Willie arretrò di un passo, dicendo: — Harry ha detto di dartelo — e aggiunse, con l’aria di domandarsi perché Sweeney fosse stato così fortunato: — Ha detto uno solo e leggero.
Era chiaro che lui, personalmente, avrebbe preferito che fossero molti e duri.
Poi chiuse la porta.
Dopo un minuto, Sweeney fu in grado di raddrizzarsi in piedi e di arrivare al lavabo. Vomitò e solo così riuscì a mettersi diritto. Lasciando scorrere l’acqua fredda nel lavandino, si lavò la faccia, che nello specchio gli appariva bianca come la porcellana del lavabo stesso. Ma ormai respirava quasi regolarmente, anche se lo stomaco e il ventre erano troppo doloranti per toccarli, tanto da costringerlo ad allentare di due buchi la cintura, per diminuire la pressione.
Si appoggiò al muro e, tratto di tasca il denaro, lo contò con cura. Erano proprio novecento dollari, veri e tangibili: aveva ottenuto quel che voleva e solo un piccolo particolare in più. Era stato veramente molto fortunato.
Ripose il denaro nel portafoglio e, camminando con un lieve ondeggiare, come sulle uova, uscì dal bar del “Tit-Tat-Toe”, senza dare nemmeno uno sguardo al barista o a chiunque altro.
Quando fu all’aperto, respirò l’aria fresca della notte, non con respiri profondi, perché gli avrebbero causato un dolore insopportabile, e non si guardò neppure indietro se qualcuno lo seguisse, perché sapeva che nessuno lo avrebbe fatto.
Aveva avuto una fortuna incredibile, perché, in fondo, anche quel pugno nello stomaco era un buon segno. Harry non avrebbe incaricato Willie di darglielo, se avesse avuto l’intenzione di spedirgli qualcuno dei ragazzi a sparargli o a combinargli un «lavoretto». Non che avesse temuto davvero di ricevere un colpo di rivoltella, solo per novecento dollari. Ma la possibilità di una «sistemazione» c’era stata, una sistemazione che lo avrebbe tenuto all’ospedale per una settimana o per un mese e che gli avrebbe guastato tutti i piani. Adesso invece poteva nutrire una ragionevole sicurezza di essere stato pagato del tutto, sotto ogni aspetto. Sarebbe stato piuttosto malconcio per qualche giorno e avrebbe dovuto evitare di dormire bocconi, ma non c’era nessun «guasto» definitivo: aveva sopportato altre volte anche di peggio e per ragioni minori.
Un taxi gli passò vicino ed egli lo fermò con un gesto. Gli si avvicinò con l’andatura di un vecchio e anche aprirne la portiera gli provocò un dolore lancinante.
— Va’ lungo il lago e poi un poco verso nord. Mi sento poco bene e ho bisogno di aria fresca.
Entrò, e chiudere la porta lo fece sobbalzare nervosamente. L’autista si voltò a guardarlo. — Vi sentite male come? Non vi succederà qualcosa proprio sulla mia auto?
— No. E non sono ubriaco.
— Volete che vi accompagni al pronto soccorso?
— Ho avuto un pugno nello stomaco.
— Oh — rispose l’autista e ingranò la marcia. Percorso il Michigan Boulevard, si diresse verso il Lake Shore Drive, mentre Sweeney, sdraiato sul sedile, cominciava a sentirsi meglio, specie dopo che, sulla riva del lago, una brezza fresca riempì la vettura.
Il taxi non lo scuoteva e, anzi, il lieve movimento sembrava che gli fosse di aiuto a riprendersi. Tanto più che con novecento dollari in tasca e nessun altro guaio per averli ottenuti si sentiva veramente soddisfatto. Un pugilatore per ottenere molto meno di quanto aveva lui, corre rischi molto maggiori e prende molti pugni di più. Non era affatto in collera con Willie: era un pugile di carriera e aveva ricevuto degli ordini, anche se si era divertito a eseguirli e se gli sarebbe piaciuto picchiarlo di più. Ma troppi pugni erano arrivati sul cervello di Willie, su quel poco che aveva mai posseduto, per pretendere altro da lui.
