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— Accidenti se è stato un lavoro svelto, ma non è servito a niente perché lui ci è scappato via. Il giorno dopo abbiamo seguito tutto il suo percorso, perché era coperto di sangue. Vedete, aveva tagliuzzato Rogers proprio nel posto del guidatore e poi ci si era dovuto mettere lui per guidare e quindi era tutto coperto di sangue. Santo Dio, ne aveva sopra i capelli e sulla faccia e le scarpe addirittura inzuppate. E in quel modo, tutto sanguinante e con il coltello coperto di sangue in mano è arrivato addosso a Bessie che faceva la doccia.

— Chi è Bessie?

— Chi era Bessie. Bessie Wilson, la sorella minore di Charlie. Aveva diciotto o diciannove anni allora, ed era andata da lui perché era ammalata. Lei non viveva a Brampton, era impiegata a St. Louis, come guardarobiera o qualcosa di simile in un club notturno, ma si era ammalata ed era andata dal fratello. I genitori erano morti già da dieci anni. Io credo che quando è tornata non sapesse che lui era in cattive acque, altrimenti non sarebbe tornata. Ma dalle lettere di lui doveva aver creduto che gli andasse bene. Comunque, era ammalata e aveva bisogno di aiuto, ma non credo proprio che quello che le è capitato a Brampton l’abbia molto aiutata. Forse sarebbe stato meglio se fosse morta subito.

— Pell l’ha assalita?

— In un certo senso sì. Non è riuscito a metterle le mani addosso, ma l’ha fatta impazzire e dopo ne è morta. È andata così: quella casupola di Charlie è una stanza grande dove lui vive e lavora. Sul retro della casa c’è un’altra stanzetta, una specie di tettoia coperta, dove Charlie ha piantato una doccia rudimentale. Insomma, saranno state le otto e mezzo e la ragazza, Bessie, è andata a fare la doccia e ha attraversato il cortile, in vestaglia e pantofole. E Pell deve averla vista proprio in quel momento, arrivando nel cortile, mentre entrava in città evitando le strade principali. L’ha vista entrare nella baracchetta. Col coltello in mano, è andato là e con una spallata ha aperto la porta.

— Non c’era una maniglia?

— Vi ho detto che era come un bue. L’ha spalancata con tanta forza, che è uscita dai cardini. E Bessie era là in piedi, nuda, sotto la doccia, che stava per chiuderla. Lui ha fatto un passo verso di lei, alzando il coltello. Volete un bicchiere?

— È un’ispirazione celeste — rispose Sweeney.

Henderson ne versò anche per sé. E continuò: — Non si può biasimarla se è uscita matta, no? Era già malata e poi trovarsi davanti a quello… Un uomo alto quasi due metri, con l’uniforme di un manicomio, che era stata grigia una volta ed era diventata rossa di sangue, insanguinato in faccia e sui capelli, che le arrivava addosso con un coltello lungo trenta centimetri. Buon Dio!

Sweeney poteva facilmente immaginare la scena. Aveva visto la statuetta.

Bevve un altro sorso di whisky. E domandò: — Che cosa accadde?

XV

Henderson proseguì: — Io ero a poca distanza e l’ho sentita urlare e urlare senza smettere. Ci avrò messo cinque minuti ad arrivare e tutto era finito quando arrivai, ma lei stava ancora urlando. Era successo che quando lei cacciò il primo urlo, Charlie afferrò il fucile (lo aveva perché va molto a caccia, non per divertimento come facciamo noi, ma per mangiare) e corse verso la baracca. Vide sulla soglia l’uomo col coltello e dietro di lui, nell’angolo, Bessie ancora sotto l’acqua della doccia, che urlava. Si precipitò verso la porta: ci sono soltanto tre metri dalla casa alla baracca, si mise di fianco per prendere Pell senza colpire anche Bessie e sparò. E fece nel corpo di Pell un buco, che, ve l’ho detto, ci avreste potuto metter dentro la testa anche voi.

— Lo dovrei? — domandò Sweeney. Allo sguardo stupito dell’ex sceriffo, mutò la sua domanda. — E Bessie Wilson diventò pazza?

