Si fermò sul ciglio della discesa e osservò attentamente le piramidi. Le ritornò in mente una frase che aveva letto chissà dove: che in natura non esistevano linee rette. Le linee rette erano artificiali. Quelle piramidi parevano costruzioni architettoniche. Le loro facce parevano levigate da qualche creatura intelligente.
Guardando attentamente, si accorse che le piramidi scintillavano al sole. Si disse che era impossibile, era ridicolo costruire piramidi così perfette servendosi di gemme e di sassolini.
Si avvicinò alla prima, e non ebbe più dubbi. Le piramidi erano fatte di gemme, o di quelle che a lei parevano gemme. Viste a poca distanza, scintillavano di miriadi di luccichii colorati. Si chinò verso la piramide, battendo gli occhi perché i riflessi rossi, verdi e violacei erano intensissimi. Non erano le pietre viola a richiamare la sua attenzione: viola, rosa e verde marcio erano fin troppo abbondanti su quel pianeta. Quel che l'aveva attirata era una pietra gialla, gialla come una primula, calda e luminosa, che le parve talmente bella da fermarle il respiro. Era una pietra grossa come un uovo d'oca e perfettamente levigata, forse dalle acque di qualche fiume che aveva continuato a scorrervi sopra per milioni di anni.
Senza pensare, afferrò la pietra e la sollevò; ma non appena l'ebbe sollevata, l'intera faccia della piramide scivolò a terra come se fosse stata liquida. Enid fece un balzo indietro per evitare di essere travolta da tutti quei sassolini rotolanti.
Si alzò un pigolio di protesta. Enid si guardò attorno per individuare l'origine di quel rumore, e li vide; erano accanto allo spigolo della piramide e la fissavano con degli occhietti bitorzoluti. Stavano in punta di piedi, indignati da ciò che era successo, e i loro morbidi orecchi tondi, simili a quelli dei topi, tremolavano tutti.
Enid osservò meglio le creature. Occhi cisposi, orecchi da topo, muso triangolare dall'aspetto soffice, ma corpo spigoloso e duro, che le ricordò un ragno intagliato nel legno. Intagliato nel legno stagionato che si raccoglie sulle rive dei fiumi: legno grigio, pieno di nodi, con forme contorte, ma con ogni gomito levigato e luccicante, come se qualcuno fosse stato per lunghe ore a lucidarlo.
Si rivolse a loro in tono gentile, allarmata dai loro corpi di legno stagionato, ma attirata dal muso peloso, dagli occhi grandi e lucidi, dagli orecchi vibranti.
Si allontanarono, leggeri come spettri, con un balletto di quelle loro zampe di legno; poi si voltarono nuovamente a guardarla. Ce n'erano esattamente dodici, non uno di più, non uno di meno. Erano grossi come pecore.
Enid riprese a parlare con quelle creature, con un tono di voce calmo come prima, e tese la mano nella loro direzione. Il movimento della mano li spaventò; si voltarono dall'altra parte e scapparono via, molto rapidamente, senza più voltarsi indietro a guardarla. Scapparono lungo il pendio e scomparvero in una delle profonde erosioni. Enid non li vide più.
Rimase ferma ai piedi della piramide che non era più perfetta. Il cielo verde pareva essersi abbassato sopra di lei. Si accorse di tenere ancora in mano il grosso ciottolo colore delle primule.
Ho combinato un altro pasticcio, pensò. Ho combinato soltanto pasticci, in questi ultimi giorni. Si avviò verso l'altra faccia della piramide, quella da cui erano sbucate le creature, e lì si fermò, stupita.
Sull'erba violacea erano ordinatamente distesi alcuni rettangoli di stoffa bianca, e tra i rettangoli c'erano dei contenitori colorati, aperti, fatti probabilmente di metallo. Enid pensò immediatamente: “Quei poveretti stavano facendo un picnic. E io li ho disturbati in maniera assai sgarbata”.
Fece qualche passo avanti e sfiorò con il piede uno dei rettangoli. Era davvero stoffa: si sollevò dal terreno e ricadde sotto forma di pieghe. Tovaglioli, da stendere sull'erba per poi appoggiarvi il cibo.
Strano pensò, come il concetto di picnic si fosse presentato su quel pianeta esattamente come sulla Terra. Anche se laggiù sul pianeta alieno, a dire il vero, poteva avere un significato totalmente diverso. Poteva non avere niente a che vedere con l'alimentazione e con l'andare fuori di casa.
