Si mise all'opera. Scelse qualche ramo robusto e ne appunti le estremità. Poi tagliò la carne in pezzi più piccoli e la infilò sui bastoncini appuntiti, usandoli come spiedini. Il fuoco si era ridotto a un mucchietto di carboni. Isolò i pezzi ancora accesi e se ne servì per accendere un altro fuoco. Infilò in terra i bastoni in modo che la carne rimanesse al di sopra del letto di carboni accesi.
Si sedette accanto ai carboni e sorvegliò la cottura, girando di tanto in tanto gli spiedi. All'odore della carne che cuoceva si sentì venire l'acquolina in bocca. Ma per quanto fosse appetitosa, non poteva essere molto saporita. Non aveva sale per condirla.
I lupi stavano ancora disputandosi la carcassa del bisonte. Alcuni avvoltoi erano già scesi a terra, ma i lupi li avevano allontanati. Adesso attendevano ingobbiti, a una certa distanza, il loro turno. Il sole sfiorava l'orizzonte. La notte era ormai prossima.
Laggiù sulla pianura giaceva la carcassa di un bisonte che all'epoca di Boone era conosciuto soltanto come fossile. E più avanti c'erano altri fossili viventi: mastodonti, mammut, cavalli primitivi e forse anche cammelli. Anche i lupi che azzannavano la carcassa del bisonte appartenevano a una specie estinta.
Seduto accanto ai carboni accesi, Boone continuò a controllare con attenzione la cottura della carne. Sentiva i morsi della fame: dopo il semolino pressoché immangiabile della mattina, non aveva più mangiato niente.
Salendo sul viaggiatore di Enid, ricordò, era convinto di andare nel futuro, e non in quel mondo di fossili viventi. Poi la fretta degli ultimi istanti passati a Hopkins Acre gli aveva fatto scordare la destinazione.
Nel futuro c'erano certamente molte cose interessanti, ma laggiù nel passato c'era ben poco. Pensò al futuro di cui gli avevano parlato a Hopkins Acre: un mondo quasi privo di esseri umani visibili, anche se l'umanità era ancora presente come entità incorporee, come intelligenze pure; un mondo in cui il fattore di sopravvivenza che aveva dato all'uomo il dominio del pianeta si era infine ridotto a un microscopico granello di polvere, o era sparito del tutto.
Le trasformazioni, si disse. La Terra aveva conosciuto moltissime trasformazioni nel corso dei cinque miliardi di anni della sua esistenza. Quelli che all'inizio parevano elementi trascurabili, con il tempo erano diventati soverchianti, ma nessuno era stato capace di intervenire, prima che fosse tardi, per invertire la tendenza.
Anche se fossero stati intelligenti, i grandi rettili non sarebbero stati in grado di capire che erano avviati all'estinzione, sessanta e più milioni di anni prima. E anche altre forme di vita si erano estinte per cause imprevedibili. A quanto ricordava di aver letto, la prima grande estinzione aveva avuto luogo due miliardi di anni prima, quando le piante verdi, capaci di convertire in ossigeno l'anidride carbonica, avevano trasformato l'atmosfera terrestre. Fino a quel momento, l'atmosfera si era comportata chimicamente come un riducente, mentre da quel momento in poi aveva preso a comportarsi come un ossidante, e questo aveva distrutto le precedenti, primitive forme di vita per le quali l'ossigeno era un veleno.
C'erano già stati molti casi di morte in massa. Le specie morte nel passato erano cento volte più numerose di quelle attualmente viventi. E infine, lassù nel futuro, era morta la razza umana. Forse ancora esisteva, ma in forma ormai indifferente alla futura evoluzione della Terra.
Enid gli aveva detto che gli alberi avrebbero preso il posto dell'umanità, una volta scomparso l'uomo. Era un concetto ridicolo, naturalmente. Grazie a quale processo, a quale capacità, gli alberi potevano sostituirsi all'uomo? Eppure in un certo senso, se l'umanità doveva scomparire, era bene che fossero proprio gli alberi a prendere il suo posto. Per tutto il corso della storia, gli alberi erano stati amici dell'uomo… mentre l'uomo si era comportato nei loro confronti sia come amico sia come nemico. A volte aveva abbattuto per capriccio grandi foreste; altre volte aveva coltivato amorevolmente gli alberi, o li aveva addirittura trasformati in oggetti di culto.
