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Cercò di immaginare l'accaduto. Forse David aveva udito un rumore, proveniente dall'oscurità al di là del cerchio rischiarato dal fuoco, ed era andato a vedere. Forse era stato preso di sorpresa, e forse aveva visto la tigre. Comunque, non aveva sparato.

Se ci fossi stato io, pensò Corcoran, avrei sparato. Se avessi visto una tigre avrei usato il fucile. Forse una doppietta a pallini non era l'arma più adatta contro una tigre, ma a bruciapelo, anche se non l'avesse ucciso, una scarica della doppietta avrebbe messo in fuga anche un animale così grosso. David non aveva usato il fucile forse perché non era abituato a usarlo, forse perché era troppo civile per farlo, anche se ne avesse avuto la possibilità. Per lui il fucile non era un'arma: era un bastone da passeggio.

Povero sciocco, si disse Corcoran. Che sfortuna.

Andò a prendere il fucile. In canna c'erano due cartucce. David non aveva sparato. Se lo infilò sotto il braccio e seguì le tracce della tigre. Sul terreno c'era uno stivale, e nello stivale c'era un piede. Le ossa erano spezzate, maciullate dai denti di un animale da preda. Poco più avanti incontrò una giacca lacerata. Là vicino c'erano alcune cartucce, e Corcoran le raccolse e se le infilò in tasca. Di David non restava altro. Ritornò dove c'era lo stivale e rimase per lungo tempo a fissarlo. Non si chinò a raccoglierlo. Si giustificò dicendosi che non voleva sporcarsi.

Ritornò accanto al fuoco e si sedette in terra. Doveva mangiare qualcosa, pensò, ma in quel momento non aveva voglia di cibo. In bocca si sentiva un sapore amaro.

Che cosa doveva fare, a quel punto?

Era sicuro di riuscire a manovrare il viaggiatore. Sapeva dove si trovava il libro di bordo di David. E aveva osservato David mentre programmava il pannello di controllo per il balzo nel tempo.

Ma dove andare? Ritornare nel suo ventesimo secolo, lavandosi le mani dell'intera faccenda? L'idea aveva i suoi lati positivi, ma lo attirava poco. A tornare nel suo secolo si sentiva un disertore. Boone era in qualche punto di quel folle segmento di tempo, e prima di andarsene Corcoran voleva aiutare l'amico.

Pensò alla tigre e alla solitudine di quel luogo abbandonato, e il pensiero gli piacque poco. Ma lui doveva rimanere laggiù, nel caso di un ritorno di Boone, e forse anche di Henry, anche se questi non aveva bisogno di un viaggiatore per muoversi nel tempo e nello spazio.

Pensò alla tigre, e giunse alla conclusione che non costituiva un grave problema. Forse la tigre non sarebbe ritornata, e se anche l'avesse fatto, lui era una persona armata e decisa a usare la sua arma. Con il fucile, si disse, lui non era vulnerabile come David. Di notte poteva dormire nel viaggiatore, chiudendo il portello per proteggersi dai carnivori. Aveva cibo per qualche tempo, e poteva prendere acqua alla pozza. Poteva fermarsi laggiù per tutto il tempo necessario.

Ormai era mattino, e Corcoran si alzò in piedi. Andò a prendere acqua alla fonte, poi cibo nel viaggiatore. Ritornò accanto al fuoco per cuocersi frittelle di granturco, farsi un caffè e friggersi il prosciutto. Diavolo, si disse, è come essere al campeggio.

Cercò di sentirsi triste per David, ma non riuscì a rattristarsi più che tanto. L'orrore della sua morte, o meglio, l'orrore delle circostanze della sua morte, lo faceva rabbrividire, ma cercò di non ripensarci. Doveva toglierselo molto in fretta dalla sua testa.

Sentì nella mente una sorta di solletico. Veniva dall'esterno.

“Eh, eh, eh” rideva scioccamente.

Si sentì prendere dalla collera.

— Va' all'inferno! — gridò al mostro.

“Eh, eh, eh” continuò a ridacchiare il mostro. “Il tuo amico è morto, mentre io sono ancora vivo”.

— Ti augurerai un milione di volte di essere morto, prima che tutto sia finito.

“Anche tu morirai” continuò il mostro “e molto prima di me. Sarai polvere e ossa”.

Corcoran non rispose. Era stato colto da un sospetto. Che fosse stato il mostro a inviare contro David la tigre assassina?