S'infilò nella tasca la pietra e si chinò a guardare il contenuto dei recipienti. Non aveva dubbi: era un picnic, e quel che vedeva era cibo. C'era frutta, a quanto pareva raccolta da poco, e c'erano cibi cotti: pagnotte, bastoncini, piccole torte. Uno dei recipienti conteneva una sorta di insalata mista, con foglie e mucchietti di materia gelatinosa. Dai recipienti si alzava un effluvio fetido.
Semisoffocata dai miasmi, si rialzò e fece un passo indietro, poi trasse alcuni profondi respiri per pulirsi i polmoni. Quando si guardò attorno, vide la scatola.
Era una piccola scatola nera, larga una trentina di centimetri e alta quindici, che giaceva sull'erba accanto a quella che sembrava la tovaglia. Sembrava di metallo, ma la parte rivolta verso di lei pareva di vetro o cristallo opaco. Non capiva come si aprisse, e non aveva tempo di fare prove. Muso di Cavallo sarebbe ritornato presto, ed Enid non voleva correre il rischio che partisse senza di lei.
Stava fissando la scatola, quando la parte rivolta verso di lei si illuminò all'improvviso e mostrò un'immagine di Muso di Cavallo che camminava sull'erba, curvo sotto il peso di un grosso baule.
Una televisione, pensò. Un altro parallelo con la Terra: picnic e televisore portatile. Sullo schermo, Muso di Cavallo aveva posato a terra il baule e si stava asciugando il sudore dalla faccia. A quanto pareva, il baule era pesante.
Le creature-ragno dalle zampe di legno stavano guardando l'alieno, quando lei le aveva disturbate? E stavano guardando anche lei? Riflettendo, concluse di no, perché le erano parse sinceramente sorprese, quando, affacciandosi da dietro la piramide, l'avevano vista.
Nel pensare alle creature, le vide comparire sullo schermo. L'immagine di Muso di Cavallo scomparve, e venne sostituita da quella dei ragni dalle zampe di legno, che avanzavano sul fondo prosciugato di uno stretto canalone. Dal modo in cui camminavano, parevano decisi a prendere qualche provvedimento.
Meglio andarsene via, pensò. E presto. Decise di ritornare alla rete ad aspettare Muso di Cavallo. E non appena pensò a lui, sullo schermo comparve la sua immagine, china a sfacchinare sotto il peso del baule.
Strano. Non appena pensava a qualcuno, lo vedeva apparire sullo schermo. Sintonizzazione mentale? Non aveva modo di saperlo. Ma quella scatola era qualcosa di più che una semplice televisione. Era probabilmente un apparecchio spia, che poteva entrare in luoghi insospettabili e in situazioni sconosciute.
Prese con sé la scatola, che non era affatto pesante, e si avviò rapidamente lungo la strada del ritorno. Le venne in mente che forse aveva tradito le aspettative del suo compagno lasciando la rete senza sorveglianza. Quando vide che la rete era ancora al suo posto, provò un forte senso di sollievo e si mise a correre in quella direzione.
Guardando alla propria destra, scorse Muso di Cavallo, che faticava ancora sotto il peso del baule. Sentiva la necessità di lasciare presto il pianeta, e le parve che anche l'alieno condividesse questo desiderio… e per una buona ragione. Probabilmente, quel baule non gli apparteneva. L'aveva rubato.
Giunse al bordo della rete e infilò entro una delle «maglie» lo strano televisore: s'incastrò perfettamente. Muso di Cavallo correva con tutte le sue forze, ansimando e sbuffando, con il baule che gli ballava sulla spalla.
Enid saltò sulla rete, e con una mano si tenne alle sbarre, mentre con l'altra, quando Muso di Cavallo lo spinse verso di lei, afferrò il baule per la maniglia di cuoio e lo tirò con forza verso di sé.
Con la coda dell'occhio vide in mezzo all'erba violacea il movimento di qualcosa di altrettanto violaceo: tentacoli che si agitavano sullo sfondo del cielo. Muso di Cavallo emise un grido di terrore e saltò sulla rete. Riuscì ad afferrare il bordo e cominciò a issarsi. Enid si accertò che il baule fosse ben incastrato tra le maglie della rete, poi si chinò ad afferrare il compagno e cercò di tirarlo verso l'alto. La creatura viola rotolò nella loro direzione. Enid fissò una bocca spalancata, una fila di denti affilati e scintillanti, lo sguardo malvagio di quello che era certamente un occhio. La rete sobbalzò: un tentacolo si era afferrato alla sbarra più bassa.