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Dopo essersi riposato, provò di nuovo. Ma ormai era quasi buio. Il lupo si era allontanato chissà dove, e lui era rimasto solo. Ancora una volta cercò attentamente di liberare la gamba; poi, non riuscendo a farlo, provò a dare un violento strattone. Si sentì correre per la gamba una lingua di fuoco. Strinse i denti e provò ancora. Ma la gamba non si mosse. Non ebbe il coraggio di provare una terza volta. Era esausto. Udiva chiaramente il rumore dell'acqua corrente. Il dolore era feroce; la sete lo soffocava.

Cercò di ragionare. Cercò di fare dei piani, ma non ne trovò. Fece per afferrare l'involto che portava sulla spalla e che conteneva la carne. L'involto era scomparso. E così pure il fucile.

Boone serrò i denti. Già altre volte, in precedenza, si era trovato in momenti difficili ed era riuscito sempre a sopravvivere. Come ultima risorsa, poteva sempre girare dietro un angolo e trovarsi libero. Cercò di farlo. Serrò strettamente gli occhi, tese tutto il corpo e cercò di comandare al proprio cervello.

— L'angolo! — gridò. — L'angolo! Dov'è quel maledetto angolo?

Ma non c'era nessun angolo. Lui si trovava sempre nello stesso posto. Allora si rilassò e ricadde di peso sul terreno.

Si svegliò dopo molto tempo. Le stelle splendevano ne cielo. Dal basso saliva un vento gelido: era mezzo congelato. Per un momento non capì dove si trovasse, poi gli riaffiorò in mente la sua situazione. Era intrappolato su quella collinetta. Non riusciva a liberarsi. Era destinato a morire laggiù. Era immobilizzato laggiù, ferito e assetato, e gelato fino alle ossa.

Una forma grigia, illuminata dalle stelle, si mosse accanto a lui. Era il lupo. Lo guardò ed emise un gemito.

— Promettimi una cosa — gli disse Boone. — Una cosa sola ti chiedo. Aspetta che sia morto, prima di mangiarmi.

7. Enid

Niente era andato per il giusto verso, pensò Enid. Non avrebbe dovuto cercare di guidare un viaggiatore. Avrebbe dovuto capire di non avere la competenza necessaria. Eppure, che cos'altro avrebbe potuto fare? Quando era ancora a Hopkins Acre, era stata lasciata indietro per aspettare Boone, e non aveva avuto il tempo di scegliersi un punto di destinazione. Aveva semplicemente messo in moto il viaggiatore: non aveva avuto il tempo di fare altro. Poi, più tardi, si era ripresentata la stessa situazione. Boone le aveva gridato di salvare il viaggiatore, e lei era scappata. E adesso si trovava a quasi un milione di anni nel futuro rispetto a Boone… e non aveva la minima idea di come ritornare a prenderlo. Era colpa di Horace, si disse. Di Horace, che era così magniloquente nel fare i progetti, e che li faceva così male. Su ciascun viaggiatore ci sarebbe dovuta essere una persona capace di pilotarlo… ma soltanto in due di loro, pensò, erano in grado di farlo: David, che era molto bravo, e Horace, che era solo mediocre. Emma e Timothy non sapevano come usare quelle macchine.

Se non fosse arrivato il mostro, se avessero avuto il tempo di prepararsi, le cose sarebbero andate splendidamente. Alla partenza, avrebbero deciso la loro destinazione, e probabilmente si sarebbe occupato David di programmare ciascuno dei viaggiatori, in modo che arrivassero tutti nello stesso luogo e nello stesso tempo. Ognuno avrebbe conosciuto la destinazione, e il viaggio si sarebbe svolto in gruppo. Se qualcuno avesse programmato in precedenza il suo viaggiatore, la stessa Enid non avrebbe avuto fastidi. Quello che l'aveva rovinata, era stato il fatto di doversi per due volte lanciare nel vuoto.

Osservò nuovamente il pannello, e vide che la designazione temporale era abbastanza chiara. Ma la designazione spaziale era incomprensibile. Conosceva la data in cui era giunta, ma non la località. L'altra volta era stato Boone a indovinare il luogo d'arrivo, anche se in modo generico. Sul pannello, naturalmente, era segnata anche la destinazione spaziale, ma lei non era capace di leggerla. Le venne in mente, col senno di poi, che avrebbe dovuto prendersi nota della designazione, copiandola dal pannello.

