Non ci credo, disse a se stesso. Non credo neppure una parola. Niente di simile sta accadendo veramente.
Invece era tutto vero. Camminava in un luogo dove non si sentiva la terra quando si posava il piede; attraversava un'area che non era soltanto illusoria, ma anche immaginaria, dove c'erano stelle, nubi di gas e di polvere, che si potevano vedere, ma che non si potevano toccare. E ora c'era anche qualcos'altro: un suono, un canto. Le stelle cantavano per lui la musica delle sfere: il fischio dell'idrogeno, il ritmo della radiazione, la sinfonia del tempo, il cantico dello spazio, il ronzio della polvere e la canzone del vuoto. La parte spaventosa di tutto questo stava nel fatto che laggiù non c'era niente. Non era realtà; era tutt'al più la magia di una rappresentazione, di un manufatto che era totalmente illusorio.
Si accorse di essere rimasto indietro rispetto ai compagni. In mezzo alla foschia, poteva a malapena distinguere Enid; Muso di Cavallo era scomparso. Stiamo camminando da ore, pensò, e questo era ridicolo, perché la carta stellare in cui erano entrati non poteva essere larga più di un centinaio di metri.
Accelerò il passo per raggiungere gli altri, senza cercare di evitare le stelle e le nubi di gas, perché ora capiva che non c'erano; ma anche se non c'era niente, pareva esserci una sorta di sostanza che cercava di respingerlo. Era come passare a guado un torrente impetuoso.
Davanti a lui si stendeva una nube di polvere più spessa del normale. Anche se sapeva che quella polvere era solo un'immagine, abbassò la testa, ma la nube era più profonda di quanto credesse e lo accecò. Le stelle non si vedevano più: Boone si curvò su se stesso, nell'oscurità, come se avesse dovuto sfondare un muro. Le gambe lo spingevano avanti; la pressione della corrente invisibile lo frenava.
Uscì dalla nube di polvere e trovò di nuovo la luce; una luce più intensa di quella incontrata prima. L'origine era una stella ardente alla sua destra, dai contorni nebbiosi.
Accanto a lui, Enid disse: — Una nova. Forse una supernova. Ma così oscurata dalla nube di polvere cosmica da risultare invisibile a noi della Terra.
Mentre ascoltava Enid, Boone vide un'altra stella, talmente vicina a lui che gli sembrava di poterla toccare con la mano. Non aveva niente di appariscente; era una stella minuscola e gialla, ma l'aveva notata perché qualcuno (qualcuno?) aveva scritto accanto a essa una piccola X, come per distinguerla da tutte le altre stelle della galassia, per ricordarsi che era una stella particolare.
— Boone, mi sentite? — domandò Enid. — Che cosa vi succede?
Non rispose. Fece un passo di lato, per vedere la stella sotto un altro angolo d'osservazione. Mentre si muoveva, la X si mosse insieme con lui. Cambiò posizione, e anche la X la cambiò. Da qualsiasi angolo si guardasse la stella, la X era sempre visibile. Era impossibile, si disse. Era un'altra illusione…
Enid lo prese per il braccio. — Muso di Cavallo è andato avanti. E Boone, dov'è finita la linea? Non vedo più la linea bianca. L'ho persa di vista.
Sentendosi prendere per il braccio, Boone si voltò. Vide che Enid era allarmata. Si guardava attorno, cercava dappertutto la linea bianca.
— Non è qui — disse Enid. — Con la nostra fretta di muoverci, e di fronte a tutte le meraviglie di questo luogo… Adesso, cosa facciamo?
Boone alzò le spalle. — Torniamo indietro a cercarla — disse. — La troveremo certamente.
Ma non ne era del tutto sicuro. Era una linea così piccola, così insignificante, che correvano il rischio di non vederla.
A poca distanza da loro si scorgeva una grande stella bianca che ruotava follemente sul proprio asse, mentre accanto a essa girava una stella molto più piccola, bianca e luminosa, ma la cui luce impallidiva al confronto del fulgore della compagna. La piccola stella ruotava sul proprio asse con una tale velocità che il suo moto era solo un tremolio, e tra le due stelle si stendeva un lucente cordone di energia fiammeggiante, che si dirigeva dal corpo astronomico più grande a quello più piccolo. Una stella di tipo B, pensò Boone, in sistema binario con una nana bianca.
