— Sei proprio il mio vecchio amico — disse Boone. — E quindi è ora che ci muoviamo.
Riprese il cammino, e il lupo si mise al suo fianco. Boone era lieto di avere il lupo con sé. Dopotutto, era meglio camminare con un amico che con un estraneo.
Non successe niente. Il panorama rimase sempre uguale. Boone continuò a camminare, e il lupo continuò a seguirlo, ma tra camminare e stare fermi non c'era molta differenza. Per quanta strada facessero, niente cambiava.
Si domandò dove fosse Enid e perché non fosse ritornata. Che cosa poteva esserle successo?
— Ti ricordi di Enid? — domandò al lupo. Il lupo non gli rispose.
Sulla strada comparve un puntino che si avvicinava a loro. Divenne sempre più grande.
— C'è qualcuno in arrivo — spiegò Boone al lupo.
Il lupo sbadigliò. Come se dicesse: “Che importa? Come capire qual è la strada giusta?”
— Vero — convenne Boone.
Il punto divenne una vettura tramviaria: una vettura molto strana, aperta alle intemperie, con due panche coperte da una specie di baldacchino. Una delle panche guardava in una direzione, e l'altra nella direzione opposto. Non c'era manovratore; il tram funzionava in modo automatico.
Il tram rallentò, ma non si fermò.
— Salta — disse Boone al lupo.
Il lupo saltò e si sedette su una delle panche. Anche Boone saltò sulla piattaforma e andò a sedere su una delle panche, accanto al lupo, su quella che guardava in avanti. La vettura accelerò.
La vettura, come prevedibile, era grigia. Il baldacchino era a strisce, ma solo nel senso che c'erano strisce di grigio più scuro che si alternavano a strisce di grigio più chiaro. Il tram grigio si lanciò sempre più velocemente lungo la pianura, con a bordo il lupo grigio e l'uomo grigio.
Infine, dopo molto tempo, a fianco del binario si cominciò a scorgere un cubo che diventò sempre più grande. La vettura rallentò, e il cubo rivelò la propria natura: un edificio, con un piccolo spiazzo su cui si vedevano tre tavolini circondati da sedie. Su una delle sedie c'era una figura seduta: quando la vettura si fermò, Boone vide che era il Cappello: la strana sagoma che si era seduta accanto al fuoco, davanti a lui, e che gli aveva parlato della fratellanza di lupo e uomo. Il grande cappello conico non era cambiato: tanto grande che gli finiva sulle spalle e gli copriva la faccia.
Il lupo saltò a terra e trotterellò accanto al tavolino del Cappello, si sedette a terra e fissò la strana figura. Boone scese più lentamente e raggiunse anche lui il tavolino, per sedersi infine davanti al Cappello.
“Vi aspettavo. Mi è stato detto che sareste arrivato” disse il Cappello.
— Chi ve l'ha detto?
“Il nome non ha importanza. L'unica cosa importante è che siete arrivato e che avete portato con voi il vostro amico”.
— Non sono stato io a portarlo — disse Boone. — È venuto da solo. È stato lui a seguirmi.
“Siete fatti l'uno per l'altro” disse il Cappello. “Ve l'ho detto che voi due eravate amici”.
— Questo posto mi ricorda una tavola calda del mio paese — disse Boone. — Come si fa per procurarsi qualcosa da mangiare?
“Le vostre esigenze non sono ignote. Si sta già provvedendo”.
— Per tutti e due?
“Naturalmente. Per tutt'e due”.
Un tozzo cameriere robot si affacciò alla porta dell'edificio. La parte più alta della sua testa era piatta, e vi era appoggiato un vassoio. Si fermò accanto al tavolo, sollevò le braccia e fece scivolare un ben fornito vassoio sul tavolo.
— Questo piatto è per il carnivoro — disse il robot. — Come lo devo servire?
— Posatelo sul pavimento — disse Boone. — Per lui è il modo più semplice di mangiare.
— Non ho fatto cuocere la carne per lui.
— Perfetto. Gli piace cruda e sanguinolenta.
— E l'ho tagliata a pezzi per renderla più maneggevole.
— È stato un pensiero gentile — disse Boone. — Vi ringrazio entrambi delle vostre premure.
