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— Lo dite sul serio? — volle sapere lei.

— Non lo so neanch'io — disse Boone. — So soltanto una cosa. Che, quando partirete, preferirò essere con voi, dovunque andiate, piuttosto che rimanere in questo posto, senza potermi allontanare.

Corcoran e David si erano diretti verso sinistra per fare il giro della casa.

— Finito il funerale — disse Enid — ci riuniremo per decidere gli ultimi particolari della partenza.

Da dietro la casa giunse uno strillo acuto e lacerante. S'interruppe per un attimo, ma poi riprese, come una sorta di miagolio impaurito che non voleva spegnersi e che saliva e scendeva lungo la scala delle note.

Boone si avviò di corsa verso la misteriosa origine del suono. Aveva un nodo alla gola, perché il terrore di quell'urlo pareva afferrarlo tra i suoi artigli.

Quando giunse all'angolo dell'edificio, qualcosa che si muoveva rapidamente lo colpì e lo gettò a terra, facendolo rotolare sull'erba. Finì contro un cespuglio di rose, in mezzo alle spine. Poi cadde in avanti e cadde con la faccia nella terra dell'aiuola.

Si passò una mano sul viso per ripulirsi dal terriccio umido, e con l'altra mano cercò di spostare i gambi spinosi: cosa non facile, perché le spine aguzze gli erano penetrate nei vestiti e non volevano staccarsi.

Quando riuscì a togliersi la terra dalla faccia, vide Emma che correva verso il viaggiatore di Martin, seguita da una parte degli altri, forse da tutti: correvano come se avessero avuto il diavolo alle calcagna. Doveva essere stata Emma, si disse, che lo aveva travolto.

Diede uno strattone disperato per liberarsi dal cespuglio, ma uno stelo particolarmente robusto, rimastogli accanto ai calzoni, lo fece inciampare. Finì seduto in terra, voltato verso la parte sinistra dell'edificio.

E da quella parte giungeva qualcosa: una cosa che Boone non aveva mai visto, che non credeva potesse esistere. Assomigliava a una ragnatela vivente, alta almeno quattro metri. Pulsava di energia, o di qualcosa che pareva energia e che correva sotto forma di onde lungo tutta la sua struttura, guizzando, scintillando e lampeggiando lungo i sottili fili che la costituivano. Dietro i fili c'era uno specchio o un disco di qualche tipo, che forse era un occhio. Al di là dello scintillio dell'energia, Boone scorse confusamente quelle che sembravano appendici meccaniche. Le appendici scendevano verso di lui. Nella rete c'erano anche altri oggetti, ma Boone non riusciva a immaginare che cosa fossero.

Sentì una voce che gridava: — Boone, sbrigatevi! Vi aspetto!

Si affrettò ad alzarsi, si liberò la gamba e cominciò a correre.

Sul prato rimaneva soltanto uno dei viaggiatori piccoli.

— Correte! — gridava Enid davanti al portello aperto.

Corse come non aveva mai corso in tutta la sua vita. Enid si affrettò a entrare nel viaggiatore. Dalla soglia, gli rivolse dei gesti disperati.

Boone raggiunse finalmente il viaggiatore e saltò all'interno, ma inciampò sull'orlo e finì addosso a Enid.

— Toglietevi, pasticcione! — gridò lei, e Boone si affrettò a gettarsi di lato. Il portello si chiuse. E mentre si chiudeva, Boone vide che la rete era ormai addosso a loro. Enid armeggiava freneticamente con il pannello degli strumenti, nella parte anteriore del viaggiatore.

Boone cercò di strisciare fino a lei, ma all'improvviso una forte scossa lo buttò a terra, e con la scossa giunse l'oscurità, la profonda e spaventosa oscurità che aveva già conosciuto quando il viaggiatore di Martin aveva lasciato New York.

6. Enid e Boone

La luce fece ritorno: le luci scintillanti del pannello e la debole luce solare proveniente da un piccolo oblò d'osservazione.

Boone riuscì a rimettersi in ginocchio, cercò di alzarsi in piedi. Ma picchiò dolorosamente la testa contro il soffitto evidentemente molto basso.

— Questi veicoli sono molto piccoli — disse Enid, parlando con tranquillità, senza eccitazione. — Bisogna strisciare sulle ginocchia.

