Soffiava un forte vento che le agitava il vestito: un vento gelido, che dava l'impressione di avere attraversato interminabili regioni fredde e vuote, ma il sole del mezzogiorno era caldo. Guardando in basso, Enid scorse un liscio prato erboso: fili corti e ordinati d'erba, che non avevano niente di selvatico. Qua e là, sulla cima della scarpata, crescevano alberi la cui forma era stata scolpita dal vento: un vento che probabilmente soffiava laggiù da secoli, se aveva così piegato le piante alla sua volontà.
Nessuno si accorse della sua presenza. Neppure per un attimo il suo arrivo interferì con ciò che stava succedendo.
Che cos'era, si domandò: un rito, un pellegrinaggio religioso, o forse la ricostruzione di qualche antica mitologia? Un'ipotesi valeva l'altra. Ma forse era pericoloso intromettersi, anche se, dal punto dove si trovava lei, le pareva che la processione badasse soltanto a se stessa.
Da dietro di lei, una voce disse: — Siete venuta per unirvi a noi, signora?
Sorpresa, si voltò verso colui che aveva parlato. Il robot era a pochi centimetri da lei. Il rumore del suo arrivo si era confuso con il rumore del vento. Aveva forma umana ed era molto compito. In lui non c'era niente di imperfetto. Era una macchina, naturalmente. Lo si vedeva al primo sguardo. Ma in uno strano modo era nobile e umano. Faccia e corpo erano umani nel significato classico del termine, ed era decorato con gusto: il metallo era inciso con piccoli disegni discreti, che le ricordavano le incisioni sul più prezioso dei fucili collezionati da Timothy. Aveva sulle spalle una porchetta, e sotto il braccio teneva un grosso sacco di farina.
— Vi chiedo scusa, signora — disse il robot. — Non avevo intenzione di spaventarvi. Mentre mi avvicinavo a voi ho cercato di fare del rumore per annunciare la mia presenza, ma il vento… Con questo vento non si odono i rumori.
— Vi ringrazio — disse Enid. — Mi avete spaventato, ma solo per un istante. E non sono venuta per unirmi a voi. Non so neppure cosa sta accadendo.
— È tutta una questione di allucinazioni — disse il robot, senza mezzi termini. — Quella che vedete è una marcia del Pifferaio. Conoscete, suppongo, l'antica storia del Pifferaio di Hamelin?
— Sì, certo — disse Enid. — È una storia che ho letto in un libro di mio fratello. Parla di un pifferaio che con il suo strumento attirò fuori da un villaggio tutti i bambini.
— Qui è lo stesso — disse il robot. — Una marcia del Pifferaio, a parte che il pifferaio è assente. È colpa di questi alieni.
— Se non c'è un pifferaio, questa gente cosa segue?
— Nella loro allucinazione che credo sia cagionata dagli alieni, seguono dei sogni. Ciascuna persona segue un sogno che è esclusivamente suo. Io gliel'ho detto e ridetto, e, come me, glielo hanno detto anche gli altri robot, ma questa gente non presta alcuna attenzione a noi, e preferisce seguire i sudici alieni.
— Allora, perché siete qui? Voi non siete solo; ci sono anche altri robot.
— Qualcuno si deve prendere cura degli uomini. Qualcuno deve proteggerli da se stessi. Sono partiti senza provviste, senza acqua e senza cibo, senza abiti sufficienti a proteggerli dal freddo e dall'umidità. Vedete questa porchetta che ho sulla schiena, questo sacco che ho sotto il braccio? Io batto la campagna, raccogliendo quello che trovo. Non è un lavoro, vi assicuro, adatto a un robot della mia integrità e della mia sensibilità, ma devo farlo, perché questi miei umani scervellati sono presi dai loro stupidi sogni e non sono in grado di badare a se stessi. Ci deve essere qualcuno che si prenda cura di loro.
— Come andrà a finire? — domandò Enid. — Che cosa succederà a questi uomini?
