Tutti i presenti si voltarono verso di lui con interesse.
— Diteci cosa sapete — lo pregò l'uomo dalla barba color della brina. — Cosa avete sentito?
— Quasi niente — disse David. — Soltanto qualche accenno, qua e là. Ma nessuna spiegazione. Nessun particolare di ciò che sta succedendo, e la cosa ci rende perplessi. Abbiamo anche sentito uno strano nome: gli Infiniti. Ma non sappiamo che cosa indichi.
Un uomo completamente calvo, ma con un gran paio di baffi castano scuro, disse: — Ne abbiamo sentito parlare anche qui, e probabilmente ne sappiamo quanto voi. Ce ne hanno parlato dei viandanti che si sono fermati qui da noi. Uno di loro sosteneva che la smaterializzazione conferirà finalmente all'uomo l'immortalità che ha sempre cercato.
Il robot portò due grandi tazze di minestra e le posò davanti a Corcoran e David. Corcoran prese il cucchiaio e la assaggiò. Era calda e gustosa. C'era carne, probabilmente di bue, pasta, carote, patate e cipolle.
Un altro uomo, questa volta uno con la barba ricciuta, disse: — Non è difficile capire perché il concetto sia tanto attraente. La morte è sempre stata giudicata dagli uomini un evento negativo. I vari tentativi di giungere alla longevità sono una parziale protesta contro questa deprecabile fine della vita.
— Da come mi pare di avere capito — disse un uomo un poco più giovane — la smaterializzazione comporta il rischio di una perdita di individualità. — Nelle sue parole c'era un tono di disapprovazione.
— Perché, che cos'hai contro l'unitarietà? — domandò Barba Riccia.
Barba di Brina riprese: — L'argomento della nostra conversazione era la mente umana. Se fosse possibile ottenere la smaterializzazione, la mente umana sopravviverebbe e il corpo verrebbe eliminato. E se si pensa attentamente alla proposta, si vede come sia la mente umana, l'intelligenza umana, l'unica cosa che abbia importanza.
L'uomo più giovane domandò: — Ma che cosa è la mente, senza un corpo? La mente ha bisogno di un veicolo che la porti.
— Non ne sono del tutto sicuro — disse Barba di Brina. — La mente è forse qualcosa di totalmente estraneo all'universo fisico. Noi siamo capaci di spiegare tutto, con le sole eccezioni della mente e del tempo. Quando è posto di fronte a questi concetti, il pensiero umano vacilla.
Il robot portò boccali di birra anche per David e Corcoran. Poi posò sul tavolo un tagliere di legno e un coltello e depose sul tagliere una grossa pagnotta. — Mangiate — disse. — È un cibo buono, salutare. C'è ancora della minestra, se ne volete.
Corcoran tagliò due fette di pane, una per sé e una per David. Inzuppò la sua fetta nella minestra e ne assaggiò un boccone. Era eccellente. E la birra era squisita. Tutt'a un tratto, e senza nessuna ragione, si sentì immediatamente felice.
David aveva ripreso a parlare. — C'è questa faccenda degli Infiniti. Abbiamo udito il nome, ma non sappiamo che cosa siano.
Il vecchio dalla barba color della brina rispose. — Anche noi abbiamo udito soltanto voci. Sembra che sia un movimento religioso, ma ci sono indicazioni che non sia del tutto umano. Si parla di missionari alieni.
— Non ci sono prove che ci permettano di arrivare a una conclusione — disse Barba Riccia. — Le idee nascono, fioriscono per qualche tempo e poi svaniscono. La smaterializzazione, dite: ma come si fa per ottenerla?
— Credo che se l'umanità volesse smaterializzarsi, un modo lo troverebbe — disse Baffone. — Già molte volte l'uomo ha ottenuto dei grandi risultati che avrebbe fatto meglio a non ottenere.
— Tutto si riaggancia — disse Barba di Brina, parlando con un tono da giudice del tribunale — a una caratteristica umana che abbiamo molto meditato nelle nostre lunghe sere. L'insaziabile tendenza dell'uomo verso uno stato di felicità.
