— Nel viaggiatore mi sentirei soffocare. Andrò a prendere delle coperte. Voi la volete, una coperta, vero?
Boone annuì. — Con la notte, qui, può scendere il freddo.
La luna stava sorgendo: un grande disco giallastro e maculato che rimaneva sospeso sopra le colline nude e grigie. La terra sembrava vuota. Non c'era niente che si muoveva, niente che emetteva un suono. Anche i lupi che lo sorvegliavano da lontano si erano ritirati; dal bordo della zona illuminata non c'erano occhi luccicanti che riflettevano la luce delle fiamme. Poi, alla luce della luna, Boone scorse un'ombra che si muoveva. I lupi erano ancora là, capì, come ombre galleggianti. Gli parve che quella terra divenisse immediatamente meno vuota e meno sola.
Enid fece ritorno, dopo essersi recata nel viaggiatore, e gli diede una coperta.
— Una coperta sarà sufficiente? — domandò.
— Sì. Me la metterò sulle spalle.
— Volete dire che dormirete seduto?
— Non è la prima volta — disse Boone. — Serve a tenersi sveglio. Se uno si addormenta, la posizione lo fa subito svegliare.
— Non ho mai sentito tante sciocchezze — commentò Enid. — Voi siete davvero un barbaro.
Lui rise.
Mezz'ora più tardi, quando si alzò per mettere altra legna sulle braci, Boone vide che la donna si era addormentata, avvolta nelle coperte.
Riattizzato il fuoco, Boone si rimise a sedere, si tirò la coperta sulle spalle, si infagottò per bene, e si posò il fucile sulle ginocchia.
Più tardi, quando si svegliò, la luna era alta nel cielo. Il fuoco si stava spegnendo, ma rimaneva ancora un po' di legna. Boone chinò la testa e si addormentò per qualche istante; poi, destandosi all'improvviso, scorse una figura, seduta dirimpetto a lui, dall'altra parte del fuoco. La figura indossava quello che sembrava un mantello di foggia imprecisata, e portava un cappello conico, che le copriva la faccia. Boone rimase tranquillamente a sedere, senza muoversi, ancora ottenebrato dal sonno. Socchiudendo gli occhi, osservò la figura seduta davanti a lui, chiedendosi vagamente se c'era davvero qualcuno o se era un'allucinazione del sonno. La figura non si mosse. Era un lupo, così distorto dalle nebbie deformanti del sonno da sembrare un uomo seduto? Un lupo che sedeva a tenergli compagnia, dall'altra parte del fuoco? No, non era un lupo, si disse Boone, per rassicurarsi. Costringendosi a uscire dal sonno, si alzò faticosamente in piedi. Ma al primo movimento, la cosa al di là del fuoco si dileguò. Laggiù non c'era niente, si disse Boone; era stato soltanto un sogno a occhi aperti.
Usando un lungo bastone per riunire in un solo mucchio le braci sparse qua e là e i rami mezzi bruciati, riattizzò la fiamma. Poi, avvolgendosi strettamente nella coperta, si addormentò di nuovo.
Si svegliò gradualmente, come ci si desta di solito, ma con una sorta di avvertimento nel cuore. Perplesso aprì leggermente le palpebre e vide un lupo, seduto davanti a lui, quasi faccia a faccia. Aprendo gli occhi un poco di più, si trovò a fissare un paio di pupille gialle, bestiali, che lo fissavano senza battere.
Tutta la sua mente gli gridava di fare qualcosa, ma Boone si mantenne immobile. Al primo movimento brusco, lo sapeva, quelle pesanti mascelle potevano portargli via metà della faccia.
Il lupo sollevò il labbro superiore come se avesse intenzione di ringhiare, ma poi lo lasciò ricadere. Fu l'unica sua parte che si mosse.
Stranamente, Boone provò un folle desiderio di ridere di quella folle situazione, in mezzo a una regione primordiale. Un lupo e un uomo che sedevano con la faccia dell'uno pressocché a contatto con il muso dell'altro. Parlò a voce bassa, quasi senza muovere le labbra: — Ehi, bello. — Al suono della sua voce, il lupo indietreggiò di qualche decina di centimetri.
Il fuoco era quasi spento, vide Boone. La sveglia che credeva di avere nel cervello non aveva funzionato, e lui si era addormentato.
