta: avrebbe voluto che smettesse di urlare così; ma la statuetta non avrebbe smesso mai. Un grido silenzioso non potrà mai tacere. Senza dubbio, la polizia non ne sapeva niente, altrimenti Bline non sarebbe rimasto a sedere in quella stanza senza notarla o farne il nome. Tanto più che l’aveva guardata attentamente per una volta, prima di andarsene.

Poi, la statuetta era stata nominata anche a Doc, ma Doc non aveva reagito. Poteva darsi, per quanto non ci credesse, che Doc avesse saputo controllare i suoi nervi tanto da non far muovere il foglio di carta, quando lui aveva gettato la frase sulla «statuetta nera». E allora, se Greene era l’assassino, a dispetto degli alibi e di ogni considerazione, forse la statuetta portava a un vicolo cieco, forse lo Squartatore non era stato l’acquirente della figuretta nel negozio con Lola Brent. “Sweeney” ammonì se stesso “non puoi mangiare la torta e intanto metterla via. Se la statuetta è la traccia vera che porta all’assassino, l’assassino non può essere Greene, come tu saresti tanto felice che fosse.” E sospirò. Poi sedette sul letto e cominciò il lavoro per il quale era tornato a casa: cioè leggere la storia del terzo delitto, quello della Lee. Ormai sentiva di conoscere bene la Gaylord e la Brent.

Prese il “Blade” del 1° agosto. Non c’era bisogno di cercare il servizio sul giornale: era la terza impresa dello Squartatore, e fin dal primo giorno risaltava in prima pagina, coi caratteri vistosi che il “Blade” impiegava per le dichiarazioni di guerra o gli armistizi.

ANCORA UNA VITTIMA DELLO SQUARTATORE.

Vi era una fotografia su tre colonne di Dorothy Lee, e Sweeney la esaminò con cura. Era bionda, come Lola, come Stella, come Iolanda, e certo molto carina, anche se non bella. Era una bella foto e, se era recente, la donna non mostrava di avere più di venticinque anni. I particolari non erano ben visibili, come se si fosse trattato di un ingrandimento da una fotografia formato piccolo o, più probabile, essendo un ritratto di una foto in color seppia sfumato. Comunque, Dorothy Lee era stata molto attraente e poteva anche essere stata bellissima. L’articolo la definiva bella, ma questo lo avrebbe detto in ogni caso, posto che era al di sotto dei quarant’anni e non aveva i denti guasti né gli occhi storti.

Secondo l’articolo, la donna era Dorothy Lee, venticinquenne, bionda e bella segretaria privata del signor J.P. Andrews, direttore delle vendite della Real Corporation, con sede in Division Street (vicino a Dearborn Street, osservò, Sweeney). L’indirizzo privato, egli vide con sorpresa, era in East Erie Street, a pochi metri da casa sua. Pochi metri dal luogo dove egli sedeva ora a leggere la storia dell’accaduto. Buon Dio, pensò, perché Bline non glielo aveva detto? Già, Bline certo pensava che lui lo sapesse, dato che si occupava della faccenda. E forse quello era un altro buon motivo perché Bline avesse sospettato di lui.

Prima di continuare nella lettura, disegnò mentalmente una pianta della città e determinò i punti dove si erano svolti i quattro assassinii. Tre erano stati molto vicini, nei quartieri nord. Quello della Brent era stato verso sud, a chilometri di distanza, ma era cominciato probabilmente nei quartieri nord, quando l’assassino aveva preso a seguirla all’uscita dal negozio di Division Street, che si trovava a breve distanza da lì. E anche Dorothy Lee poteva essere stata seguita dall’ufficio a casa per la stessa via. Fissati quei punti immaginari sulla pianta della città, riprese a leggere. Il corpo era stato rinvenuto pochi minuti dopo le cinque dalla signora Rae Haley, divorziata, che abitava nell’appartamento accanto a quello della Lee. Rientrando dal cinema, la Haley aveva scorto quel che sembrava un fiume di sangue, e che più tardi fu riconosciuto veramente come tale, uscire dalla fessura della porta della Lee. Poteva darsi che la signorina, che là Haley conosceva, avesse rotto una bottiglia di salsa di pomodoro, ma la Haley, come tutta la città, era in allarme contro lo Squartatore. Non aveva bussato alla porta della Lee nel timore che potesse venirle aperta da qualcuno che non desiderava incontrare; era corsa in casa propria e, chiusa accuratamente la porta con la catena di sicurezza, aveva telefonato al portiere per avvisarlo di quanto aveva scorto. Il portiere, David Wheeler, si era messo in tasca una vecchia rivoltella ed era salito al terzo piano, composto di cinque appartamentini, compresi quelli della Lee e della Haley. Con la pistola spianata, aveva suonato il campanello, poi aveva provato la maniglia: la porta era chiusa. Chinatosi a esaminare il rivoletto scuro a terra, aveva giudicato che fosse proprio sangue.

Aveva suonato alla porta della Haley e, quando lei finalmente l’aveva socchiusa, le aveva comunicato che sarebbe stato meglio avvertire la polizia. La Haley stessa aveva telefonato, troppo spaventata ormai per aprire la porta anche al portiere stesso. Wheeler era rimasto di guardia nell’ingresso, fino all’arrivo della polizia. La porta dell’appartamento era stata abbattuta e Dorothy Lee era stata trovata a terra, a un metro di distanza dalla soglia.