Horace si accingeva ad approfondire ulteriormente il problema, ma venne interrotto dall'arrivo di Nora, che giungeva dalla cucina inalberando trionfalmente il piatto di portata con l'arrosto. Lo posò davanti a Timothy, e poi ritornò in cucina. Tutti gli altri si sedettero a tavola, e Timothy cominciò a tagliare a pezzi l'abbacchio, con grandi cerimonie, brandendo coltello e forchetta con i suoi soliti svolazzi.
David assaggiò il porto. Era eccellente. Di tanto in tanto, in certe piccole faccende come la scelta di una buona bottiglia di vino, la legge della media, senza intervento da parte dell'uomo, portava Horace a dirla giusta.
Per qualche minuto consumarono il pasto in silenzio. Poi Horace si nettò giudiziosamente le labbra col tovagliolo, infilò di nuovo quel lembo di tela sotto il tavolo, e disse: — Da qualche tempo sono preoccupato per la nostra postazione di New York, nel ventesimo secolo. Mi fido poco di quel Martin. Ho cercato di chiamarlo un mucchio di volte, ma quello scansafatiche non risponde.
— Può darsi che si sia allontanato per qualche tempo — propose Emma — e che poi ritorni.
— Se si tratta di un'assenza temporanea — disse Horace — come nostro sorvegliante ci deve sempre informare. Inoltre ha con sé quella donna, Stella. Se non c'è lui, almeno lei ci deve rispondere.
— Sarà andata via con lui — disse Emma.
— Non deve andarsene con lui. La postazione deve sempre essere custodita da qualcuno.
— Secondo me — disse David — è poco consigliabile cercare di mettersi in contatto con lui. Come misura di sicurezza, dobbiamo sempre ridurre al minimo il numero delle comunicazioni.
— In questo segmento temporale — disse Horace — siamo gli unici a disporre di attrezzature cronologiche. Non c'è nessuno che ci possa intercettare.
— Non ne sono molto sicuro — disse David.
— Che differenza fa? — domandò Emma, cercando timidamente di mantenere la pace, come sua abitudine. — Non vedo perché dobbiamo litigare per queste cose.
— Quel tale, quel Martin, non parla quasi mai con noi — si lamentò Horace. — Non ci dice mai niente.
Timothy posò sul piatto coltello e forchetta, facendo più rumore del necessario. — Nonostante il fatto — disse — che non sappiamo niente di quell'uomo e che non ci fidiamo completamente di lui, può darsi che sappia quello che fa. Stai trasformando in un dramma una cosa senza importanza, Horace.
— Ho conosciuto lui e quella Stella — disse David — quando sono andato nel ventesimo secolo, a New York, alcuni anni fa, per procurarmi dei libri per Timothy. È stata quella volta — aggiunse, rivolto a Timothy — che ho portato anche il fucile e la doppietta per le tue collezioni.
— Bellissimi pezzi, tutt'e due — disse Timothy.
— Quel che non capisco — disse Emma, piccata — è perché li tieni sempre carichi. Non soltanto quei due, ma anche gli altri. Le armi cariche sono pericolose.
— Per completezza — disse Timothy. — Certo anche tu apprezzi la completezza. La munizione è una parte integrante del fucile. Senza munizione, un fucile è incompleto.
— La logica del discorso mi sfugge — disse Horace. — Mi è sempre sfuggita.
— Non volevo parlare di fucili — disse David. — Mi dispiace di averli tirati in ballo. Volevo soltanto dire che ho conosciuto Martin e Stella. Sono stato loro ospite per diverse notti.
— E che tipi sono? — domandò Enid.
— Martin ha la comunicativa di un basilisco. Un basilisco misantropo. Parla poco, e quando parla riesce a non dire niente. L'ho visto poche volte, e per breve tempo. Ne ho ricavato l'impressione che la mia presenza gli desse fastidio.
— E la donna?
— Un altro basilisco anche lei. Ma di tipo diverso. Poco cordiale, certo, e traditrice. Ti guarda senza perderti d'occhio un solo secondo, ma poi finge di non averti osservato.
— E ti sono parsi pericolosi? pericolosi per noi, intendo dire.