— Non possiamo tornare indietro — diceva intanto Enid. — Per ora non possiamo ancora ritornare. Dobbiamo andare avanti e cercare Muso di Cavallo. Lui ci aiuterà a trovare la linea.
Si rimise in cammino, e Boone la seguì. Adesso aveva l'impressione di procedere in salita, e la cosa era del tutto folle. Nella galassia non c'erano salite. Aveva attorno alle caviglie riccioli di polvere cosmica e le stelle gli sembravano molto più fitte e più rossicce di quelle che aveva visto prima.
Non c'era dubbio, procedevano lungo una salita molto ripida. Infine, a fatica, raggiunsero il punto più alto. E lassù scorsero Muso di Cavallo. Era fermo, e guardava davanti a sé.
Anch'essi si fermarono a osservare con lui l'oscurità turbinosa circondata da lampeggianti scintille di luce.
— Un vortice! — esclamò Enid. — Ruota su se stesso.
— È il centro della galassia — spiegò Muso di Cavallo. — È il centro di tutto. Un immenso buco nero che si divora la galassia. Ed è la fine di tutto.
Soffiava un vento freddo, anche se non si capiva come potesse soffiare. Portava con sé il brivido raggelante del vuoto, il bacio gelido della morte. Forse, pensò Boone, era il gelo nero del tempo, che sconfitto fuggiva dalla disintegrazione che divorava il centro della galassia.
— La fine di tutto, avete detto — obiettò Enid. — Non può essere la fine di tutto. Forse è la fine di questa galassia. Ma ci sono altre galassie. Le galassie sono infinite.
— Forse c'è qualcuno che sa queste cose — disse Muso di Cavallo. — Ma io non rientro nel loro numero. E neppure gli altri del mio popolo.
— E quelli che hanno fabbricato questa rappresentazione? Coloro che hanno preparato la carta stellare?
— Può darsi — le disse Muso di Cavallo. — Ma può anche darsi di no. Forse la verità potrebbe disseccare l'anima. O forse la risposta non esiste.
— Allora, tutto questo può andarsene al diavolo — disse Boone. — Io ritorno indietro.
— Non possiamo tornare indietro — gli rammentò Enid. — Non troviamo più la linea. La sottile linea bianca.
Muso di Cavallo mormorò sorpreso: — La linea? L'abbiamo perduta? Me n'ero totalmente dimenticato.
— Anche noi.
— Non è un problema grave — disse Boone. — La carta in cui ci troviamo, anche se si è molto dilatata, non può avere diametro superiore a qualche chilometro. Quando eravamo sulla Strada, mi era parso che fosse larga un centinaio di metri. Camminando in linea retta in una direzione qualsiasi, presto dovremmo essere fuori.
Muso di Cavallo gli spiegò: — Qui non ci sono linee rette. Ci sono solo linee intrecciate su se stesse, che sono un inganno dei sensi.
— Ma voi avete raggiunto il centro — disse Boone. — Siete corso avanti, e avete puntato direttamente verso questo punto. Siete arrivato dove volevate. Non c'è stata nessuna linea intrecciata.
— Vero — disse Muso di Cavallo. — Mi sono diretto verso il centro. Ho sentito delle leggende. Il centro è un punto molto interessante, e ci sono arrivato con il mio intuito. Molto tempo fa avevo sentito parlare della distesa di nulla…
— È una cosa nota — gli disse Boone. — Già gli astronomi della mia epoca conoscevano il centro della galassia. Sapevano che al centro di molte galassie c'è una grande turbolenza, e alcuni pensavano che ci fosse un buco nero.
— Tutta questa disquisizione non serve a niente: — disse Enid. — Adesso, il problema è trovare la linea bianca.
— Non c'è bisogno della linea bianca — disse Boone. — Possiamo uscire anche senza trovarla. Basta camminare in linea reta per trovare il bordo.
— Non mi avete ascoltato — disse Muso di Cavallo. — Vi ho detto che una linea retta, come quelle che voi conoscete, non esiste qui. Tutto è intrecciato e contorto. È un labirinto di grande complessità.