— Mirabile — disse l'alieno. — Avete delineato la situazione nel modo più esatto. E ora che avete capito, siete disposta ad aiutarmi?
— Prima voglio sapere qual è il vostro obiettivo — disse Enid.
— Ahimé — si rammaricò l'alieno. — Questo non posso farlo, perché richiede concetti che vi risulterebbero incomprensibili, a meno di non voler ricorrere a lunghe spiegazioni…
— Si tratta di qualcosa di negativo? Qualcosa che rischia di danneggiare qualcuno?
— Ma guardatemi in faccia! — disse Muso di Cavallo. — Vi sembra che io possa danneggiare un'altra persona?
— Vi guardo — disse Enid — ma questo non posso saperlo.
— Allora accettate la mia parola. Il mio obiettivo non comporta rischi per nessuno.
— E se vi aiuto, ne traggo qualche vantaggio?
— Saremo soci — disse l'alieno. — Voi ne sarete proprietaria per metà. Parti uguali.
— Molto generoso da parte vostra.
— Niente affatto — disse Muso di Cavallo. — Senza di voi, non potrei arrivare al mio obiettivo. Posso spiegarvi cosa dovete fare per aiutarmi?
— Sì, accetto.
— Allora — disse l'alieno — chiudete gli occhi e pensate a me.
— Pensare a voi?
— Sì, pensate nella mia direzione. Io penserò nella vostra.
— In tutta la mia vita — disse Enid — non ho mai indirizzato a nessuno il mio pensiero.
— Non è difficile — disse Muso di Cavallo. — Chiudete gli occhi e cercate di pensare a me, con tutta la concentrazione mentale.
— Mi sembra una grande sciocchezza — disse Enid — ma posso provare.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sull'immagine dell'alieno, ma qualcosa, in fondo alla mente, continuò a dirle che era tutto sbagliato, che non era il modo di «pensare verso un altro». Lei non aveva esperienza di quel tipo di attività mentale.
Poi si accorse che l'alieno indirizzava i suoi pensieri verso di lei. Era una sensazione inquietante, ma non era diversa da quella da lei provata quando Henry le «parlava» nella mente; non cercò di ritrarsi dal pensiero estraneo, e rimase aperta a esso. Non aveva niente da perdere, anche se era problematico che ci fosse qualcosa da guadagnare. Secondo lei, si trattava di un'attività assolutamente inutile.
Nella sua mente si formò un'immagine che proveniva dall'esterno. Era l'immagine di una struttura incredibilmente complessa, costituita di linee colorate. Pareva che queste linee si sorreggessero l'una con l'altra. Le linee erano sottili ed erano elegantemente disposte, ma l'intera struttura sembrava alquanto vasta, anche se Enid non poteva vederla bene perché era troppo grande. Enid aveva l'impressione di trovarsi proprio nel centro, e che la struttura si stendesse a una tale distanza, tutt'intorno a lei, che era impossibile vederne la fine.
— Ed ecco il punto — disse l'invisibile Faccia Di Cavallo, parlandole nella mente — ecco dove è necessario mettere il dito.
— Dove? — domandò Enid.
— Qui — disse l'alieno, ed Enid vide chiaramente il punto e vi appoggiò il dito, premendo forte, come se avesse davvero voluto tenere fermo un pezzo di cordino attorno a un pacchetto.
Non successe niente. Enid non si accorse di niente. Ma, per motivi che non sarebbe riuscita spiegare, le parve che la struttura fosse diventata più rigida, e che il vento fosse cessato. Non osò distogliere lo sguardo dal dito, per paura che le scivolasse via dal polpastrello l'inesistente cordino.
Muso di Cavallo le disse, questa volta a voce, e non nella sua mente: — Benissimo. Il lavoro è fatto. Potete togliere il dito.
Lei si guardò attorno, e scorse nuovamente la figura dell'alieno. Era a poca distanza da lei, e si arrampicava sulle sbarre della struttura come se fosse stata una scala a pioli. Udì un grido proveniente dal basso e guardò in quella direzione. La processione si era fermata e tutta la gente guardava verso l'alto, gridando e agitando le braccia in preda a un grande stupore.