— No, pericolosi non direi. Soltanto antipatici.
— Può darsi che abbiamo allentato eccessivamente la sorveglianza — disse Emma, timidamente. — Da vari anni le cose per noi vanno troppo bene, e ci siamo lasciati cullare dall'idea che debbano andare bene sempre. Horace è l'unico che sta ancora all'erta. Lavora tutto il tempo. Penso che gli altri, invece di criticarlo, dovrebbero fare qualcosa anche loro.
— Timothy lavora quanto Horace — disse Enid. — Passa tutto il suo tempo a consultare i libri e i papiri raccolti per lui. E chi li ha raccolti? Li ha raccolti David, recandosi a Londra, Parigi e New York, correndo dei rischi e lasciando Hopkins Acre per cercarli.
— C'è del vero in quello che dici, cara — disse Emma — ma allora spiegami cosa fai tu.
— Cari miei — protestò Timothy — non dovremmo litigare. Ed Enid, a modo suo, lavora quanto gli altri, se non di più.
David sollevò lo sguardo per fissare Timothy, il fratello che parlava piano e che non si scomponeva mai, e si domandò come riuscisse a sopportare Emma e quel villano di suo marito. Anche quando veniva provocato, non alzava mai la voce. Con la sua faccia ascetica, incorniciata dalla barba bianca e rada, rappresentava la pacata voce della ragione durante le tempeste che talvolta scuotevano il loro cerchio familiare.
— Invece di stare a discutere su chi si dà maggiormente da fare, è meglio ammettere che nessuno fa qualcosa che possa risolvere il problema. Ma perché, semplicemente, non ammettiamo di essere dei profughi, nascosti qui, tremebondi, che sperano che nessuno li scopra? Secondo me, nessuno di noi è in grado di risolvere il problema, neppure se fosse questione di vita o di morte.
— Penso che qualcuno di noi sia sulla giusta strada — disse Horace — e comunque ci sono anche altri che cercano la risposta. I nostri compagni di Atene e del Pleistocene…
— Esattamente — disse David. — Noi, quelli di Atene, quelli del Pleistocene, e quelli di New York, se Martin e Stella sono ancora laggiù. Quanti, complessivamente?
— Il fatto è — disse Horace — che devono essercene molti altri. I nostri tre gruppi… o meglio, quattro gruppi… si conoscono tra loro. Ma ci devono essere molti altri gruppi, legati tra loro come i nostri quattro, che non conoscono né noi né gli altri. E la cosa ha senso. I rivoluzionari (e noi, in un certo senso, siamo dei rivoluzioriari) sono sempre isolati sotto forma di cellule, e non si conoscono tra di loro.
— Secondo me — ripeté David, ostinato — siamo dei puri e semplici profughi, siamo dei fuggiaschi.
Ormai avevano finito l'abbacchio; giunse Nora per portare via i piatti, e poi ritornò con un fumante sformato di prugne e lo posò al centro della tavola. Emma allungò la mano e lo avvicinò a sé.
— È già tagliato — disse. — Passatemi i vostri piatti da dessert. Per chi ne vuole, c'è anche della crema.
— Oggi ho visto Spike — disse David. — Mentre ero nei campi. Stava giocando a quel suo stupido gioco dei salti.
— Povero Spike — disse Timothy. — È stato risucchiato insieme con noi. Era venuto a trovarci. Non faceva parte della famiglia, ma era con noi quando è giunto il momento di partire. Non potevamp lasciarlo là. Spero che sia contento di stare con noi.
— Mi sembra abbastanza contento — disse Enid.
— Non potremo mai sapere se lo è — disse Horace. — Non è in grado di parlare con noi.
— Capisce più di quanto pensiamo noi — disse David. — Non commettere l'errore di crederlo sciocco.
— È un alieno — disse Timothy. — Era un animale da compagnia… no, questo termine non è giusto… aveva un sodalizio di qualche tipo con la famiglia che abitava accanto a noi. A quell'epoca c'erano delle strane unioni tra gli uomini e gli alieni, non tutte si lasciavano capire facilmente. Almeno, io non le capivo.