Le labbra del lupo si mossero come per ringhiare, ma l'animale non ringhiò. Gli orecchi, che fino a quel momento erano rimasti piegati all'indietro, si spostarono in avanti, come quelli di un cane curioso. Boone provò la tentazione di allungare la mano per accarezzargli la testa, dato che il lupo sembrava abbastanza amichevole. Ma ebbe il buon senso di rimanere immobile. Il lupo indietreggiò ancora un poco, scivolando sull'erba.
Leggermente discosti rispetto al fuoco c'erano altri lupi, che osservavano attentamente, con gli orecchi in avanti, per vedere cosa succedeva.
Con un movimento elegante, il lupo si alzò e si allontanò. Boone rimase a sedere, stringendo le dita sulla canna del fucile, anche se si disse, non aveva bisogno dell'arma. L'incidente era terminato. Sia lui che il lupo avevano dimostrato la loro freddezza, e ormai non c'era più pericolo, sempre ammesso che ce ne fosse stato.
Probabilmente, il lupo non aveva mai avuto intenzione di fargli del male. Il fuoco si era spento, e il lupo si era avvicinato, incuriosito da quella nuova specie di animale che era comparsa nella sua zona di caccia. La curiosità canina lo aveva spinto a controllare che specie di creatura fosse.
Il lupo si stava ormai ritirando, tranquillamente, muovendosi di lato. Poi, con eleganza, gli girò le spalle e si allontanò balzelloni per unirsi ai compagni.
Boone lasciò scivolare a terra la coperta e si alzò in piedi. Il fuoco non si era ancora spento del tutto. Scostò lo strato superficiale di cenere e raggiunse un tizzone ancora acceso: se ne servì per accendere dei piccoli rametti di ginepro. Quando vide una fiamma, gettò altra legna sul fuoco. Alla fine si rialzò in piedi, e vide che i lupi erano scomparsi.
Esplorando il contenuto dello zaino, trovò un pacco di farina d'avena. Aveva ancora dell'acqua nel secchio, e la versò nell'altro recipiente. Versò la farina, la stemperò nell'acqua, trovò un cucchiaio e cominciò a girare l'impasto. Quando Enid si svegliò e si mise a sedere, Boone era inginocchiato accanto al fuoco, e faceva bollire il suo semolino d'avena. Il cielo cominciava a rischiararsi a oriente, e l'aria era quasi fredda.
Enid si avvicinò al fuoco e tese le mani per riscaldarsele. — Che cosa bolle in pentola? — domandò.
— Semolino d'avena. Spero che vi piaccia.
— Di solito mi piace. Ma suppongo che non ci siano né latte né zucchero. Horace non si sarà certamente ricordato di metterli.
— C'è ancora del prosciutto, e forse anche dell'altro. Quando ho trovato la farina, ho smesso di cercare.
— Penso che potrò mandare giù il semolino. Almeno sarà caldo.
Quando si fu raffreddato abbastanza lo mangiarono così com'era. Enid aveva ragione: non c'erano né latte né zucchero.
Terminata la colazione, Boone disse: — Vado alla fonte a lavare la pentola, e a prendere un po' d'acqua.
— Mentre andate a prendere l'acqua io rimetto tutto nel viaggiatore. Non vorrete lasciare le cose in giro.
— Volete che vi lasci il fucile?
Lei fece una smorfia. — Non so neppure usarlo. Inoltre, non credo che ci sia pericolo.
Boone esitò un attimo, poi disse: — Non lo credo neanch'io. Ma se succede qualcosa, entrate nel viaggiatore e chiudete il portello.
Alla fonte trovò due lupi, che leccavano l'acqua nella pozza che aveva scavato. Si tirarono educatamente indietro, e aspettarono che Boone finisse di lavare la pentola e di riempirla d'acqua. Quando si allontanò, Boone si guardò alle spalle. I due lupi erano ritornati alla fonte e avevano ripreso a leccare coscienziosamente l'acqua.
Al campo, Enid era seduta accanto al fuoco. Agitò la mano per salutare Boone quando lo vide arrivare. Giunto accanto a lei, Boone domandò: — Avete qualche piano.
Lei scosse la testa. — Non ho ancora pensato a niente. Se sapessi dove sono finiti gli altri, potremmo raggiungerli. Ma probabilmente hanno fatto come noi: sono scappati con la massima fretta; un posto valeva l'altro, pur di andarsene.
— Il tempo da esaminare è davvero grande, se non abbiamo idea di dove andare — disse Boone. — Non vale la pena di allontanarci da qui, mi pare, se non abbiamo una destinazione precisa.