Sorpreso, Boone si alzò in piedi e osservò la figura immobile.
— State bene? — domandò. — Cosa vi è successo?
Il Cappello non rispose e non si mosse.
Boone fece rapidamente il giro del tavolo, lo afferrò per una spalla e lo sollevò. Il Cappello dondolò nelle sue mani come una bambola rotta.
Morto, pensò Boone. Il Cappello era morto… ammesso che fosse mai stato vivo.
Lasciò la presa, e il Cappello cadde sul tavolo. Boone entrò nell'edificio cubico. Vide il robot, in fondo alla prima stanza. Era indaffarato a cucinare qualcosa ai suoi fornelli.
— Presto! — disse Boone. — È successo qualcosa al Cappello!
— Si è afflosciato — disse il robot. — Qualcuno gli ha tolto il tappo dell'aria.
— Esattamente. Credo che sia morto. Come lo sapete?
— Succede sempre — disse il robot.
— E quando succede, voi che cosa fate? Come si può aiutarlo?
— Io non faccio niente — disse il robot. — Non è una cosa che mi riguardi. Io sono solo un robot cuciniere. Mi limito ad aspettare i viaggiatori che arrivano con il tram. E di solito non arriva nessuno. Aspetto gente che non arriva mai. Ma per me fa lo stesso. Quando arriva qualcuno, io sono pronto a servirlo. Non mi occupo d'altro. È l'unica cosa che so fare.
— E il Cappello?
— Si fa vedere qui di tanto in tanto, ma non ha bisogno di mangiare. Si siede al tavolo, sempre allo stesso posto. Non parla mai con me. Si limita a guardare la strada. E a volte si sgonfia.
— E voi, non fate niente per lui?
— Che cosa posso fare? Lo lascio dov'è, e poi, dopo qualche minuto, ora, o giorno, sparisce.
— Dove va?
Il robot allargò le braccia per indicare che non lo sapeva: un gesto esagerato, teatrale.
Boone ritornò all'esterno. Lupo aveva tirato giù dalla sedia il Cappello e lo trascinava in giro, come un cucciolo con uno straccio, per gioco. Lo gettò in aria, lo raccolse tra le fauci prima che toccasse terra, e lo agitò con malvagità.
Una bambola, pensò Boone, ecco che cos'era il Cappello: una bambola di stracci, costruita alla buona, che viaggiava nel tempo e nello spazio e che faceva da portavoce a qualcun altro. Il pupazzo di un ignoto ventriloquo.
Si fermò accanto al tavolo e guardò Lupo che giocava con la bambola di stracci che era stata in precedenza il Cappello; provò un brivido che giungeva dal profondo del suo cuore, un gelo psichico che derivava dal fatto di essere spaventato a morte.
Quando era giunto, si era chiesto la natura dello strano luogo dove era arrivato. Ora tornò a meravigliarsi, ma la sua meraviglia era più complessa e inquietante. La terra… o posto o condizione… in cui era capitato era spoglia e aliena, e si domandò perché non se ne fosse accorto prima. Si sentì nudo e solo davanti a una minaccia che non riusciva nemmeno a immaginare… anche se non vedeva minacce e non era solo, perché con lui c'era Lupo.
Lupo smise di giocare con il Cappello e sorrise a Boone, felice di avere un giocattolo e di non essere solo. Boone si batté la coscia con il palmo della mano, e Lupo venne a sedersi accanto a lui. Boone gli accarezzò la testa, e Lupo non si tirò indietro.
Il freddo, notò Boone con una certa sorpresa, era scomparso e il paesaggio grigio era ritornato a essere emotivamente indifferente.
Lupo uggiolò. Premeva la spalla contro la gamba di Boone, e il suo corpo era percorso da un fremito.
— Che cosa succede? — gli domandò Boone. — Che cos'hai?
Lupo uggiolò di nuovo.
Abbassando lo sguardo sull'animale, Boone vide che aveva sollevato la testa e che fissava il cielo, che non era affatto un cielo ma soltanto uno strato grigio premuto su un altro strato grigio.
— Lassù non c'è niente — gli disse Boone. — Niente di niente.
