— Gli alberi sono il nemico — disse il primo robot. — Noi combattiamo contro di loro per rivendicare i nostri diritti.
— Dite delle grandi sciocchezze — esclamò Horace. — dei normali, pacifici alberi, come possono essere vostri nemici?
— Certo saprete — disse il secondo robot — che una volta spariti tutti gli uomini… gli alberi prenderanno il loro posto come razza dominante della Terra.
— Ho già sentito questi discorsi — disse Timothy, rivolto al consesso dei robot. — Sia sotto forma di chiacchiere, sia di riflessioni filosofiche. Non ci ho mai badato, anche se nostra sorella Enid pensava che fosse una splendida idea. Secondo lei, gli alberi, come razza dominante, non sarebbero aggressivi e non darebbero fastidio alle altre forme di vita.
— Tutte parole a vanvera — gridò Horace. — Enid è nota per il suo modo di pensare arzigogolato. Gli alberi non hanno organi di senso. Non possono fare niente. Crescono in un punto e non si muovono mai da lì. Dopo un tempo più o meno lungo cadono a terra e marciscono, e la cosa finisce.
— Ci sono certe leggende… — cominciò Emma, parlando nel suo tono di voce più timido, che era davvero molto timido.
— Le leggende sono delle sciocchezze — gridò Horace. — Tutto questo discorso è una sciocchezza. Solo uno stupido robot può dare retta a queste sciocchezze.
— Noi non siamo affatto stupidi, signore — obiettò il secondo robot.
— Suppongo — s'intromise Timothy — che la vostra ostilità nei confronti degli alberi sia dovuta alla convinzione che dovreste essere voi i successori degli uomini.
— Certo — disse il primo robot. — È esattamente quello che pensiamo. Abbiamo ogni ragione per considerarci gli eredi dell'uomo. Noi siamo un prolungamento della razza. Siamo fatti a immagine della razza. Pensiamo come gli uomini, e il nostro comportamento è stato modellato su quello degli uomini. Siamo gli eredi dell'uomo, ma ci è stata sottratta la sua eredità.
Emma disse: — C'è Spike che fa ritorno. E c'è qualcosa con lui.
— Non lo vedo — disse Horace.
— Dietro l'angolo del monastero. Spike è accompagnato da una cosa che è più grande di lui, e le corre dietro. Vengono verso di noi.
Horace si sforzò di guardare e infine riconobbe le due figure. Riconobbe immediatamente Spike a causa del suo modo di camminare ora in una direzione ora in un'altra, ma per qualche tempo non riuscì a capire chi era l'altro.
Poi un debole raggio di sole colpì un punto particolare, e non ci furono più dubbi. Anche da quella distanza vide la rete simile a una ragnatela e l'unico occhio scintillante.
Emma disse: — È un altro di quei mostri assassini. Spike gioca con un mostro assassino. Giocherebbe con qualsiasi cosa.
— Non gioca — disse Horace, che si sentiva strozzare dalla collera. — Lo spinge verso di noi.
Lungo il pendio, notò in quel momento, c'erano meno robot di prima. Mentre osservava la scena, vide che i robot si allontanavano senza fretta, diretti verso la cima dell'altura.
Domandò a Timothy: — Che fucili abbiamo, nel viaggiatore?
— Non lo so — disse Timothy. — Ti sei occupato tu dell'equipaggiamento. Ti sei preso la mia collezione di armi senza neppure avvertirmi. Le hai portate via come se fossero tue.
Emma strillò: — I robot se ne stanno andando. Scappano. Non ci sono di nessun aiuto.
Horace sbuffò. — E chi ha mai pensato di farsi aiutare? Sono una tribù di fifoni. Io non mi sono mai aspettato niente da loro.
Risalì sulla rampa. — Credo che ci sia un trenta-zero-sei — rifletté. — Non è di grosso calibro, ma con le cartucce ad alta penetrazione dovrebbe essere in grado di abbattere qualsiasi cosa.
— La migliore soluzione — disse Emma — sarebbe quella di risalire sul viaggiatore e partire.