Era una sciocchezza, pensò poi. Doveva essere paranoico, per avere questi sospetti. Fece colazione, poi lavò e asciugò piatti e padelle, usando come strofinaccio un pezzo di tela strappato dalla sua camicia. Pòi si recò al viaggiatore e trovò una pala. Scavò un buco e vi seppellì lo stivale con il piede dentro. Per motivi igienici, disse a se stesso; non intendeva trasformare la cosa in una cerimonia.

Prese le frittelle che aveva avanzato e le avvolse in un fazzoletto, che poi si infilò in tasca. Cercò tra le provviste contenute nel viaggiatore, per vedere se ci fosse una borraccia, ma non ne trovò. Privo di borraccia, riempì d'acqua il secchio. Era scomodo da portare, ma non aveva altro.

Munito del fucile e del secchio, si avviò lungo il piano; dopo qualche chilometro girò a sinistra e cominciò a muoversi in cerchio, girando attorno alla collinetta. Studiò attentamente il terreno per scorgere eventuali tracce di Boone.

Per due volte trovò quella che gli sembrava una traccia umana. Le seguì entrambe, ma non poté avere la sicurezza che fossero quelle giuste. Tutt'e due le volte, dopo qualche tempo perse la pista. Era inutile, si disse. Lo sapeva fin dall'inizio, ma in ogni caso era un tentativo da fare. Lui e Boone si conoscevano da molto tempo. Di tanto in tanto si erano dati una mano. Boone era una sorta di amico per lui. E lui aveva sempre avuto pochi amici.

Ogni tanto incontrò qualche lupo che, brontolando, si tolse dalla sua strada, sedendosi da parte, in attesa che lui passasse. Da dietro un cespuglio saltò fuori un animale simile a un daino che scappò via. Passò a qualche centinaio di metri da una piccola mandria di bisonti. In lontananza, scorse quello che doveva essere un gruppo di mastodonti, anche se erano troppo lontani da lui per accertarsene. Potevano essere benissimo dei mastodonti si disse; l'epoca era giusta.”

Quando il sole giunse nel punto più alto, Corcoran si fermò a riposare all'ombra di un albero. Mangiò le frittelle e bevve l'acqua tiepida del secchio.

Probabilmente, si disse, era meglio ritornare alla collinetta. Era partito con l'intenzione di fare un giro completo attorno a essa, e aveva già fatto mezzo giro nella parte ovest. A est non c'era niente, soltanto la pianura, che si stendeva fino a confondersi con l'orizzonte e che era del tutto vuota. Boone non poteva essere andato che a ovest. Corcoran rifletté per qualche istante, chiedendosi se non fosse il caso di ripercorrere in senso inverso la strada fatta fino a quel momento, ma controllando con maggiore attenzione.

Terminò le frittelle e bevve un'altra sorsata d'acqua tiepida. Stava per ripartire, quando sentì una presenza. Tese l'orecchio. Non c'era niente di udibile, ma il senso di una presenza era sempre più forte.

Parlò con esitazione, dubbioso: — Henry?

“Sì, sono io” disse Henry.

— Hai saputo di David?

“Sì. L'ho saputo quando sono ritornato. E non ti ho più visto. Sono venuto a cercarti”.

— Mi spiace per David.

“Spiace anche a me. Un fratello insostituibile. Un uomo nobile”.

— Sì. Nobilissimo.

“È stato ucciso da una tigre” disse Henry. “Ho seguito le tracce della bestia e alla fine l'ho trovata, ancora intenta a divorarlo. Ne restava ben poco. Com'è stato?”.

— Era di guardia. Quando mi sono svegliato ho scoperto cos'era successo. Non ho sentito rumori. La tigre l'ha portato via.

“Ho visto una tomba. Molto piccola”.

— Un suo stivale. Con il piede dentro. L'ho sepolto.

“Grazie di ciò che hai fatto. Hai fatto quello che avrebbe fatto uno della famiglia”.

— Tu sai dove si trova il corpo. Potrei portare la pala e allontanare la tigre.

“Sarebbe inutile. Un gesto vuoto. Vedo che hai il fucile. Lui non l'ha usato?”

— Deve essere stato colto di sorpresa.

“In qualsiasi caso” disse Henry “David non avrebbe sparato. Era troppo gentile per questo mondo. Il viaggio è andato male. Per tutti. Prima abbiamo perso Enid, e poi Boone”.