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Muso di Cavallo si recò accanto alla carta stellare e si curvò a osservarne alcune parti.

Lupo non si staccava da Boone e tremava. Niente di strano, si disse Boone. Era una cosa da far accapponare la pelle a chiunque. Abbassò il braccio per accarezzare il lupo sulla testa. — Buono, buono — gli disse. — Va tutto bene. Non c'è nessun pericolo. — Lupo si strinse a lui ancora di più, e Boone si domandò se le proprie parole corrispondevano al vero. Era lui il primo a dubitare che andasse tutto bene e che non ci fosse pericolo.

Disse a Enid: — Ha parlato con voi di carte e mappe celesti?

— Ha parlato di un mucchio di cose — disse Enid. — E gran parte di quel che ha detto era privo di senso. Ma soprattutto ha parlato di carte genetiche, inserite nella sua memoria razziale.

Muso di Cavallo si accostò a loro. — Andiamo a dare un'occhiata? — domandò.

— Là dentro, volete dire? — chiese Enid. — Volete dire che dobbiamo entrarci?

— Ma certamente! — esclamò Muso di Cavallo. — Altrimenti, come potremo apprendere ciò che ci occorre? Quella linea bianca porta in qualche luogo. Andiamo a cercare dove porta. L'hanno messa apposta.

— Là dentro — disse Enid — corriamo il rischio di perderci. Rischiamo di starci dentro per giorni interi.

— No, se seguiamo la linea bianca. La seguiamo all'andata, e poi ci regoliamo su di essa per il ritorno.

— Se dobbiamo entrare in quella cosa — disse Enid — prima devo prendere un certo oggetto.

Dette queste parole, si avviò di corsa verso la rete.

Entrare in quel vortice di nebbia era una cosa di cui Boone avrebbe fatto volentieri a meno. A una prima occhiata pareva abbastanza semplice: una rappresentazione costruita da una tecnologia e da un'arte che alla sua epoca erano inconcepibili. Ma nella carta stellare c'era qualcosa di allarmante, di alieno, che lui non riusciva ad accettare. Gli pareva che un uomo potesse perdersi al suo interno e non trovare più la via d'uscita. Seguire la linea bianca, diceva Muso di Cavallo, e questo andava bene se la linea rimaneva al suo posto. Ma se quella linea non era altro che l'esca per attirare la preda in una trappola?

Enid fece ritorto, con una piccola scatola sotto il braccio. La sollevò per mostrarla a Boone. — È il televisore che ho trovato dove gli alieni facevano il picnic. Penso che ci convenga averlo con noi, se entriamo nella carta.

— È una sciocchezza — disse Muso di Cavallo.

— No. Mi ha mostrato dov'era Boone e ci ha indicato come raggiungerlo. È come avere un altro paio di occhi, e là dentro ci occorreranno tutti gli occhi di cui possiamo disporre. Ci mostra quello che desideriamo vedere.

Il riferimento a un “altro paio di occhi”, pensò Boone, non era molto centrato, perché, mentre loro due ne avevano solo un paio, Muso di Cavallo ne aveva molti di più: due gruppi, che probabilmente erano assai più perfezionati dell'equivalente umano.

Lupo piagnucolò piano, e Boone lo guardò. L'animale aveva paura, pensò, e anche lui, se avesse avuto un po' di sale in zucca, avrebbe dovuto piagnucolare come Lupo.

— Venite? — gli domandò Enid.

— Che cosa c'è, da vedere? Muso di Cavallo dice che la Strada dell'Eternità porta dove vogliamo andare e che non abbiamo bisogno di sapere altro. Saliamo sul tram e seguiamola.

— Ridicolo — disse Enid. — Con quella vetturetta, ci vorrebbe un'eternità per arrivare. Quando partiremo, useremo la rete, e per la rete non contano né il tempo né la distanza.

— Certo, certo — disse lui, cercando di guadagnare tempo prima di entrare in quella folle carta stellare. — Ma quando siamo partiti da Hopkins Acre, che cosa ci siamo ripromessi di cercare?

