“A volte i cani sono molto simili a noi”.
“Sì, ma non sono uguali. Avevate ancora un passo da fare, ma non l'avete mai fatto. L'uomo avrebbe dovuto farlo molto tempo fa. E adesso è troppo tardi”.
“Senti” disse Boone “il lupo non è uguale a me”.
“La differenza non è così grande come credi tu”.
“Il lupo mi è simpatico” disse Boone. “Ho una certa ammirazione per lui, ma soprattutto posso capirlo”.
“E lui prova gli stessi sentimenti per te. È rimasto a sedere davanti a te, naso contro naso, in un momento in cui avrebbe potuto facilmente tagliarti la gola. Prima che uccidessi il bisonte. In quel momento era affamato. Con la tua carne si sarebbe potuto riempire la pancia”.
“Puoi dirgli, allora, che lo ringrazio di non avermi tagliato la gola”.
“Penso che lo sappia già. Era il suo modo di dire che voleva fare amicizia con te”.
“Allora digli che accetto la sua amicizia e che desidero essergli amico”.
Ma Boone parlava al vento. Il cappello era scomparso. Lo spazio da lui occupato era libero.
Non c'è più, si disse Boone, perché non c'è mai stato. Era un'illusione. C'era soltanto il lupo.
Ma, quando guardò, anche il lupo era sparito.
Boone si alzò in piedi. Era indolenzito dal freddo. Gettò legna sul fuoco per riscaldarsi alle nuove e vigorose lingue di fiamma.
Aveva dormito a lungo. La luna era ormai bassa sull'orizzonte, a ovest. La sua luce illuminava i rottami del mostro meccanico. Era passato molto tempo da quanto il mostro gli aveva parlato… sempre ammesso che lo avesse fatto. Anche le parole del mostro potevano essere un'illusione, come la figura da lui chiamata il Cappello.
Era avvenuto un cambiamento in lui, pensò. Poche ore prima, era un giornalista prosaico, che si interessava soltanto dei fatti. Ma adesso si lasciava andare alle fantasticherie. Parlava con un cappello, litigava con un mostro morto, vedeva un amico in un lupo. La solitudine, lo sapeva, poteva portare un uomo a comportarsi in modo aberrante, ma così in fretta? Nel luogo dove si trovava, comunque, la solitudine poteva essere diversa da quella a lui nota: poteva salire esponenzialmente a causa del fatto di essere l'unico essere umano di due grandi continenti. Gli scienziati della sua epoca pensavano che i primi esseri umani non avrebbero messo piede in quell'emisfero per altri diecimila anni. Nell'Asia c'erano tribù barbariche che ne percorrevano gli immensi tenitori, e più a ovest c'erano gli uomini che, ventimila anni più tardi, avrebbero dipinto ritratti di animali nelle caverne dell'Europa orientale. Laggiù in America, invece, lui era un essere umano fuori posto, isolato tra bestie selvagge.
Riscaldatosi alle fiamme, si alzò in piedi e cominciò a passeggiare avanti e indietro, accanto al fuoco. Cercò di riflettere, ma i suoi pensieri non avevano né capo né coda. Come i suoi passi, così anche i suoi pensieri continuavano ad andare avanti e indietro.
I lupi litigavano per la carcassa del bisonte, ma lo facevano senza troppa convinzione. Lontano c'era un animale che ululava: un singolo richiamo, ripetuto e monotono. Sulla collinetta, nel bosco di ginepri, un uccello lanciava il suo richiamo lugubre. Il disco della luna sfiorava l'orizzonte occidentale, il cielo a levante cominciava a rischiararsi: sorgeva un nuovo giorno.
Quando ritornò la luce, Boone recuperò il pacchetto sepolto e prese un po' di carne. Seduto accanto al fuoco, masticò lungamente ogni boccone. Quando si sentì sazio si recò alla fonte per prendere l'acqua, poi risalì la collina per procurarsi la legna.
Cominciò a pensare che poteva essere difficile trovare qualche attività che gli riempisse le giornate. Cercò di immaginare lavori capaci di tenerlo occupato. Non gliene venne in mente nessuno che avesse senso. In futuro poteva mettersi in viaggio per esplorare il territorio circostante, ma la cosa non era urgente. Forse ne avrebbe avuto bisogno, prima o poi, ma per il momento doveva rimanere in quella zona ad aspettare il gradito ritorno di Enid.
