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— Bene, sarà facile.

— Io lo farò sulla mia copia. E voi spero che abbiate un registro per le altre quaranta circa che avete venduto nel resto del paese, vero?

— È tutto segnato sui libri.

— Bene, allora se compare una statuetta senza marchio, si potrà rintracciarne la provenienza per provare che non è quella acquistata dallo Squartatore. E un’altra cosa…

— Sì?

— Io non parlerò delle origini della statuetta. Charlie, cioè Chapman Wilson, è molto sensibile su quanto accadde alla sorella e qui abbiamo già materiale sufficiente, senza rivangare l’altra storia. Dopo tutto, è roba ormai passata, mentre il nostro Squartatore è molto attuale. Mi ha detto Wilson che voi gli avevate promesso di non far uso della vicenda per pubblicità, perciò mantenete la vostra promessa.

— Naturale, signor Sweeney. E grazie, mille volte grazie!

Appeso il ricevitore, Sweeney telefonò a Iolanda, ma nessuno gli rispose. Era troppo presto perché lei fosse al club, probabilmente era a pranzo fuori. Bene, poteva anche aspettare a parlarle fino al giorno dopo, quando sarebbe apparso il pezzo nel “Blade”, con la storia della «Statua che urla». E forse in quel momento anche lo Squartatore sarebbe già stato arrestato e lei non avrebbe avuto una scorta di poliziotti dovunque si recasse. Naturalmente sarebbe andato la sera a vederla ballare. Cioè, poteva andarci o no?

Cercò il numero del “Tit-Tat-Toe” e chiamò. Una breve discussione e il suo nome gli fecero ottenere la comunicazione con Harry Yahn. La voce di Harry rimbombò cordiale nel telefono: — Salute, Sweeney. Come vanno le cose?

— Bene, Harry. Sto per pubblicare domani una grossa storia sullo Squartatore. Pubblicità extra per Iolanda.

— Questo è un bel colpo! E… c’è qualcuno che io conosca?

— No. A meno che tu non conosca lo Squartatore. Lo conosci?

— Non con quel nome. E allora, che cosa c’è? Non vorrai altro denaro, spero.

— Santo Dio, no — disse Sweeney. — Quella è una faccenda chiusa e seppellita, ormai. Voglio sapere se siamo ancora amici o no.

— Ma sicuro, Sweeney; hai motivi per pensare il contrario?

— Sì — replicò Sweeney. — Comunque, il conto è pari? In parole povere, sono una persona non gradita? Cioè, se entro all’“El Madhouse” o al “Tit-Tat-Toe” posso poi uscirne sano e salvo? O debbo mettermi un’armatura?

Harry Yahn scoppiò a ridere. — Sei sempre il benvenuto, Sweeney. Sul serio, come hai detto tu, è una faccenda chiusa e seppellita.

— Bene — disse Sweeney. — Volevo solo esserne certo.

— Uhm… Willie è stato discreto?

— Per essere Willie, direi di sì. Volevo essere sicuro che non avessi passato la parola a Nick. Stasera dovrò andare probabilmente all’“El Madhouse”.

— Ottimo. Nick mi deve telefonare tra poco, e gli dirò di riservarti un tavolo e di non farti pagare il conto. Senza scherzi, Sweeney, mi sei simpatico. Nessun risentimento?

— Sentimenti tenerissimi — replicò Sweeney — e il peggio è che quella tenerezza è stata lavorata altre due volte da allora. È per questo che volevo essere sicuro prima di entrare all’“El Madhouse”. Visto che è così, arrivederci e grazie di tutto.

— Non dirlo neppure, Sweeney. Stammi bene.

Dopo aver riattaccato il microfono, Sweeney trasse un lungo respiro e, per quanto lo stomaco fosse ancora dolorante, si sentì molto meglio. Tornò dalla centralinista e si fece chiamare New York, dove al centralinista locale lasciò tutto il tempo necessario per ricercare sull’elenco il numero di Ray Land, dato che era certo che Land avesse un telefono a casa. Era stato un poliziotto addetto alla squadra omicidi di Chicago e ora dirigeva una piccola agenzia di sua proprietà a New York. Ray era a casa.