— Be'… gli Infiniti — disse lei. — Il pianeta d'origine degli Infiniti. È per questo che siamo partiti.

Finché Enid non aveva pronunciato la parola, Boone non si era più ricordato degli Infiniti. Molto tempo, molti luoghi diversi erano passati da quando ne avevano parlato l'ultima volta. Ma Enid se ne ricordava, perché era vissuta per secoli nel timore della loro minaccia.

— È la prima volta che sento parlare di cercare gli Infiniti — disse Boone. — Vi siete nascosti agli Infiniti per decine di anni, ed entrambi abbiamo dovuto scappare per salvarci dal loro robot assassino.

— Ci ho pensato bene — gli disse Enid — e mi sembra che non possiamo continuare a nasconderci. Dobbiamo andare a cercarli. Abbiamo la rete e Muso di Cavallo, e possiamo trovare altri che ci aiuteranno contro di loro.

— Non avrei mai pensato — disse Boone — che foste così combattiva.

— Venite o no? — domandò Muso di Cavallo, impaziente. — Se vogliamo usare la rete, dobbiamo avere un'idea della destinazione. La carta dovrebbe darci qualche suggerimento.

— Siete certo dell'esattezza della carta stellare? — domandò Boone. — Come fate a esserlo?

Un tempo, pensava Boone, sulla Terra, i cartografi mettevano sulle carte alcune caratteristiche che erano soltanto miti, o prodotti della loro immaginazione.

— Sul mio onore — disse Muso di Cavallo. — Questo manufatto è stato fabbricato da una razza competente, che sapeva ciò che faceva.

— Voi l'avete conosciuta?

— Ne ho sentito parlare. Me ne hanno parlato sul ginocchio di mio nonno e ne ho avuto altre descrizioni dai saggi della mia gente.

Boone cercò Lupo, ma Lupo non c'era più. Guardando dietro di sé, vide che Lupo era andato a sedersi a una certa distanza da lui, sulla strada. Aveva trovato il Cappello e se lo masticava. Lupo non aveva intenzione di entrare nella carta stellare, e, d'altronde non c'era motivo di portarlo in quella confusione.

— D'accordo Lupo — disse — Tu aspettami qui.

Gli altri due erano entrati nella carta stellare, Muso di Cavallo per primo ed Enid dietro di lui. Boone si affrettò a raggiungerli.

Sembrava uno spazio pieno di ragnatele, ma non c'erano ragnatele. Quando entrò, Boone non sentì più la terra sotto i piedi. Gli pareva di camminare nel vuoto, che i piedi gli fossero diventati insensibili: non sentiva niente quando li appoggiava.

Accanto a lui ardeva un grosso globo rosso, e Boone si chinò per non urtarlo, ma così facendo giunse faccia a faccia con un altro gioiello luminoso, intensamente azzurro. Prima che si potesse spostare dall'altra parte, finì per urtarlo. Ma non portò alcuna sensazione di calore, niente che indicasse la presenza di una stella. Sorrise. Aveva evitato una gigante rossa ed era finito in pieno in una stella azzurra, molto più calda. Che quella carta contenesse la rappresentazione di ogni stella, ogni nuvola di gas, ogni spira di polvere della galassia? La cosa sembrava impossibile. Ricordava di avere letto che nella Via Lattea c'erano più di cento miliardi di stelle. Nella carta non potevano essere rappresentate tutte. Se ce ne fossero state così tante, anche riducendo le stelle più piccole a semplici particelle di polvere, l'intera area sarebbe stata così piena che non si sarebbe potuto camminare. Con buona pace dell'accuratezza decantata da Muso di Cavallo.

— Attenzione alla linea bianca, perché è il nostro segno di riferimento — disse Muso di Cavallo. — È all'altezza del vostro fianco, alla vostra destra. — Boone abbassò lo sguardo e la vide: un filo bianco, una corda di salvataggio che lo collegava al mondo grigio dove lo aspettava un lupo che teneva in bocca la forma inerte del Cappello, come una bambola di stracci. Dove c'era l'edificio a forma di cubo, e accanto a esso il robot che preparava altro cibo, in attesa del loro ritorno.