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— Non arrivare tardi — gli aveva detto. — Una volta cotto, l'abbacchio non può aspettare. Bisogna mangiarlo caldo. E cerca di fare attenzione, con quel fucile. Non so perché continui a trascinartelo dietro. Non porti mai niente a casa. Perché non prendi tre o quattro galletti? Sarebbero buoni.

— Non porto niente perché non uccido — le aveva detto lui. — Nessuno di noi ha mai ucciso. È una caratteristica che è sparita con il tempo.

Ma questo; naturalmente, non era del tutto vero.

— Horace sarebbe capace di uccidere — gli aveva detto lei, seccamente. — Se ci fosse bisogno di cibo, Horace sarebbe capace di uccidere. E una volta portato a casa il cibo, io lo pulirei e lo cucinerei.

Aveva ragione Emma, pensò David. Horace, pratico e prosaico, avrebbe ucciso all'occorrenza, non per divertimento. Horace non faceva niente per divertimento. Doveva sempre attribuire un motivo a quello che faceva.

David aveva riso delle preoccupazioni di Emma. — Con quel fucile non posso farmi niente — le aveva detto. — Non è neppure carico.

— Devi caricarlo, quando lo rimetti nella sua rastrelliera — aveva detto Emma. — Timothy vuole che sia sempre carico. Per conto mio, nostro fratello Timothy è un po' matto.

Ma erano tutti un po' matti. Lui e Timothy, e forse, in un modo diverso, Horace ed Emma. Ma non Enid, la sua sorellina. Tra tutti, era lei lo spirito libero, la pensatrice. I pensieri di Enid erano più lunghi di quelli degli altri del gruppo.

Perciò, ricordando l'abbacchio che non poteva aspettare e che bisognava mangiare caldo, si diresse verso casa. Il cane, sazio di divertimento e di risate, lo seguì senza molto brio.

Dalla cima di un basso colle scorse la casa circondata da un rettangolo di prato verde, in mezzo ai campi scuri. Alberi maestosi, molti dei quali risplendevano nelle loro foglie autunnali, correvano tutt'intorno al perimetro del parco, e al centro del parco sorgeva la casa. Davanti al parco correva una strada polverosa che ormai era ridotta ai due solchi scavati dalle ruote dei carri: una strada che portava da un luogo inesistente a un altro luogo inesistente. Dalla strada partiva il viale d'accesso che raggiungeva la casa, fiancheggiato da filari di altissimi pioppi che nel corso degli anni si erano rinsecchiti e che presto sarebbero caduti e morti.

Seguito dal fedele cane, David discese lungo il fianco del colle, attraversò la scura distesa dei campi, e infine raggiunse il viale d'accesso. Davanti a lui si stendeva la casa, una struttura tozza di pietra grigia, con finestre alte che il sole trasformava in placide colonne di fuoco, specchiandosi su di esse al tramonto.

Salì l'ampia gradinata di pietra e per un attimo lottò con il saliscendi, massiccio e riluttante a muoversi, della grande porta a due ante; poi la porta si aprì senza rumore, ruotando sui cardini bene oliati. Al di là del breve vestibolo si scorgeva la vasta stanza di soggiorno, illuminata da una fila di candele posta sul tavolo dirimpetto a lui, e dopo il soggiorno la camera da pranzo, rischiarata da moltissime candele. Da quest'ultima stanza giungeva un basso mormorio di voci: la famiglia si raccoglieva per il pasto serale.

Entrò nel soggiorno e poi girò a destra per fermarsi nella stanza delle armi, piena di ombre cui dava vita il tremolio di un'unica candela infilata in un candelabro. Si avvicinò alla rastrelliera, aprì la doppietta e prese dalla tasca le due cartucce che aveva con sé; poi le infilò nella camera e chiuse l'otturatore con un singolo movimento. Fatto questo, posò l'arma al suo posto e si voltò. Ferma in mezzo alla stanza c'era Enid, sua sorella.

— La giornata è stata buona, David?

— Non t'ho sentita entrare — rispose. — Hai il passo leggero come le piume dei cardi. C'è qualcosa che devo sapere, prima d'entrare nella tana del leone?

Lei scosse la testa. — Nessun leone, questa sera. Horace è quasi umano; più umano di così non può diventarlo. Oggi ci sono arrivate notizie: Gahan arriverà da Atene.

