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Rumore di passi dall’interno. — Chi è? — una voce stanca e dal timbro acuto.

— Paul Katterson — sussurrò lui. — Sei sveglio?

North aprì la porta. — Katterson! Entra! che cosa ti porta qui?

— Hai detto che potevo venire ogni volta che avessi avuto bisogno di aiuto. Be’, ora ne ho bisogno. — Katterson si sedette sul bordo del letto di North. — Non ho mangiato niente in due giorni, o quasi.

North ridacchiò. — Sei venuto nel posto giusto, allora. Aspetta… ti prendo del pane con un po’ di burro. Ce ne è rimasto ancora.

— Sei sicuro di poterne fare a meno, Hal?

North aprì un armadio e ne tolse una fetta di pane e a Katterson venne l’acquolina in bocca. — Certo, Paul. Io non mangio mai molto, e ho conservato la maggior parte delle mie razioni. Puoi servirti di tutto quello che c’è.

Katterson si sentì invadere da un’improvviso sentimento d’amore, una strana emozione struggente che per un attimo sembrò abbracciare tutto il genere umano, e che poi sfiorì e alla fine scomparve.

— Grazie, Hal. Grazie.

Si voltò e guardò il libro consunto e macchiato dalle ditate che era aperto sul letto di North. Katterson lasciò vagare lo sguardo sui minuscoli caratteri da stampa e lesse piano ad alta voce.

Lo ’mperador del doloroso regno da mezzo il petto uscia fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, che i giganti non fan con le sue braccia.

North portò il piatto con il cibo dove era seduto Katterson. — L’ho letto per tutta la notte — disse. — Chissà come mi è venuto in mente di sfogliarlo, e così l’ho cominciato ieri sera e ho continuato a leggerlo finché non sei arrivato tu.

— L’Inferno di Dante — disse Katterson. — Molto appropriato. Un giorno piacerebbe anche a me rileggerlo. Ho letto così poco, sai; ai soldati non viene data una grande istruzione.

— Tutte le volte che vorrai leggere, Paul, i libri saranno a tua disposizione. — North sorrise, un sorriso pallido in quel suo viso esangue. Indicò lo scaffale su cui erano ammucchiati libri rovinati e consunti dall’uso. — Guarda, Pauclass="underline" Rabelais, Joyce, Dante, Enright, Voltaire, Eschilo, Omero, Shakespeare. Sono tutti lì, Paul, le cose più preziose al mondo. Sono i miei vecchi amici; quei libri sono stati la mia colazione, pranzo e cena tante volte, quando non si trovava cibo a nessun prezzo.

— Forse finiremo col dipendere da loro, Hal. Sei uscito spesso in questi giorni?

— No — disse North. — Non esco più da una settimana. Henriks andava a prendere le mie razioni e le portava qui per avere in prestito dei libri. È venuto ieri… no, due giorni fa, per prendere il mio volume delle tragedie greche. Sta scrivendo una nuova opera, basata su di un testo di Eschilo.

— Povero pazzo Henriks — disse Katterson. — Perché continua a scrivere musica quando non ci sono più orchestre, né dischi, né concerti? Non può nemmeno ascoltare quello che scrive.

North aprì la finestra e l’aria del mattino entrò nella stanza. — Oh, ma lui la sente, Paul. La sente nella mente e questo gli basta. Non ha veramente importanza; non vivrà per sentirla suonare.

— Le distribuzioni sono state sospese — disse Katterson.

— Lo so.

— Si stanno divorando a vicenda, là fuori. Ieri ho visto ammazzare una donna per ricavarne del cibo… macellata proprio come un animale.

North scosse la testa e giocherellò con un ricciolo candido e ribelle. — Così presto? Pensavo che non ci saremmo arrivati così presto, una volta che il cibo si fosse esaurito.

— Sono affamati, Hal.

— Si, sono affamati. Ed anche tu. Tra un giorno o due anche le mie scorte saranno finite ed anch’io avrò fame. Ma ci vuole più della fame per infrangere il tabù che ci impedisce di cibarsi di carne umana. La gente là fuori ha rinunciato alle ultime vestigia di umanità, ora; ha subito ogni genere di degradazione e non può cadere più in basso di così. Presto o tardi anche noi lo capiremo, tu ed io, ed andremo là fuori a caccia di carne.