Spaventata dall'altezza a cui si trovava, Enid allungò la mano e si afferrò a una delle sbarre colorate che componevano la struttura. La sbarra a cui si afferrò era di colore lavanda ed era collegata ad altre due sbarre, una gialla come un limone e l'altra di un caldo color prugna.
Al tatto, la sbarra sembrava piena e robusta. Chiedendosi dove aveva i piedi, Enid abbassò gli occhi e vide che stavano su una sbarra rossa, altrettanto robusta quanto quella color lavanda che impugnava. Intorno a lei, in tutte le direzioni, c'erano altre sbarre: la struttura la circondava completamente. Dietro la struttura si scorgeva la forma delle colline e delle valli: la collinetta dove si erano radunati coloro che partecipavano alla processione era soltanto una piccola parte del paesaggio che giaceva sotto di lei.
La struttura s'inclinò lateralmente, ed Enid si trovò sospesa a grande altezza, a braccia e gambe larghe. Rimase senza fiato per la paura di cadere, ma dopo qualche istante si tranquillizzò. La posizione in cui si trovava era altrettanto comoda quanto la precedente. Il suo orientamento, comprese, rimaneva fisso rispetto alla struttura, non al terreno. Si guardò attorno, rapidamente, per vedere dove fosse il viaggiatore, ma non riuscì a scorgerlo.
La struttura si mosse di nuovo, ritornando nella posizione iniziale. Enid vide che cominciavano a spuntare nuovi tubi in tutte le direzioni, senza alcuno schema apparente. Muso di Cavallo si stava avvicinando a lei, come un goffo ragno lungo la rete. Quando arrivò alla sua altezza, le si fermò davanti e la fissò.
— Che cosa ve ne pare? — domandò. — Bella vero?
Enid inghiottì a vuoto. — È questa — domandò — la cosa che volevate fare?
— Certo — disse lui. — Pensavo che l'aveste capito.
— Che cos'è? — domandò lei. — Ditemelo, per piacere.
— È una rete per pescare l'universo — disse Muso di Cavallo.
Enid socchiuse gli occhi, fissando la struttura che l'alieno chiamava una rete. Era una struttura esile, priva di forma.
— Non penso — disse lei — che intendiate pescare l'universo con una rete così piccola.
— Il tempo non significa niente per la rete — disse Muso di Cavallo. — E neppure lo spazio. Non dipende né dal tempo né dallo spazio, a parte il fatto di servirsene.
— Come fate a conoscere tante cose dell'universo? — domandò Enid. L'alieno non aveva l'aria di una creatura molto sapiente. — Avete studiato? Non su questa terra, naturalmente, ma…
— Ho studiato al ginocchio della tribù — disse Muso di Cavallo. — Storie antiche e leggende ancora più antiche.
— Per una cosa come questa, non ci si può basare soltanto sulle leggende. Occorre avere conoscenze scientifiche, conoscere la teoria e le sue proprietà fondamentali…
— Sono riuscito a farla, no? Non vi ho detto dove mettere il dito sul filo?
Enid disse, debolmente: — Sì.
La struttura cambiava forma sotto i suoi occhi. Perdeva parte della sua leggerezza, acquistava forma e sostanza, anche se per il momento conservava ancora in parte la levità. Le aste che erano spuntate per prime si erano pian piano coperte di altri oggetti: quelle che sembravano decorazioni erano divenute parti che avevano un ben determinato rapporto con l'intera struttura. Muso di Cavallo diceva che era una rete, ma Enid non capiva che rapporto potesse esserci tra le due cose. Tra una rete e quella struttura non c'era alcuna somiglianza.
— La useremo per viaggiare — disse Muso di Cavallo. — Da un pianeta all'altro, senza un battito di tempo, senza un tocco di spazio.
— Non possiamo usarla per attraversare lo spazio — disse Enid. — Non ci offre alcuna protezione. Il freddo e il vuoto ci uccideranno. E in ogni caso, arriveremo in qualche pianeta sconosciuto, con un'atmosfera mortale: soffocante o ribollente…