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— Troppo alto. Comunque, a che cosa miri tu?

— D’accordo, è troppo alto. Diciamo allora che vale settemila dollari. È abbastanza esatta la cifra di settemila?

Gli occhi di Yahn erano quasi completamente chiusi ed egli sorrideva appena: in quel momento assomigliava più a un Budda dormiente che a un Babbo Natale, ma Sweeney non si lasciava ingannare. Harry Yahn non stava né dormendo né contemplando il Nirvana. Certo, non mentre si parlava di migliaia di dollari.

Yahn parlò. — Spero che tutte queste chiacchiere portino a un fatto concreto.

Sweeney a ragion veduta tardò a rispondere, gingillandosi con una sigaretta e accendendola con calma. Infine disse: — Se io faccio pubblicità a Greene e a Iolanda, invece che all’“El Madhouse”, debbo consigliarli di concludere immediatamente una scrittura in un altro posto, invece di aspettare quattro settimane. Però questo, Harry, ti costerà settemila dollari, e a me non piacerebbe farlo, dato che ti ho sempre considerato un amico.

— Iolanda è legata a noi dal contratto per quattro settimane.

Sweeney sorrise. — Hai letto il contratto con attenzione?

Yahn aprì gli occhi a metà e fissò Sweeney. — Sei qui a nome di Greene, per questa faccenda? Ti ha mandato lui per farmi muovere?

— No. E nessuno cerca di farti muovere, Harry.

Harry Yahn pronunciò una parolaccia. — Non funziona la storia, Sweeney. Se nel contratto ci fosse una sola virgola che permettesse a Greene di portare Iolanda altrove, sarebbe qui lui a mostrarmela. Per suo proprio conto. Perché ne ha parlato a te?

Sweeney si abbandonò all’indietro comodamente sullo schienale della seggiola. — Non me lo ha detto lui. E ancora non ne sa niente. Avevamo fatto una scommessa su quanto guadagnavano Iolanda e Demonio all’“El Madhouse”, e lui mi ha mostrato la copia del contratto, firmata da Nick, per vincere la scommessa. Infatti l’ha vinta, ma io mentre avevo in mano il foglio ho letto per caso quella virgola. Capito?

— Qual è il punto?

— Semplicissimo: dev’essere una formula fissa di contratto, un contratto-tipo che tu fai per l’“El Madhouse”, perché è pieno di clausole a favore del primo contraente, cioè l’“El Madhouse” stesso; ma c’è una clausola favorevole al secondo contraente, una clausola che in casi normali non avrebbe alcuna importanza. Soltanto che qui non ci troviamo di fronte a un caso normale.

— Quale clausola?

— Una che non varrebbe nulla se fosse rivolta a chiunque altro, Harry: prevede che il contratto possa essere rescisso dalla seconda parte contraente col pagamento della somma totale prevista dal contratto stesso, mediante la rifusione di tutti i pagamenti ricevuti e l’aggiunta dei pagamenti futuri calcolati in base alle precise disposizioni del contratto. Il contratto di Iolanda vale per sette settimane, di cui tre sono già passate e quattro debbono passare, a duecento dollari la settimana. Doc può liberarla dall’impegno pagando sette volte duecento dollari, millequattrocento dollari in tutto. E se gli riesce di farla scritturare in un altro posto a duemila la settimana, si beccano seimilaseicento dollari lui e Iolanda. Forse anche di più. Pensavo che adesso potrebbe prendere anche più di duemila dollari, con la pubblicità che ha, anche se io non ci metto le mani.

Sweeney si chinò avanti e spense la sigaretta sul portacenere che spiccava sopra la grande scrivania di Yahn. — L’unico guaio è che la fortuna di Greene sarebbe un male per te.

— Greene non ha visto questa possibilità del contratto?

— È chiaro che no. Probabile che abbia letto il contratto al momento di firmarlo, ma senza prestare attenzione a una clausola che in quel momento non significava nulla per lui. Solo nel caso che un attore improvvisamente acquisti un valore dieci volte più grande, quella clausola può rappresentare una scappatoia. E c’è una probabilità su mille che ora vada a rileggersi il contratto: crede di conoscere a memoria quello che c’è scritto. — Sweeney si alzò in piedi, concludendo: — Bene, saluti, Harry. Mi spiace che non possiamo lavorare insieme per fare un po’ di pubblicità al tuo locale.

— Siediti, Sweeney.

Yahn schiacciò un bottone sulla scrivania e non aveva ancora alzato il dito che Willie era sulla soglia, dicendo: — Sì, capo?

