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Ehlers rispose che era ora di andarsene e si allontanò. Sweeney per un poco restò a osservare quattro tizi che giocavano a carte, poi si recò al bar a bere. Quello che aveva bevuto all’“El Madhouse” era ormai dimenticato, e l’unico bicchierino inghiottito in quei pochi minuti era stato troppo poco perché se ne accorgesse. Un bicchierino ancora, o due, non gli avrebbero fatto male.

Ne bevve due e non gli fecero male.

XIII

Se anche non gli avevano fatto male, i due bicchierini non gli fecero però bene. Quando uscì dal “Meaghan’s bar” nella notte, era freddamente sobrio. Nella notte solitaria e affollata. La calda e freschissima notte. La scura notte luminosa.

Aveva paura ed era seccato di averla. Non si trattava dello Squartatore: quello era l’ignoto, il mistero. Ma gli seccava aver paura di Harry Yahn. Harry Yahn era un duro. E intorno a lui non c’era alcun mistero: anche ciò che di lui non si conosceva con precisione, era noto alla polizia, pur non trovandosi prove per dimostrarlo.

Harry Yahn era veramente un duro, ma niente di più. Sweeney si era detto e ripetuto di non aver paura, perché il morso con cui stava per attaccare Yahn non era tanto grosso da disturbare un uomo con le sue entrate.

La cosa più divertente era che aveva considerato Yahn come possibile fonte di reddito anche prima della visita all’ufficio di Greene; c’erano alcune notizie che Sweeney possedeva sul conto di Yahn, di imprese del passato, che avrebbero fruttato denaro… a quel pazzo che si fosse arrischiato a chiederlo. Ma la nuova possibilità era molto migliore e più sicura. Non era proprio un ricatto.

La scritta al neon rosseggiava: “Tit-Tat-Toe”. Sweeney tirò un gran sospiro ed entrò. Era un locale qualsiasi, più piccolo del “Meaghan’s”, occupato in quel momento dal barista e da una mezza dozzina di clienti. Aveva l’aria di uno di quei bar che possono anche essere qualcos’altro. E lo era.

Sweeney andò al banco e lo arricchì di un biglietto di banca. Il barista arrivò e Sweeney ordinò: — Whisky, puro. — E prima che l’uomo si allontanasse, continuò: — C’è Harry?

— Harry chi?

— Io mi chiamo Sweeney. Bill Sweeney. Lui mi conosce.

Il barista trafficava con bottiglie e bicchieri. Versando il whisky, disse: — Voltato l’angolo, bussate alla porta del retro. Se Willie vi conosce, vi farà entrare.

— Willie no, ma Harry sì.

— Ditelo a Willie. Potete parlare e dirlo a Harry. Se Harry c’è.

— Benone — rispose Sweeney. — Bevi con me?

— Volentieri.

— E fammi gli auguri!

— Certo — ripete il barista — volentieri: auguri!

— Grazie.

— Di che cosa?

Sweeney rise e si sentì meglio. Voltato l’angolo, bussò a una porta massiccia, che si aprì di uno spiraglio minimo, lasciando intravedere una faccia, i cui occhi, non particolarmente gradevoli a vedersi, erano all’altezza dei capelli di Sweeney. Sotto quegli occhi c’era un naso rotto, e sotto il naso un paio di grosse labbra che brontolarono: — Sìì? — mettendo in mostra dei denti spezzati.

Sweeney esclamò: — Willie Harris. Non sapevo che il Willie alla porta fosse Willie Harris.

— Sì. Che cosa vuoi?

— Diavolo, Willie. Non ti ricordi di me? Ho seguito tre dei tuoi incontri, quando ero allo sport. Bill Sweeney: allora ero al “Tribune”.

La porta si aprì un po’ di più, quindici centimetri invece di dieci.

— Sì? — ripeté Willie.

I pugni, pensò Sweeney. Disse: — Certo, non puoi ricordarti tutti i giornalisti che ti hanno intervistato. Senti, Willie. Vorrei parlare con Harry Yahn. Per affari. Non per divertimento. Lui mi conosce: digli che Bill Sweeney vuole parlargli. Bill Sweeney.

Frasi così brevi e chiare le avrebbe capite anche Willie. Rispose: — Sweeney. Vedrò.

— Bill Sweeney, ricordatelo, Willie. Bill Sweeney.

La porta si chiuse.