Corcoran non ascoltò la conversazione. Raccolse con un pezzo di pane le ultime gocce di minestra, poi vuotò il boccale. Si raddrizzò e si appoggiò allo schienale: era sazio.
Si guardò attorno e vide per la prima volta come fosse fatta la stanza: era poco più di una stalla. Era piccola e spoglia, senza ornamenti, senza lussi. L'idea di abitazione che poteva venire in mente a un robot: uno spazio riparato dal freddo. La costruzione era ben fatta: ottima fattura, se era stata fatta dai robot. Il tavolo e le sedie erano di legno robusto e capace di durare per secoli, ma a parte l'onesto lavoro e l'onesto legno, non c'era molto. Le tazze e i boccali erano di terracotta; le candele erano fatte a mano. Perfino i cucchiai erano di legno scolpito e lucidato.
Eppure quegli uomini di villaggio che sedevano attorno a un rustico tavolo, in quella stanza disadorna, dibattevano problemi che andavano assai al di là della loro possibilità d'intervento, facendo seriamente le loro considerazioni, anche quando non avevano alcun dato su cui basarsi. Comunque, si disse, non poteva essere lui a scagliare la prima pietra. Non c'era niente di strano, nel comportamento di quei vecchi. Era un'antica e onorata tradizione che riandava agli albori della storia. Nell'antica Atene gli sfaccendati si riunivano nell'agorà per dedicarsi ad alate discussioni; secoli più tardi, negli Stati Uniti, altri sfaccendati sedevano sotto il porticato, davanti ai negozi di campagna, e facevano discorsi altrettanto pomposi quanto quelli degli ateniesi. Nei club londinesi ulteriori sfaccendati facevano lo stesso tipo di discorsi davanti a un bicchiere di liquore.
L'ozio portava alla chiacchiera, si disse, e gli uomini si lasciano ipnotizzare dall'intelligenza dei loro pensieri. Gli uomini di quel villaggio erano sfaccendati: li aveva resi tali la loro società dominata dai robot.
David si alzò, dicendo: — Temo che sia giunto il momento di andarcene. Ci fermeremmo di più, se potessimo, ma dobbiamo riprendere il cammino. Vi ringraziamo del cibo, della birra e della conversazione.
Gli uomini della tavola non si alzarono. Non tesero la mano e non dissero addio. Sollevarono lo sguardo e annuirono, poi si immersero nuovamente nelle loro interminabili discussioni.
Corcoran si alzò a sua volta e si avviò verso la porta. Il robot li precedette e aprì loro il battente.
— Grazie della minestra e della birra — disse David.
— Tornate pure quando volete — disse il robot. — Siete i benvenuti.
E si trovarono nella strada, con il robot che chiudeva la porta dietro di loro. In strada non c'era nessuno.
— Abbiamo saputo quello che volevamo — disse David. — Adesso sappiamo che gli Infiniti sono già qui e che hanno già dato inizio alla loro missione.
— Mi spiace per quei poveretti — disse Corcoran. — Non hanno niente da fare, solo starsene laggiù seduti a parlare.
— Non c'è bisogno di compatirli — disse David. — Forse non lo sanno, ma sono felici.
— Può darsi, ma è un brutto modo di finire, per la razza umana.
— Forse è la fine che la razza umana ha sempre cercato. Per tutta la storia, l'uomo ha sempre cercato qualcuno che lavorasse al posto suo. Prima il cane, il bue, il cavallo. Poi le macchine, e infine i robot e i computer.
La sera cominciava ad allungare le sue ombre sulla valle, quando raggiunsero il prato dove si era posato il viaggiatore.
Quando furono accanto alla macchina una nebbiolina di punti scintillanti si avvicinò a loro. Corcoran fu il primo a notarla, e si fermò. Sentì che gli si rizzavano i capelli per un'atavica paura, poi capì cos'era.
— David — disse, parlando piano — abbiamo un ospite.
David rimase senza fiato per la sorpresa, poi disse: — Henry, siamo lieti di vederti. Ci auguravamo che ci trovassi.