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Con il lupo seduto a guardarlo, Boone si caricò sulle spalle la preda e si diresse all'accampamento. Il lupo gli trotterellava accanto, con l'aria soddisfatta di chi ha fatto bene il suo lavoro.

Giunto all'accampamento Boone spellò faticosamente la gazzella, poi allargò la pelle sull'erba e vi posò i pezzi di carne. Sventrò l'animale, mise da una parte il fegato, poi trascinò fino alla carcassa del bisonte le interiora e gli altri organi interni. Il lupo si dedicò a quei regali. Boone tagliò a fette il fegato, infilò le fette su un bastone e mise il tutto sopra i carboni. Poi proseguì la macellazione della sua preda. Si tenne una coscia e il lombo. Prese il resto e lo portò lontano dall'accampamento. Il lupo lasciò perdere le interiora e si dedicò al resto della carne, che era molto più buona.

Ritornato accanto al fuoco, Boone mangiò il fegato e fece cuocere il resto, come scorta per i giorni seguenti. Non poteva andare avanti così, si disse. Viveva alla giornata, e la sua capacità di continuare quel tipo di esistenza era legata alle quattro cartucce che gli rimanevano. Prima che finissero, doveva procurarsi qualche strumento che gli permettesse di sopravvivere. Gli occorrevano del legno per farsi un arco, del tendine per la corda, dei ramoscelli diritti per le frecce, delle pietre taglienti per le punte delle frecce e per farsi un coltello, poiché il suo coltellino non poteva resistere a lungo.

Le sue conoscenze sull'arte di fabbricare un arco erano pressoché inesistenti. Comunque, conosceva la teoria e poteva forse bastare per provare. Domani, si disse, mi metterò alla ricerca del legno e delle pietre, Per un attimo pensò al boschetto di ginepri dove aveva preso la legna da ardere, ma rinunciò subito all'idea. Il ginepro era un legno che valeva poco; in tutto il boschetto non avrebbe trovato un solo pezzo di legno utilizzabile per costruire un arco.

Fecero capolino altri due lupi. Osservandoli, Boone cercò di riconoscere il suo lupo, ma non riuscì a capire quale fosse. Al tramonto, tutta la carne da lui lasciata per i lupi era sparita, e anche i lupi erano scomparsi.

Poco dopo il tramonto del sole, il lupo fece ritorno e si sedette accanto al fuoco, dirimpetto a Boone.

Boone si rivolse al lupo: — Domani — disse — vado in giro a cercare del legno e delle pietre. Se vieni con me, mi fai un piacere. Può essere un viaggio faticoso. Non posso portare acqua con me, ma posso portare della carne e possiamo dividercela.

Era ridicolo, pensò. Il lupo non poteva capire una sola parola, ma parlare con lui gli serviva per sentirsi più tranquillo. Era bello avere qualcuno a cui rivolgersi, e un lupo era meglio che niente. Il lupo poteva tenergli compagnia accanto al fuoco.

Si destò nel corso della notte, e il lupo era ancora lì. Lo osservò attentamente mentre metteva legna sul fuoco. Quando si riaddormentò, il lupo era sempre lì a guardarlo.

La mattina dopo, Boone scrisse un altro messaggio, questa volta più lungo del precedente: Mi allontano per fare un viaggio che durerà tre o quattro giorni, ma ritornerò. Aspettatemi. Può darsi che ci sia con me un lupo. Se lo vedete, non fategli del male. È un amico.

Lo posò sulla pila di pietre, coprendolo con un sasso tondo, e si allontanò accompagnato dal lupo. Si diresse verso ovest, in direzione della collina dove gli era parso di vedere degli alberi. Pensava di poterla raggiungere in una giornata di cammino.

Invece la collina era più lontana. Nel tardo pomeriggio Boone capì che non sarebbe riuscito a raggiungerla prima di sera. Era stanco e assetato. Non aveva incontrato acqua. Forse, pensò, ci sarà acqua sulla collina. Poteva resistere per tutta la notte senza bere. Si calò in un torrente asciutto e procedette lungo il letto fino ad arrivare a un punto dove faceva una curva, e formava una sorta di rientranza dalle alte pareti.

Con la legna caduta dai pioppi Boone si accese il fuoco. Prese tre pezzi di carne e li gettò al lupo. Mentre il lupo li mangiava avidamente, Boone si sedette accanto al fuoco e mangiò la sua porzione. La carne era tenera: assai più di quella del bisonte. Il lupo terminò la sua razione e attese speranzosamente di averne ancora. Boone gliene gettò un altro pezzo.