— Sono Sweeney. Ti ricordi di me?

— Certo. E allora, che c’è?

— Voglio che tu controlli un alibi per me. A New York. — Diede i dettagli del nome di Greene e dell’albergo e le date esatte. — So che è registrato all’albergo per tre giorni: lo ha già controllato la polizia. Quello che voglio scoprire con sicurezza, non come probabilità, è se la notte del ventisette si trovava là.

— Posso provare. Sono passate quasi due settimane. Fin dove devo arrivare?

— Dove puoi. Parla in albergo a tutti quelli che possono averlo visto entrare o uscire, alla cameriera che gli ha rifatto il letto, a chiunque, insomma. Senti, il momento cruciale è alle tre di mattina. Se puoi seguirlo per sei o sette ore prima e dopo quel momento, andrà benone.

— Dodici ore non sono poi molte. Forse ce la faccio. Quanto vuoi spendere?

— Tutto quel che ti pare, purché tu ci riesca. Entro limiti ragionevoli, è naturale. Ti manderò un vaglia telegrafico di un centinaio di dollari, in deposito. Se non basterà, anche il doppio.

— Credo che basterà, Sweeney. È la spesa di due giorni e dato che è a Manhattan, non ci sono trasferte. Se non ci riesco in due giorni, vuol dire che non ci riesco più. Perché il margine di sei ore?

— Voglio convincermi che non poteva trovarsi a Chicago alle tre di mattina. Calcolando il tempo per andare e venire dagli aeroporti, e per noleggiare un aereo e tutto il resto, è il minimo necessario. Cinque ore sarebbero più sicure. Se puoi provare che alle dieci di sera o alle otto di mattina era in albergo, mi basterà. E, per il caso qualcuno lo avesse sostituito, usando il suo nome, te lo descrivo. — Rapidamente Sweeney gli descrisse Greene e aggiunse: — Se non gli trovi l’alibi, prova con la descrizione all’aeroporto. Ma se arriviamo a questo, posso mandarti una fotografia. Quando avrai raccolto i dati, chiamami. Va bene?

— Bene. Comincerò stasera, perché ci saranno i turni di notte che mi occorrono.

Uscendo dall’edificio dei telefoni, Sweeney vide che era ormai buio e scoprì di aver fame. Si accorse pure di non aver letto neppure un giornale della domenica e di aver potuto quindi perdere qualche notizia importante: a un’edicola trovò due ultimissime edizioni del lunedì mattina, ancora umide di stampa, e due ultime copie della domenica. Le comperò tutte e quattro e se le portò al ristorante.

Leggendo mentre mangiava, vide che nel frattempo non era accaduto né era stato rivelato nulla di nuovo. Dappertutto la storia era ancora importante, troppo grossa perché si potesse far passare un’edizione senza parlarne, ma le poche aggiunte o rimaneggiamenti non avevano cambiato la situazione.

Prolungò il pranzo e la lettura sino alle dieci, poi uscì. Ricordandosi dell’assegno, si fermò di nuovo all’ufficio della Western Union per spedirlo a Ray Land.

Gli restavano così ancora più di settecento dollari e sentì che avrebbe desiderato spenderli in qualche modo per Iolanda. Ce ne sarebbe stato il tempo, dopo la sparizione dei poliziotti di guardia. Nel frattempo, c’era un omaggio che poteva rivolgerle. In un grande albergo, trovò un fioraio ancora aperto e ordinò di mandare al più presto due dozzine di rose rosse all’“El Madhouse”, a Iolanda. Per scrivere il biglietto d’accompagnamento, ne stracciò tre, finché sul quarto scrisse Sweeney e basta.