— Gahan mi piace poco — disse David. — È così professorale dalla cima dei capelli alla suola delle scarpe. E me la fa cadere dall'alto, la sua grande sapienza; mi fa sentire inutile.

— La stessa cosa vale anche per me — disse Enid. — Forse siamo inutili entrambi. Non so. Ma se tu e io siamo inutili, allora essere inutile mi piace.

— Anche a me — rispose David.

— Gahan, comunque, è simpatico a Horace, e se il suo arrivo riesce a rendere Horace sopportabile, la visita sarà una cosa positiva. Timothy è felicissimo. Gahan ha detto a Horace di avere un libro per Timothy; o meglio, qualche sorta di rotolo di pergamena, scritto da Ecateo.

— Eca…? — Non ne ho mai sentito parlare. Maschio o femmina?

— Maschio, e greco — disse Enid. — Ecateo di Mileto. Quinto o sesto secolo. Gli studiosi ritengono che Ecateo sia stato il primo a scrivere autentica prosa storica, a usare un metodo critico per separare i contenuti mitici da quelli storici. Gahan crede che il rotolo in suo possesso sia un libro sconosciuto, un'opera che era andata perduta.

— Se lo è davvero — disse David — allora per qualche tempo non vedremo più Timothy. Si chiuderà a chiave in biblioteca, e si farà portare laggiù i pasti. Ci metterà un anno ad arrivare alla fine del rotolo. E noi non lo avremo tra i piedi.

— Credo — disse lei — che abbia perso l'orientamento, e che si lasci attirare eccessivamente dalla storia e dalla filosofia. Cerca gli errori fondamentali dell'umanità, ed è convinto di poterne trovare le radici nei primi millenni della storia umana. Qualcosa ha trovato, certo, ma non c'è bisogno di studiare la storia per accorgersene; il problema del plusvalore, la spinta del profitto, e le guerre che nascono quando un uomo o una tribù hanno più degli altri; il bisogno di aggregazione e la necessità di tribù, nazioni, e imperi, che rispecchia un senso di insicurezza che fa parte della mente umana. Si potrebbe continuare, naturalmente, ma credo che Timothy illuda se stesso. Il significato che cerca è più profondo, e non lo troverà nella storia.

David chiese, seriamente: — Enid, tu hai qualche idea?

— Non ancora — rispose lei. — E forse non l'avrò mai. L'unica cosa che so, è che Timothy cerca nel posto sbagliato.

— Forse è meglio andare a mangiare — consigliò lui.

— Sì. È vero. Non dobbiamo fare aspettare gli altri. Emma era sulle spine, temeva che tu arrivassi in ritardo. Timothy continuava ad affilare il coltello. Nora, in cucina, era agitatissima. L'arrosto era quasi pronto.

David le porse il braccio, e si avviarono lungo il soggiorno, facendosi attentamente strada fra i mobili, che nella penombra risultavano pressoché invisibili.

— Oh, finalmente! — esclamò Horace, quando entrarono in sala da pranzo. — Mi chiedevo dove eravate finiti. L'arrosto non può aspettare, lo sapete anche voi. Ecco a voi, tutti devono assaggiare questo porto. È il migliore che ho gustato negli ultimi anni. Davvero eccellente.

Versò il vino e fece il giro della tavola, porgendo un bicchiere a ognuno. Era un uomo tozzo, di bassa statura e di corporatura robusta, e la prima impressione che dava era sempre di essere eccessivamente peloso. Aveva i capelli e la barba talmente neri che finivano col sembrare blu scuro.

— Mi sembri in gran forma — gli disse David.

— E lo sono, lo sono — confermò Horace. — Gahan sarà qui domani. Penso che Enid te l'abbia detto.

— Sì, me l'ha detto. Gahan arriverà da solo o accompagnato?

— Non lo so. Ci sono stati dei disturbi di trasmissione. Interferenze di qualche tipo. È una cosa che non si è mai riusciti a evitare. Teddy, giù nel Pleistocene, pensa che sia colpa di certe tensioni nell'allineamento delle durate. Forse c'entrano anche le anomalie direzionali.

Horace non sapeva niente di quei problemi, pensò David. Poteva avere qualche conoscenza delle tecniche temporali, ma certo non conosceva la teoria. Però, qualunque fosse l'argomento, Horace diventava immediatamente un esperto di tutto, e parlava sempre in tono autorevole e convincente.