Uno dei bastoni su cui aveva infilato la carne si inclinò e cadde sul carbone. Con un'imprecazione, Boone si affrettò a sollevarlo e a ripulire la carne sporca di cenere. Pareva sufficientemente cotta, e Boone staccò uno dei pezzi, cercando di non scottarsi. Quando la carne si fu leggermente raffreddata, ne assaggiò un pezzo. A causa della mancanza di sale non aveva molto gusto, ma era calda, ed era meno dura del previsto. Masticò a lungo, con soddisfazione. Quando fu sazio posò il bastone sull'erba e si tolse la giacca, la camicia e la canottiera. Stese la canottiera sull'erba, andò a recuperare gli altri bastoni e staccò i vari pezzi di carne, ammucchiandoli sulla canottiera. Infilò sui bastoni il resto della carne, li rimise al loro posto sui carboni, infilò nuovamente camicia e giacca e tornò a sedere accanto al fuoco in attesa che la carne cuocesse.
Ormai si avvicinava l'oscurità. Boone riusciva a malapena a distinguere la sagoma dei lupi che si raccoglievano ancora intorno al bisonte. Verso est, il cielo era rischiarato dalla luna che stava sorgendo.
Continuò a sorvegliare la carne finché non gli parve cotta, poi staccò i pezzi e li posò sulla canottiera, avvolse bene il pacchetto, scavò un foro, collocò nel foro il pacchetto, e infine ricoprì di terra il tutto, spianò la superficie e vi si sedette sopra. Chi vuole portarsi via questa carne, promise a se stesso, dovrà passare sul mio cadavere.
Provava una certa allegria e si sentiva orgoglioso di sé. Qualsiasi cosa gli riservasse il futuro, fino a quel momento lui si era condotto bene. Aveva cibo per vari giorni. Forse era stato un errore sprecare quel proiettile, ma non rimpiangeva di avere sparato. Aveva dato al bisonte una morte rapida e pulita. Se non lo avesse fatto, i lupi avrebbero assalito il vecchio animale e avrebbero cominciato a divorarlo mentre era ancora vivo.
E forse un proiettile in più o in meno non aveva importanza. Forse da un momento all'altro sarebbe giunta Enid a prelevarlo. Pensò per qualche tempo a questa possibilità, cercando di dirsi che era prossima a realizzarsi, ma non riuscì a coltivare a lungo la sua illusione. C'era una forte possibilità che Enid ritornasse, ma c'era anche una forte possibilità che non ritornasse più.
Si rialzò il bavero della giacca per proteggersi dal freddo della notte. La sera precedente aveva avuto a disposizione una coperta, ma adesso non l'aveva più. Aveva soltanto i vestiti che indossava. Annuì tra sé, sonnecchiando, e poi si ridestò con un sobbalzo, e si accorse di non essere solo. Di fronte a lui, dall'altra parte del fuoco, c'era un uomo che indossava una sorta di mantello che lo copriva tutto, e un cappello conico che gli copriva la faccia. E accanto a lui sedeva il suo lupo: il suo lupo, non un lupo qualsiasi, perché Boone era certo che fosse lo stesso animale che era venuto ad annusarlo la notte prima e che lui, svegliandosi, si era visto a pochi centimetri dalla faccia. Il lupo gli sorrideva, e Boone non aveva mai saputo che i lupi sapessero sorridere.
Fissò la figura con il cappello e le domandò: “Chi sei? Che cosa succede?”
Formulò la domanda nella propria mente, come parlando con se stesso, e non con la figura con il cappello. Non parlò a voce alta per non spaventare il lupo.
Il Cappello disse: “È la fratellanza di tutte le vite. La mia identità non importa. Sono qui esclusivamente per fare da interprete”.
“Interprete per chi?” domandò Boone.
“Per te e il lupo” rispose il Cappello.
“Ma il lupo non parla”.
“Non parla, ma pensa. È molto soddisfatto, ed è perplesso”.
“Che sia perplesso” disse Boone “posso capirlo. Ma perché è soddisfatto?”
“Sente una somiglianza fra lui e te. In te, sente qualcosa che lo fa pensare a se stesso. E si chiede cosa sei”.
“Col passare del tempo” disse Boone “vivrà con noi. Diventerà un cane”.
“Se glielo dicessi” spiegò il Cappello “non ne sarebbe molto soddisfatto. Adesso ritiene di essere uguale a te. I cani non lo sono”.