— Hal!

— Non essere così sconvolto, Paul. — North fece un sorriso paziente. — Aspetta un paio di giorni, quando avremo finito le rilegature dei miei libri, quando avremo masticato fino in fondo le suole delle scarpe. Il pensiero fa rivoltare lo stomaco anche a me, ma è inevitabile. La società è condannata: ora cadono anche le ultime inibizioni. Noi siamo solo più testardi degli altri, o forse più esigenti per quello che riguarda i nostri pasti. Ma verrà anche il nostro turno.

— Non ci credo — disse Katterson, alzandosi.

— Siediti. Sei stanco, ed anche tu sei ormai ridotto ad uno scheletro. Che cosa ne è stato del mio grande e muscoloso amico Katterson? Dove sono adesso i suoi muscoli? — North si sporse e strinse i bicipiti del gigante. — Pelle e ossa, che altro? Ti stai consumando, Paul, e quando anche l’ultima scintilla sarà bruciata, cederai anche tu.

— Forse hai ragione, Hal. Appena smetterò di considerarmi un essere umano, appena sarò abbastanza affamato e allo stremo, allora andrò là fuori a caccia come gii altri. Ma resisterò più che portrò.

Si lasciò cadere sul letto e prese a sfogliare lentamente le pagine ingiallite di Dante.

Henriks ritornò il giorno seguente, emaciato e con gli occhi stralunati, per restituire il volume di tragedie greche, e disse che i tempi non erano maturi per Eschilo. Prese in prestito un piccolo volume con le poesie di Ezra Pound. North lo costrinse a prendere un po’ di cibo, cosa che lui fece senza alcuna diffidenza e con molta gratitudine. Poi se ne andò, lanciando una strana occhiata a Katterson.

Altri arrivarono durante il giorno: Komar, Goldman, Metz, tutti uomini che, come Henriks e North, ricordavano i giorni prima della guerra. Erano pietosi scheletri, ma in essi la fiamma della conoscenza era sempre viva. North li presentò a Katterson, e tutti guardarono con meraviglia la sua corporatura ancora robusta, prima di gettarsi avidamente sui libri.

Ma presto le visite si diradarono. Katterson stava alla finestra e per ore osservava la strada che rimaneva vuota. Erano ormai quattro giorni da quando era arrivata l’ultima razione dall’Oasi di Trenton. Si era agli sgoccioli.

Il giorno seguente cominciò a nevicare e continuò per tutto il pomeriggio. Alla sera, North portò la sedia vicino alla credenza e mantenendosi in precario equilibrio rovistò all’interno per qualche minuto. Poi si voltò verso Katterson.

— Siamo ridotti peggio di Mamma Hubbard — disse. — Almeno lei aveva un cane.

— Eh?

— Mi stavo riferendo ad un passo di un libro per bambini — disse North. — Volevo dire che non abbiamo più cibo.

— Per niente? — chiese Katterson scoraggiato.

— Proprio niente. — North fece un debole sorriso. Katterson sentì il vuoto del proprio stomaco e si adagiò all’indietro, chiudendo gli occhi.

Nessuno dei due mangiò nulla il giorno seguente. La neve continuò a cadere. Katterson passò la maggior parte del tempo guardando fuori dalla piccola finestra e vide un leggero e candido strato di neve coprire tutto quello che c’era intorno. E nessuno venne a calpestarla.

Il mattino seguente Katterson si alzò e trovò North occupato a strappare la rilegatura della sua copia di tragedie greche. Con profondo stupore Katterson osservò North mentre metteva quella rossa rilegatura consunta in un bricco di acqua bollente.

— Oh, sei sveglio. Sto preparando la colazione.

Era tutt’altro che commestibile, ma la masticarono fino a farne una molle poltiglia e la inghiottirono solo per offrire al loro stomaco torturato qualcosa da digerire, Katterson ebbe conati di vomito mentre deglutiva l’ultimo boccone.