— Dove ci troviamo?

— Non lo so con sicurezza. Non ho avuto la possibilità di scegliere un tempo e un luogo. Ho soltanto dato l'ordine: «Via!» a tutta velocità.

— È stato un bel rischio, vero?

— Certo. Ma volevate che rimanessi laggiù, e che lasciassi distruggere il viaggiatore da quel mostro?

— No, certo no. Non volevo criticare.

— Sto controllando — disse Enid, chinandosi sul pannello. — Leggo la misura del tempo. Non so ancora in che anno siamo; è meglio guardare.

— E che valore dà?

— Misurato dal nostro momento di partenza, più di cinquantamila anni nel passato. Per l'esattezza, 54.100.

— Cinquantamila avanti Cristo?

— Proprio così — disse la donna. — Siamo in una pianura vastissima. Lontano s'innalzano delle colline. Colline con una forma strana.

Boone si spinse avanti, si affiancò a lei e guardò nello schermo.

Intorno a loro il terreno era coperto d'erba, e più avanti s'innalzavano colline tozze e brulle. Lontano si scorgevano delle macchie che parevano una mandria intenta a brucare.

— Siamo in America, credo — disse Boone. — Nelle pianure occidentali. In un punto degli Stati Uniti del sudovest, probabilmente. Non posso spiegare come lo so. Ma lo sento. Nella mia epoca è un deserto, ma cinquantamila anni prima era un buon pascolo.

— C'è gente?

— Poco probabile. Le teorie più attendibili dicono che l'uomo è arrivato in queste zone quarantamila anni prima della mia epoca. Forse più tardi. Gli scienziati potrebbero sbagliarsi, naturalmente. Comunque, è l'America dell'Era glaciale. Il settentrione è coperto di ghiacci.

— Siamo abbastanza al sicuro, allora. Non ci sono indigeni assetati di sangue. E neppure carnivori affamati.

— Ci sono carnivori, ma c'è molto cibo a loro disposizione. Non dovrebbero occuparsi di noi. Avete qualche idea di dove siano gli altri?

Enid alzò le spalle. — Ciascuno ha pensato per sé.

— E Timothy? Diceva di non volersene andare.

— Credo che sia partito anche lui. Il vostro amico Corcoran è rimasto indietro. Vedendo cosa vi era successo, si è messo a gridare perché qualcuno vi aiutasse. David lo ha raccolto di peso e lo ha infilato nell'altro viaggiatore piccolo. Poi sono partiti, senza badare a noi.

— Voi mi avete aspettato.

— Non potevo abbandonarvi in balia di quel mostro.

— Credete che sia stato quel mostro a distruggere la base di Atene?

— Probabilmente. Ma non c'è modo di saperlo. Voi conoscete il posto dove ci troviamo?

— Se siamo nel sudovest degli Stati Uniti, ci sono già stato. Un paio di volte, in vacanza. Mi sembra la stessa zona, a meno che non ci siano altri posti che hanno lo stesso tipo di caratteristiche. Ma nel resto del mondo non ho visto zone simili.

— Il cibo e il resto che Horace ha collocato nei viaggiatori dovrebbero trovarsi nel fondo. In ciascun viaggiatore ha messo delle scorte, ma aveva fretta e probabilmente non ha prestato molta attenzione alla cosa. Mi pare che abbia messo proprio nel nostro viaggiatore il fucile di Timothy, quello acquistato da David a New York.

— Intendete uscire, adesso?

— Credo che dovremmo farlo. Qui dentro si soffoca. Usciamo a sgranchirci le gambe, diamo un'occhiata in giro, decidiamo con calma il da farsi.

— Avete qualche idea di cosa possiamo fare?

— Nessuna. Ma in un posto come questo dovremmo avere un po' di tempo, prima che riescano a trovarci. Anche se forse è impossibile trovarci.

Strisciando all'interno del viaggiatore, Boone trovò il fucile, uno zaino, alcune coperte, qualche altro pacchetto sistemato a casaccio. Li raccolse tutti insieme mentre Enid apriva il portello.

Accovacciato sulla soglia, Boone esaminò il fucile. C'era un colpo in canna, e altri cinque nel caricatore. Si augurò che nei pacchi ci fossero altre munizioni.