— Sì. E dopo sei o sette mesi morì. Completamente pazza. Non nel manicomio qua vicino, perché è degli incurabili, e invece lei avevano sperato di curarla, in principio. È stato in una piccola clinica privata vicino a Beloit. C’era stato un gran chiasso su tutta la faccenda e uno dei dottori di là si interessò del caso: aveva una nuova cura e, pensando di provarla con Bessie, la prese per un’opera di carità. Ma non servì a nulla: dopo sei o sette mesi era morta.

Sweeney domandò: — E Charlie? Si è svanito allora o lo era già?

— Come vi ho detto, non è proprio matto. Ma era già svanito prima del fatto, e non credo che sia peggiorato per quello. È un artista. E bisogna essere matti per fare gli artisti, no?

Sweeney rispose: — Penso di sì. E dove si trova la casa di Charlie?

— In Cuyahoga Street; non molto lontano di qui, verso ovest, quasi al limite della città. Il numero non lo so, sempre ammesso che ci sia un numero. Comunque, è poco più su di Main Street, che è questa strada dove siamo adesso. È dipinta di verde; non potete sbagliare. Un altro bicchiere? Ce ne sono rimasti giusto due.

— Perché no?

Non c’era alcuna ragione per dire di no, perciò Henderson versò i due bicchieri, vuotando la bottiglia.

Sweeney fissava il suo bicchiere. Una mezz’ora prima, tutto era sembrato molto promettente. Aveva trovato uno Squartatore. Ma era morto, morto da più di quattro anni, con un tal buco in corpo che Sweeney avrebbe potuto metterci dentro la testa se avesse voluto. Ma non lo voleva, specialmente perché lo Squartatore era morto da quattro anni.

Bevve un sorso e guardò Henderson, come se la colpa fosse stata sua. Poi gli venne un’altra idea, per quanto poco plausibile. Domandò: — E Charlie Wilson, è mai andato fuori città?

— Charlie? Che io sappia no. Perché?

— Mi domandavo solo se fosse stato a Chicago.

— No, non potrebbe pagarsi un biglietto fino a Chicago. E poi non è stato lui.

— Dove non è stato lui?

— A commettere i tre delitti dello Squartatore. Il nostro nuovo sceriffo, Lanny Pedersen, ne parlava al bar l’altra sera. Logicamente tutti noi abbiamo osservato la coincidenza del nostro Squartatore con questo, anche se il nostro era morto, e io ho domandato a Lanny di Charlie, se non poteva essergli venuta qualche idea da quel che aveva visto, o roba del genere, e ha detto che ci aveva pensato anche lui, ma che aveva già controllato che Charlie non era stato fuori città, interrogando i suoi vicini in Cuyahoga Street. Lo hanno visto tutti i giorni e per quasi tutto il giorno è stato a dipingere o a scolpire nel cortile.

Sweeney bevve un altro sorso. — E questo Pell — insisté — siete sicuro che Charlie lo abbia ucciso? Voglio dire, il colpo non lo avrà preso in faccia in modo da renderlo irriconoscibile?

— No, la faccia è rimasta intatta. Nessun dubbio sull’identità, anche ammesso che non bastassero l’uniforme insanguinata e tutto il resto. Il colpo lo ha preso nel petto, perché deve aver sentito Charlie avvicinarsi ed essersi voltato. Un colpo nel petto che gli ha fatto un buco da metterci dentro la testa.

Sweeney concluse: — Grazie lo stesso. Pensavo che potessero esserci dei legami con il nostro caso dello Squartatore — e si alzò — ma sembra improbabile, dato che Charlie ha un alibi e gli altri implicati sono tutti morti. E, in ogni caso, voi ci avreste pensato anche prima di me. A ogni modo, vi ringrazio.

Aspettò che Henderson avesse lavato i bicchieri e avesse gettato la bottiglia vuota nel secchio della spazzatura, poi scese con lui al bar. Quando la moglie di Henderson uscì dal banco, lasciando il posto al marito, li fissò attenta e Sweeney comprese che le precauzioni di Henderson con i bicchieri e la bottiglia erano state inutili. Se anche non avesse trovato la bottiglia, avrebbe saputo con certezza che ce n’era stata una.

Nel bar si trovavano solo quattro clienti, e Sweeney, sentendosi infelice per l’esito della sua inchiesta, offrì da bere a tutti, prima di andarsene. Personalmente, si accontentò di una birra.

Poi tornò alla stazione e si informò del primo treno per Chicago.