Il robot posò a terra il piatto contenente la carne cruda, e il lupo cominciò a trangugiarla alacremente. Era affamato; la mandò giù in fretta, senza preoccuparsi di masticarla.
— Aveva davvero fame — commentò il robot.
— Ce l'ho anch'io — disse Boone.
Rapidamente il robot posò l'altro piatto davanti a Boone: una bistecca fumante, una patata bollita, con salsa allo yogurt, insalata di verdure cotte, pezzetti di formaggio, fagiolini, una fetta di torta di mele, una tazza di caffè.
Boone disse al Cappello: — È il primo pasto civile che faccio da una settimana. Sono sorpreso di trovare la mia cucina americana del ventesimo secolo in un posto come questo.
“Conosciamo i nostri clienti” disse il Cappello. “Adattiamo la nostra cucina alle loro esigenze. Sapevamo che voi e il lupo sarete stati nostri ospiti”.
Boone lasciò perdere per il momento la verdura e si dedicò alla bistecca. Versò la salsa sulla patata. Domandò, con la bocca piena: — Potete dirmi dove ci troviamo? O siete votato al silenzio per qualche stupida segretezza?
“Niente affatto” disse il Cappello. “Visto che volete tanto saperlo, siamo sulla Strada dell'Eternità”.
— Mai sentito parlarne.
“Certo, che non ne avete mai sentito parlare. Sono cose che non dovete sapere. Né voi né alcun altro essere umano”.
— Eppure siamo qui. Io e il lupo.
Il Cappello disse, tristemente: “Avevamo ogni motivo di credere che la cosa non dovesse mai succedere. Le razze inferiori, pensavamo, erano escluse. C'era solo una possibilità su molti milioni che i processi evolutivi producessero casualmente il tipo di capacità che voi possedete. Una volta, l'universo era più stabile. Uno poteva prevedere il futuro. Uno poteva fare dei piani. Ma adesso questo non vale più. Da quando ci siete voi, non è più possibile. I processi biologici casuali si sono fatti beffe della ragione”.
Boone continuò a mangiare. Era troppo affamato, e non si preoccupava di mangiare con educazione. Lupo aveva finito di trangugiare la sua carne e adesso si era sdraiato accanto al piatto vuoto, a mezzo metro di distanza o poco più, in modo da non perdere tempo se ne fosse arrivato un altro. Il peggio della fame era passato, ma soltanto il peggio, perché Lupo era un animale difficile da riempire di cibo fino alla sazietà.
Boone inghiottì il boccone.
Si rivolse al Cappello: — Avete detto la Strada per l'Eternità? “No, ho detto la Strada dell'Eternità”.
— Fa lo stesso — gli disse Boone.
“No è diverso”.
— Non importa — disse Boone. — Se sapessi questa strada, arriverei all'Eternità? E che cos'è l'Eternità? Che cosa troverei, giunto all'Eternità? E chi, secondo voi, può avere voglia di arrivarci?
“Siete già all'Eternità” disse il Cappello. “Dove credevate di essere?”
— Non ne avevo idea — disse Boone. — Ma l'Eternità!
“È un bel posto” disse il Cappello. “È la fine di tutto. Quando siete nell'Eternità, siete arrivato. È inutile proseguire”.
— E cosa dovrei fare, rimanermene qui a far girare i pollici?
“È una soluzione. Non ci sono altri posti dove andare”.
In tutta quella conversazione, pensò Boone, c'era qualcosa di profondamente sbagliato. Il Cappello mentiva, si divertiva alle sue spalle. L'Eternità non era un posto; l'invenzione di qualche antico filosofo, e non un punto dello spazio e del tempo. E la strada non terminava in corrispondenza di quel piccolo luogo di ristoro: raggiungeva l'orizzonte grigio. Ovviamente c'erano altri posti dove andare.
Bistecca e patate erano finite. Scostò il piatto e prese quello dell'insalata. Normalmente l'insalata non gli piaceva, ma quando aveva fame, come in quel momento, la mangiava.
Da qualche tempo, il Cappello taceva. Quando Boone sollevò gli occhi, vide che il Cappello si era afflosciato sul tavolo a faccia in giù. Le braccia, che poco prima erano appoggiate al tavolo, adesso pendevano dalle spalle.