— Non lo so — disse il robot. — Io spero che finisca tutto per il meglio. Forse la cosa è già successa altre volte in altri luoghi, ma questa è la prima volta che succede da noi. Vi chiedo scusa, ma per quanto io ami i miei umani, ci sono dei momenti in cui diventano la forma di vita più irresponsabile e irragionevole che esista. Ormai, signora, la mia età è giunta a varie centinaia di anni, e ho letto la storia di innumerevoli secoli; ma mi sembra che adesso gli umani siano irragionevoli in modo allegro e spensierato, mentre prima lo erano in modo stupido e perverso. Ma essere spensieratamente irragionevoli, ricavare piacere dall'irragionevolezza, mi sembra la peggiore forma di pervertimento.
— Dovrei riflettere sulla cosa — disse Enid. — Ma forse avete ragione.
Pervertimento, si disse. Che fosse questo, ciò che era successo alla specie umana? Un pervertimento volontario, consistente nell'azzerare tutti i valori conquistati duramente, quelli che per più di un milione di anni erano stati sottoposti al dominio della ragione? Che la razza umana, da un momento all'altro, e senza motivo, avesse voltato la schiena alla propria umanità? O era solo una seconda fanciullezza: togliersi dalla schiena i pesi, per ritornare all'egoismo del bambino, che scherza e gioca senza pensare alle conseguenze?
— Non c'è nessun pericolo, vi assicuro — disse il robot — se salite sulla cima a guardarli. Non è gente pericolosa. È solo gente sciocca.
— Ne avevo l'intenzione.
— Anzi, se avete tempo, potete unirvi a noi questa sera a cena. E dicendo «noi» mi riferisco ai miei umani e probabilmente a qualcuno di quei robot strani e disgustosi. Taglieremo la porchetta, ci sarà pane fresco di forno e tutto ciò che porteranno i miei compagni. Non dovete preoccuparvi, non disturberete affatto; sarete come una della famiglia. Al tramonto le famiglie si riuniscono per mangiare il cibo portato dai loro robot. E forse la mia famiglia vi piacerà. Eccetto questa sciocca manifestazione, è gente molto simpatica. Spero che l'attuale follia termini presto.
— Sono lieta di accettare — disse Enid. — Grazie del pensiero.
— Allora, accompagnatemi a cercare i miei umani. Devono essere nella fila, non molto lontano. Poi cercherò un posto dove accamparci e preparerò la cena. Magari un po' più avanti, in modo che mi raggiungano quando si fermerà questa sciocchezza, al tramonto.
— Non marciano, durante la notte?
— No, certo no. Hanno ancora un po' di sale in zucca.
— Vengo con voi — disse Enid. — Ma non intendo unirmi alla marcia. Mi sentirei a disagio. Invece, venendo con voi, potrei aiutarvi a preparare.
— Non occorre — disse il robot. — Non sono solo, e siamo tutti dei buoni lavoratori. Ma sarò lieto di avervi con me. E poiché staremo insieme per qualche tempo, potete chiamarmi Jones.
— Lieta di fare la vostra conoscenza — disse lei. — E voi chiamatemi Enid.
— Vi chiamerò signorina Enid. Le giovani donne hanno diritto al titolo di signorina.
— Grazie, Jones — disse lei.
Mentre parlavano avevano raggiunto la cima della collina, e adesso erano vicini alla linea di marcia. La processione, vide Enid, seguiva un sentiero che correva sulla cima della collina, il tipo di sentiero che di solito è percorso, tutt'al più, da qualche occasionale viandante che cerca un riparo prima del calar della notte.
La processione si stendeva a perdita d'occhio in entrambe le direzioni. Di tanto in tanto c'era qualche breve tratto vuoto, ma questi tratti non riuscivano a cancellare il fatto che si trattava di un unico, vasto movimento di persone.
Ciascuna persona camminava come se fosse sola, e non prestava attenzione a coloro che le stavano accanto. Camminava sicura, a testa alta, guardando fissamente davanti a sé, come se si aspettasse di vedere qualcosa da un momento all'altro. Tutti avevano un'espressione di serena attesa e sembravano camminare in una sorta di rapimento, anche se, si disse Enid, non sembrava un'estasi di tipo sacro o religioso, diversamente da come le era parso in un primo tempo.
Non c'erano bambini. C'erano adolescenti e vecchi, persone mature e persone vecchissime, che camminavano zoppicando con il bastone o con le grucce.