Ma nel pronunciare queste parole si accorse che sbagliava. Lassù nel grigio c'era qualcosa che prendeva lentamente corpo: era una forma ondeggiante che sembrava un tappeto male intessuto e che tremolava sullo sfondo grigio del cielo.
Vide che il tappeto ondeggiante scendeva a terra, e alla fine si accorse che non era affatto un tappeto, ma una rete rada, con due figure che si tenevano alle sue maglie.
La rete toccò terra, si gonfiò un'ultima volta, e ne balzò giù una donna che corse verso di lui a braccia tese.
— Enid! — esclamò Boone, correndo ad abbracciarla.
Un istante più tardi erano l'uno nelle braccia dell'altra. Enid gli premeva la faccia contro il petto e mormorava qualcosa che lui non riusciva a capire. Poi capì: — …Così contenta di trovarvi. Non volevo andarmene e abbandonarvi laggiù, ma sono successe molte cose e non sono riuscita a farlo.
— Tutto a posto — le disse lui. — Adesso siete arrivata, e questa è l'unica cosa importante.
— Vi ho visto — disse Enid, sollevando la faccia e guardandolo negli occhi. — Vi ho visto in un posto tutto grigio, ed eravate grigio, e accanto a voi c'era un lupo grigio.
— Il lupo è ancora qui — disse Boone. — Siamo felici.
Enid fece un passo indietro e lo squadrò attentamente. — State bene? — gli disse.
— Mai stato meglio.
— Che posto è questo?
— Siamo sulla Strada dell'Eternità.
— Che mondo è?
— Non lo so. La cosa non è molto chiara.
— È un posto diverso. Non siamo sulla Terra.
— Ne sono convinto anch'io — disse Boone — ma non so dove siamo.
— Avete girato dietro un altro angolo?
— Penso di sì. Dio sa quanto ho cercato di farlo.
Intanto, l'altra figura che era a bordo della rete era scesa a terra e si dirigeva verso di loro. Aveva due gambe e due braccia, e complessivamente una figura umanoide, ma non era un umano. La sua testa sembrava quella di un cavallo, e aveva un'aria di profonda tristezza. Aveva due grandi orecchi e più di due occhi, sparsi su tutta la fronte. Collo sottile, gambe talmente arcuate che pareva dondolare più che camminare. Le braccia assomigliavano a tubi di gomma. Accanto alla gola, due grosse branchie si gonfiavano e sgonfiavano ritmicamente. Il corpo sembrava un barile.
— Vi presento Muso di Cavallo — disse Enid, rivolta a Boone. — Non so come si chiami veramente, ma io l'ho sempre chiamato così, e lui non ha mai protestato. Muso di Cavallo, vi presento Boone. La persona di cui vi ho parlato: quella che cercavo.
— Sono lieto che vi abbiamo trovato — disse Muso di Cavallo.
— E io sono lieto di vedervi tutt'e due — gli disse Boone.
Il robot uscì dall'edificio cubico. Sulla testa, aveva un vassoio di cibo.
— Avete appetito? — domandò Boone. — Vedo che ci stanno servendo il pranzo.
— Altro che appetito — disse Enid — Io ho fame!
Si sedettero a tavola, e Boone si voltò verso Muso di Cavallo. — Questo cibo è per gli esseri umani. Può darsi che non sia di vostro gusto.
— Nei miei viaggi — gli assicurò l'alieno — ho imparato a mangiare qualsiasi cibo.
— A voi non ho portato niente — disse il robot, rivolto a Boone. — Avete appena mangiato un pasto spropositato. Ma ho portato al lupo un altro piatto di carne. Sembra ancora affamato. — Il robot posò davanti a Lupo il piatto di carne cruda. Lupo si buttò su di esso.
— È un ghiottone — disse Boone. — Lupo riuscirebbe a mangiare mezzo bisonte senza fare neanche una pausa per respirare.
— È uno dei lupi che abbiamo visto intorno al campo? Uno di quelli che davano fastidio al povero vecchio bisonte? — domandò Enid.
— Proprio uno di quelli. Dopo la vostra partenza… anzi, prima… è venuto a fare amicizia con me. La prima notte mi ero semiaddormentato, e me lo sono trovato naso a naso. Non ne ho mai parlato perché pensavo che fosse un'allucinazione.