E non ce l’aveva neppure con Harry Yahn: dopo tutto, il suo era stato un ricatto, e Harry gliel’aveva lasciato passare abbastanza facilmente. Vedendo che passavano per Diversey Parkway, disse all’autista: — Credo che ormai sia abbastanza; puoi tornare.
— Bene. State meglio, adesso?
— Quasi del tutto.
— Valeva la pena di vedere quell’altro?
— Certo — rispose Sweeney — avresti dovuto vederlo: un metro e ottanta e ottanta chili.
— Perdiana, dev’essere Willie Harris, dato che vi ho preso su davanti al “Tit-Tat-Toe”.
— Dimentica quel che ho detto. Stavo scherzando.
— Certo. Dove vi lascio, adesso?
— Bughouse Square.
— A quest’ora, a Bughouse Square? Cosa diavolo ci andate a cercare?
— Voglio parlare con Dio — replicò secco Sweeney.
L’autista non gli rispose. E non disse più una parola finché non furono giunti a destinazione.
XIV
Bughouse Square si stendeva senza pace nella notte afosa, quando Sweeney vi giunse. Sulle panchine si allineava il solito carico umano e anche sull’erba giacevano uomini addormentati. Chiuso il passaggio a ogni brezza dagli alti edifici di Dearborn Street, le foglie pendevano immobili dagli alberi e i fili d’erba non avevano neppure il più lieve dondolio; il movimento scuro della piazza era dato dal girarsi e dall’agitarsi degli uomini che dormivano o che cercavano di addormentarsi, non avendo altro da fare.
La quarta panchina a destra, sul lato nord-est, doveva essere occupata da Diomede, se lui c’era. Infatti era là, con un aspetto più vecchio e più scalcinato dell’ultima volta che Sweeney l’aveva visto. Ma forse sembrava così per la legge dei contrasti: lo sguardo e l’aspetto di Sweeney erano ben diversi da quell’ultima volta in cui aveva visto Dio. Senza volere, uno giudica gli altri confrontandoli con se stesso; e se due persone hanno entrambe mangiato cipolle, nessuna delle due sopporta l’alito dell’altra.
Ma Sweeney non cercò di odorare l’alito di Dio. Scosse il vecchio per una spalla, prima gentilmente poi con maggior rudezza, finché Dio aprì un occhio e lo guardò, borbottando: — Che diavolo c’è?
Sweeney gli sorrise. — Non mi riconosci?
— No, non ti riconosco. Fila, prima che chiami un poliziotto.
— Hai voglia di bere, Dio? Voglia abbastanza?
— Abbastanza per che cosa?
— Per mettermi una mano nella tasca destra della giacca.
La mano di Dio s’infilò nella tasca, vi trovò qualcosa e restò ferma. Quando parlò, la voce suonò rauca. — Grazie. È da questo pomeriggio che non bevo. Sarebbe stata una giornataccia domani. Che ore sono?
— Quasi le tre e mezzo.
Dio appoggiò i piedi a terra. — Bene. E a te come va, Sweeney?
— Bene.
Dio finì di mettersi a sedere sulla panchina, mentre Sweeney gli diceva: — Guarda bene la figura che c’è su quel biglietto, prima di farlo cambiare.
Dio trasse la mano di tasca e osservò l’angolo del biglietto di banca spiegazzato. Poi scrutò Sweeney. — Un dannato capitalista.
Rimise la mano in tasca e si alzò, allontanandosi senza voltarsi indietro. Sweeney sorridendo lo guardò allontanarsi finché fu giunto alla strada, soprattutto per essere sicuro che nessuno avesse visto o sentito e lo seguisse. Ma nessuno si mosse.
Sweeney si diresse dalla parte opposta e prese un taxi sulla Chicago Avenue. Quando arrivò a casa erano quasi le quattro e si sentiva stanco, ma prima di andare in camera sua, si fermò nell’atrio per telefonare alla stazione ferroviaria del nord-ovest. Certo, gli risposero, Brampton, nel Wisconsin, era sulla linea del Northwestern; il primo treno era alle sei, fra due ore circa. Il treno successivo? Nessuno fino alla sera. A che ora arrivava a Brampton il treno delle sei? All’una e un quarto del pomeriggio.