Sweeney si appoggiò al muro e accese una sigaretta. Era arrivato alla metà, quando la porta si riaprì completamente. Willie guardò fuori per assicurarsi che non vi fosse nessun altro insieme con Sweeney. — Bene, vuole parlarti.

Guidò Sweeney lungo un breve corridoio, fino a una porta. — Là dentro. Avanti.

Sweeney entrò. — Salve Harry.

Yahn rispose: — Ehi, Sweeney, siediti.

Harry Yahn, piazzato a una scrivania che sembrava comperata di seconda mano per dieci dollari, appariva come un Babbo Natale senza baffi. Era grasso e cordiale, con aria compiaciuta e compiacente. Sweeney non si lasciò ingannare, ma fu soddisfatto di trovarlo almeno solo.

— Non ti vedo da un pezzo, Sweeney. Sempre al “Blade”?

Sweeney annuì. — Letto l’articolo su Iolanda?

— Quale?

— La cronaca della scena nell’atrio. Sul “Blade”.

— Diavolo, l’hai scritto tu? Gli avevo dato un’occhiata, ma senza vedere la firma.

Sweeney non gli diede del bugiardo. Rispose soltanto: — Sì, l’ho scritto io. Ed è un pezzo, me lo dico io stesso… perché non dovrei, dato che tutti lo fanno?

— Lo so, Sweeney, non ha certo fatto del male all’“El Madhouse”. Anzi, dove abiti? Dico ai ragazzi di mandarti una cassa di whisky.

— Grazie — disse Sweeney — ma sono a posto per questo. Quasi. E ho avuto un’idea migliore, Harry. Cosa ne diresti di affidarmi la pubblicità per te nelle prossime quattro settimane, mentre Iolanda recita là?

Yahn si morse le labbra e scrutò Sweeney. — Sarebbe stata una buona idea, prima che succedesse tutto il pasticcio. Adesso non ci serve. A quanto mi dice Nick, l’“El Madhouse” deve addirittura mandare indietro i clienti e quindi che cosa ci può interessare averne di più? Per appenderli agli attaccapanni? E poi, con Iolanda abbiamo un contratto solo di quattro settimane e alla fine di questo periodo se ne andrà. — Scoppiò a ridere. — Hai perduto il treno, Sweeney. Certo che ti avrei pagato per farti scrivere quel pezzo sul giornale, ma ormai è già stato pubblicato: è una faccenda morta. E poi… c’è stato un mucchio di pubblicità, anche al di fuori dell’articolo, col solo essere aggredita dallo Squartatore. Basta questo per mandare la gente a vedere Iolanda. Il tuo articolo non ha fatto altro che incartare la faccenda, nel cellophane, ma ormai tutta la pubblicità che ci serviva, l’abbiamo avuta.

Sweeney scrollò le spalle. — Era solo un’idea. Vuol dire che ci lavorerò dall’altra parte.

— Quale altra parte?

— La parte di Doc. Un po’ più di pubblicità, e credo che riuscirei a farla, e potrebbe farla scritturare per grosse cifre in qualche posto di quelli che valgono venti volte l’“El Madhouse”. Potrà prendere due o tremila dollari la settimana, invece di duecento. O invece di quattrocentocinquanta, come sarebbe, se tu accettassi di suddividere nelle quattro settimane i mille dollari che chiede per il suo immediato ritorno al lavoro.

Harry Yahn teneva gli occhi semichiusi, come fosse stato quasi addormentato. Ripeté: — È un’idea. Se tu potessi montarmi bene la pubblicità per altre quattro settimane, potrebbe ancora renderci quel denaro che mi costa.

Sweeney riprese: — In questo momento li merita. Ho visto il suo spettacolo all’“El Madhouse”, stasera. La sala ha una capacità di duecento persone; fai pienone a ogni spettacolo, e con tre di essi sono seicento persone ogni sera. Sta’ pure basso nei prezzi e fa’ pagare cinque dollari a ogni cliente, considerando di guadagno netto un solo dollaro. Seicento dollari al giorno danno quattromiladuecento dollari la settimana e, in quattro settimane, sedicimilaottocento dollari.

Yahn replicò secco: — Abbiamo fatto buoni affari anche senza la Lang.

— Di sicuro, quasi la metà di quello che farete nelle prossime quattro settimane. Diciamo pure che in questo periodo Iolanda vi frutta diecimila dollari di guadagno, che non sarebbero altrimenti esistiti. Va bene?