Anche in quel momento, comunque, la designazione spaziale del punto dove erano giunti lei e Boone era memorizzata nel registratore. Si poteva richiamarla sul pannello, ma Enid non aveva idea di come si facesse.

Si appoggiò con la schiena al sedile, stancamente, e continuò a fissare il pannello. Perché, in tutti gli anni passati a Hopkins Acre, non aveva mai chiesto a David di insegnarle a guidare un viaggiatore? David sarebbe stato lieto di farlo: Enid non ne dubitava. Ma non glielo aveva mai chiesto perché non le era mai venuto in mente che, un giorno o l'altro, potesse avere bisogno di usarne uno.

Provò a osservare dallo schermo visivo l'ambiente circostante, ma la prospettiva era limitata, e il panorama non mostrava caratteristiche significative. A quanto pareva, era su un'altura, poiché scorgeva una distesa di montagne, scoscese, in mezzo a cui scorreva un fiume scintillante.

Quindi, pensò, era riuscita a partire e ad arrivare in qualche punto. Nient'altro. Horace ed Emma dicevano sempre che lei era una pasticciona e probabilmente non avevano torto.

Aveva abbandonato nel passato più remoto una persona che era stata gentile con lei, e non era in grado di andare a riprenderla: non si sentiva più di provare. Aveva fatto due salti alla cieca: il primo nel passato, e il secondo, molto più lungo, nel futuro. Una volta Henry era riuscito a trovarli, quando si erano nascosti nell'Europa del Medioevo, ma si era trattato di un compito relativamente facile, paragonato a quello attuale. Forse lei aveva lasciato una traccia, ed Henry poteva seguirla. Ma le tracce erano due, e cosa poteva fare, Henry con due tracce? Senza bisogno di rifletterci sopra, Enid sapeva di doversi fermare dov'era. Se avesse fatto un altro salto, probabilmente si sarebbe perduta per sempre.

Lasciò il seggiolino del pilota e si diresse verso il portello di uscita. Quando lo aprì, udì uno strano suono, simile al ronzio di uno sciame d'api. E una volta discesa a terra ne vide l'origine.

Il viaggiatore era fermo sul fianco di un monte, poco al di sotto della cima. Su un argine, sopra di lei, c'era una fila di gente che camminava, ed era da quella gente che proveniva il suono: molte voci che parlavano insieme.

A destra e a sinistra, fin dove giungeva il suo sguardo, la fila si muoveva lungo il crinale del monte. Era una fila scarsamente omogenea. In certi punti la gente era tutta ammassata, ma in alcuni tratti c'erano solo piccoli gruppi di persone, o persone isolate. Ma tutti quanti camminavano nella stessa direzione, e senza fretta.

Al loro fianco, come se fossero le guide della processione, c'erano strane figure, non tutte uguali. Alcune avevano un aspetto simile a quello degli esseri umani; altre erano estremamente diverse dall'uomo; ma tutte erano in movimento: strisciando, saltando, camminando su un grande numero di gambe, galleggiando a mezz'aria. Alcune volavano.

Enid rimase senza fiato, quando comprese la natura di quelle creature. Alcune di quelle che avevano aspetto umano erano robot, e senza dubbio lo erano anche altre che non lo avevano. Le altre erano alieni. Nell'epoca da cui proveniva Enid c'erano molti alieni che avevano rapporti non sempre comprensibili con gli esseri umani, ma la sua famiglia aveva sempre cercato di avere a che fare il meno possibile con gli alieni.

Enid si allontanò dal viaggiatore e si avvicinò alla lenta e goffa processione, salendo lungo la scarpata. Si trovava in una regione, a quanto vide, di altipiani brulli e aridi. Però, le alture che la circondavano davano un senso di grandezza e parevano protendersi a toccare il cielo che era azzurro e profondo: il cielo più azzurro che Enid avesse mai visto, senza neppure una nuvola che ne macchiasse lo splendore.