— Basta — disse. — Metà per uno, e tu ne hai mangiato più di me.

Stanchissimo, si addormentò al tramonto del sole, e il lupo si stese davanti a lui, dall'altra parte del fuoco. Si destò poco prima dell'alba. Il fuoco si era spento, ma Boone non si curò di riaccenderlo. Diede un po' di carne al lupo e ne mangiò un poco anche lui. Quando ripartirono, il sole non si era ancora alzato.

Raggiunsero la collina prima di mezzogiorno e cominciarono a salire. L'altura era molto più grande di quella dove si erano accampati lui ed Enid; la salita fu lunga e faticosa. Giunto a metà strada, il lupo trovò l'acqua. Quando ritornò indietro, aveva il muso bagnato e sgocciolante.

— Acqua — disse Boone. — Fammi vedere dov'è.

Il lupo continuò a fissarlo perplesso.

— Acqua! — esclamò Boone. Tirando fuori la lingua, fece finta di leccare dell'acqua.

Il lupo trotterellò verso destra, fermandosi di tanto in tanto per guardarsi alle spalle. Possibile, si domandò Boone, che il lupo avesse capito? Era una follia pensarlo, eppure, visto che lui aveva condiviso con il lupo la carne, forse il lupo avrebbe condiviso con lui l'acqua.

Gli pareva di essere assetato da ore; aveva cercato di togliersi il pensiero dalla mente, ma adesso che sapeva che l'acqua era vicina, la sete gli era tornata. Aveva la bocca e la gola asciutte, e faceva fatica a trangugiare.

Davanti a lui, sul pendio, sporgeva un grosso costone di roccia. Boone cercò di fare in fretta, ma la roccia era scivolosa e ripida. Dovette procedere camminando a quattro zampe, afferrandosi a ogni appiglio.

La roccia, poté vedere, era calcare e non arenaria. Il calcare doveva giacere al di sopra dello strato di arenaria che costituiva l'altra collinetta. Il calcare era inutile per costruire attrezzi, ma poteva contenere qualche vena di quarzo o di silice.

La parete di roccia s'innalzava sopra di lui. Qua e là spuntavano sparuti alberi di cedro. Continuò a strisciare sulle pietre ripide, alla base della parete. Non vedeva più il lupo, ma gli pareva di udire il rumore dell'acqua corrente.

Poi mise un piede in fallo e scivolò. Quando infine si fermò, sentì che qualcosa gli imprigionava la caviglia destra. In tutta la gamba sentiva un dolore così atroce da mozzargli il fiato.

Rimase immobile per lunghi momenti, mentre il dolore lentamente diminuiva. Poi cercò di mettersi a sedere, ma non ci riuscì. La cosa che gli teneva la gamba lo costringeva a girarsi per vedere cosa gli fosse successo, ma non appena si mosse, la gamba gli fece di nuovo male. Semisvenuto per il dolore, ricadde a terra. Quando ritrovò le forze, provò di nuovo ad alzarsi, con molta attenzione. Riuscì a girare la testa e vedere cosa era successo. Il piede gli era finito in uno stretto crepaccio, nel punto dove lo strato calcareo affiorava alla superficie. Nella caduta, la caviglia destra si era incastrata in una fessura.

Che incidente stupido, pensò. Sentì salire la paura e cercò di ricacciarla indietro. Era sufficiente, si disse, sfilare la gamba con la massima dolcezza.

Cercò di muoverla. I muscoli si flettevano, e la gamba si muoveva, ma gli faceva male. Probabilmente se l'era slogata; non gli pareva di essersela rotta. E probabilmente c'erano anche dei brutti graffi.

Il lupo discese cautamente lungo la pila di pietre e si fermò davanti a lui, uggiolando e fissandolo.

— È tutto a posto — gli gridò Boone, con la gola dolorante. — Tra un attimo sarò libero. Devo solo trovare il modo.

Ma non riuscì a liberarsi in un attimo. Nonostante i suoi sforzi la gamba rimaneva serrata nella fessura. La posizione in cui era caduto Boone, steso su una ripida scarpata, con la testa verso il basso, rendeva difficile il compito. Quando cercò di spostarsi per mettersi in una posizione più comoda, il dolore alla gamba lo lasciò spossato e coperto di sudore. Alla fine, troppo indebolito, rinunciò a provare ancora. Mi riposo un poco, disse a se stesso.