Si recò al costone di roccia dietro cui aveva visto per la prima volta il bisonte, e portò al campo dei pezzi di pietra: i più grossi che riuscì a sollevare. Poi li accumulò sul foro dove aveva sepolto la carne. Forse qualche divoratore di carogne, sentendo l'odore, poteva spostare le pietre per raggiungerla. Ma i suoi lupi avevano la pancia troppo piena per occuparsene.
Poi, salì in cima alla collinetta. Da lì si guardò attorno, esaminando tutta la zona circostante. Ma non c'era molto da vedere. A qualche chilometro di distanza, una mandria di erbivori brucava; probabilmente, bisonti. Altri gruppi di animali correvano sul terreno, come ombre. Per il momento, Boone le classificò tra le gazzelle. Quello che doveva essere un grosso orso era intento ad attraversare il letto asciutto di un torrente. Il resto era soltanto una distesa di terra vuota, interrotta qua e là dai torrenti asciutti e dalle collinette brulle. Occasionalmente si scorgevano boschi di pioppi, e sulle collinette si scorgevano macchie scure che potevano essere alberi.
Boone si sedette ad attendere che passasse il tempo. Passarono quattro giorni e non giunse nessun viaggiatore. Boone si mantenne occupato come meglio poté. Varie volte si recò a esaminare il mostro fracassato, girandogli attorno a distanza di sicurezza. Cercò di ricostruirselo nella mente, di collegare tra loro i rottami. Avrebbe potuto studiarlo meglio se si fosse avvicinato, se avesse preso in mano le parti rotte e le avesse esaminate. Ma non si fidò. Il mostro non gli parlò più, e Boone alla fine si convinse che non gli aveva mai parlato, che i suoi ricordi della conversazione erano un'aberrazione mentale.
Alla fine del quarto giorno, rimaneva ancora qualche porzione di carne cotta, ma cominciava a guastarsi. E Boone era ancora troppo civile per mangiare la carne guasta.
La mattina del quinto giorno prese una pagina del taccuino e scrisse: Vado a caccia. Torno presto.
Posò il messaggio sulla montagnola di pietre che proteggeva il pacchetto della carne; per impedire che il vento lo portasse via, lo protesse con un'altra pietra.
Quando s'incamminò, armato di fucile, sentì in sé una strana leggerezza di spirito. Finalmente si dedicava a un compito necessario, e non a un lavoro fatto unicamente per passare il tempo.
Dopo un paio di chilometri, comparve il lupo: scendeva dalla collinetta verso di lui. Si mise alla sua destra, a una cinquantina di metri di distanza, un poco alle sue spalle: pareva bene intenzionato, e lieto di trovarsi in sua compagnia. Boone provò a rivolgergli qualche parola, ma il lupo non gli prestò attenzione e si limitò a procedere affiancato a lui.
Dopo un'oretta, Boone avvistò un piccolo gruppo di gazzelle, che brucavano a una certa distanza. Alla sua sinistra c'era un torrente asciutto, e Boone se ne servì per nascondersi, camminando silenziosamente. Il torrente si dirigeva a destra, e lo portava vicino alla preda. Anche il lupo era sceso nel letto asciutto del torrente e seguiva Boone. Per due volte Boone si fermò e si affacciò al di sopra della sponda per controllare le gazzelle, ma gli animali rimanevano dove li aveva visti inizialmente, intenti a brucare la salvia e qualche occasionale ciuffo d'erba. Parevano tranquilli, ma erano ancora lontani da lui; doveva avvicinarsi di più. Ritornò nel centro del torrente e continuò ad avanzare, con cautela, badando a dove metteva i piedi. Bastava il rumore di un ciottolo caduto per mettere in fuga le gazzelle. Come se avesse capito che Boone aveva scelto una preda, anche il lupo lo seguì silenziosamente. Dieci minuti più tardi, Boone si affacciò nuovamente sull'argine del fiume. Le gazzelle erano molto più vicine di quanto avesse calcolato. Si portò il fucile alla spalla, scelse uno degli animali, prese la mira e sparò. La gazzella fece un balzo nell'aria e ricadde pesantemente. Il resto del branco si allontanò di corsa, e si fermò a un centinaio di metri di distanza. Lì si voltò a guardare indietro. Quando Boone scavalcò l'argine del ruscello, le gazzelle fuggirono di nuovo.