— Entra e chiudi la porta, Willie. E aspetta.

— Devo mettere a posto questo tizio per voi, capo?

— Non ancora — rispose Yahn — per lo meno, non ce n’è bisogno, se si mette a sedere.

Sweeney sedette e Willie restò in piedi, pronto. Osservando la faccia di Willie, avreste pensato che da molto tempo Willie non avesse dovuto «mettere a posto» nessuno e ne sentisse profondamente la mancanza. Sweeney almeno ebbe quest’impressione, ragione per cui smise di guardare Willie e, presa un’altra sigaretta, l’accese con movimenti lenti e cauti, così da non urtare la suscettibilità di Willie, con il desiderio di sentirsi a proprio agio, come sperava di apparire agli occhi altrui. Yahn alzò il ricevitore del telefono sulla scrivania e fece un numero: era quello di Nick. Parlò subito: — È Harry, Nick. Hai in cassaforte il contratto della Lang. Prenditelo, mettilo in tasca e richiamami. Subito e con assoluta discrezione. Adopera il telefono dell’ufficio sul retro e assicurati che non ci sia nessuno ad ascoltare nelle vicinanze, capito? E non far vedere a nessuno che cosa prendi nella cassetta… Bene.

Riappoggiò il ricevitore e fissò Sweeney. Sweeney non parlò. Nessuno parlò finché, dopo tre minuti, il telefono squillò di nuovo.

Sweeney allora intervenne. — Chiedigli del sesto paragrafo, Harry. Ti risparmierà tempo.

Yahn parlò secco e breve e poi rimase in ascolto. — Bene. Rimettilo via, Nick. E non parlarne. Sì, è per questo che ti ho detto di leggermelo… Ne riparleremo domani. Come va il lavoro? — Restò un poco in ascolto, poi concluse: — Bene — e riappese.

— Come va il lavoro? — ripeté Sweeney.

Yahn per un poco non lo guardò, poi alzò gli occhi verso di lui. — D’accordo, quanto vuoi?

Sweeney rispose: — Credo che fare la pubblicità per te in questo mese meriti novecento dollari.

Yahn non aveva l’aria né del Babbo Natale, né del Budda. Domandò solo: — E se Greene lo vede? Se gli salta in mente di rileggere il contratto?

Sweeney scosse le spalle. — Può succedere, ma non vedo la ragione per cui dovrebbe farlo.

Harry intrecciò le dita, posandole sopra il ventre e fissandosi le nocche. Senza alzare lo sguardo, disse: — Willie, va’ a dire a Haywood di darti novecento dollari. Portali qui. — Willie uscì.

— Come mai novecento? — domandò Yahn. — Come ti è venuta in testa proprio questa cifra?

Sweeney sogghignò. Dentro di sé, riconobbe che era un sogghigno piuttosto trepidante e sperò calorosamente che all’esterno apparisse più sicuro. Poi rispose: — Per mio conto, Yahn, sei un uomo da quattro cifre e io mi sono tenuto al di sotto. Se te ne avessi chiesto mille, forse… avrei ricevuto qualcos’altro.

Harry scoppiò a ridere e di nuovo sembrò un Babbo Natale. — Sei un bel figlio di puttana, Sweeney. — Alzandosi, batté una manata sul dorso di Sweeney, mentre Willie rientrava con il denaro in mano. Lo porse a Yahn, e Yahn lo porse a Sweeney senza contarlo. Neanche Sweeney lo guardò, ma lo ripose in tasca.

Yahn ordinò: — Accompagnalo fuori, Willie. E lascialo entrare ogni volta che vorrà venire a trovarmi. — Willie aprì la porta e Sweeney uscì nell’ingresso; Willie lo seguì, ma fu richiamato da Yahn. Poi uscì di nuovo e andò a spalancare la porta d’uscita. Mentre Sweeney gli passava davanti, una mano di Willie, grande come le due di Sweeney messe insieme, lo afferrò per la spalla, costringendolo a girare su se stesso, mentre con l’altra mano, chiusa in un pugno grosso come un pallone da football, ma molto più pesante e dura di un pallone, tirava un colpo nello stomaco del giornalista. Quando lo lasciò andare, Sweeney cadde, ripiegato su se stesso, senza svenire, ma stroncato dal dolore improvviso. Era una tale sofferenza da togliere il respiro, che provò il desiderio di perdere i sensi, specie se altri colpi del genere lo avessero colpito. Ma non lo colpirono.