Timothy ribatté con irritazione: — Non possiamo partire senza Spike. Fa parte della famiglia.
— È lui — disse Emma, piccata — la causa di tutti i nostri guai. Ne combina sempre una nuova.
Tutti i robot erano spariti. Il pendio, al di sotto del viaggiatore, era vuoto: non ne rimaneva uno. Non importa, pensò Horace, dopo essersi dato un'occhiata attorno. Anche se fossero rimasti, non sarebbero serviti a niente. Esseri abituati a scappare.
Il mostro, spinto da Spike, ormai era vicino. I due avevano coperto metà della distanza tra il monastero e i piedi della collina.
Horace rientrò nel viaggiatore. I fucili erano nel posto che sapeva, con la canna che sporgeva da sotto la pila delle coperte. Una doppietta e un fucile 30.06.
Prese il 30.06 e tirò indietro l'otturatore. Nella camera c'era una cartuccia e il caricatore era pieno.
Per qualche tempo ci furono dei rumori all'esterno: rumore di piedi che correvano, di ciottoli smossi che rimbalzavano sulla collina. Horace l'aveva notato mentre ispezionava il fucile, ma adesso, improvvisamente, il rumore divenne più forte: un rimbombo. Un sasso molto più grosso di un ciottolo picchiò sul viaggiatore con un forte rumore metallico. Ancora ferma accanto alla rampa, Emma gridava qualcosa. Horace non riuscì a capire le parole.
Si girò verso il portello e uscì. Dall'esterno giungevano non solo le urla di Emma, ma anche il rumore sordo di oggetti pesanti che cadevano al suolo.
Non poteva essere il mostro assassino, spinto verso di loro dal perverso Spike, poiché quando Horace era entrato nel viaggiatore, i due erano ancora lontani.
Quando giunse sulla rampa, vide una scena totalmente assurda, con centinaia di robot carichi di utensili e di tronchi. Quelli che portavano tronchi li andavano a scaricare in punti ben determinanti, poi si voltavano e andavano a prenderne altri.
Altri robot con pale, picconi, palanchini e scuri, si erano messi al lavoro sollevando un grande polverone.
I tronchi venivano infilati in fori profondi, in modo che sporgessero all'infuori. Altri tronchi si trasformavano in assi squadrate sotto i colpi bene assestati delle lunghe scuri. I succhielli mordevano il legno per preparare i fori dei massicci cavicchi, e infine altre squadre di robot mettevano le assi al loro posto, costruendo quelle che a prima vista parevano strutture senza capo né coda.
Timothy disse, piano: — Avete visto, stanno montando quella che in sostanza è una linea di difesa nello stile degli antichi Romani. Fortificazioni basse, su più file, con un fossato davanti a ciascuna fila, collocate in modo da sostenersi tra loro. Quelle altre strutture sono catapulte, destinate a spezzare gli attacchi nemici in massa. La difesa è basata sul classico modello romano. Tuttavia, i nostri robot esagerano.
Su tutte le alture che circondavano la valle circolare in cui sorgeva il monastero, altri gruppi di robot erano al lavoro. Qui e là si alzavano volute di fumo dai falò accesi dai robot. A giudicare da quei segni, la legione dei robot si preparava ad acquartierarsi laggiù.
— Non credo che questi ròbot siano degli studiosi di storia romana — disse Timothy. — L'Impero Romano non è che un granello di storia in mezzo a un mucchio di polvere. Ma il suo modo di pensare e i suoi principi d'ingegneria sono fondamentali, tanto oggi quanto nei tempi antichi.
— Ma perché? — si lamentò Emma. — Perché ci fanno una cosa come questa?
— Non lo fanno contro di noi — gridò Horace. — Lo fanno per noi. Lo costruiscono per noi. Vogliono proteggerci. Senza bisogno. — Scosse il fucile per mostrarlo agli altri. — Se non si fossero messi in mezzo, ci saremmo potuti proteggere con questo.
Nella pianura, un piccolo turbine di polvere si muoveva a zig-zag, prima di un lato e poi dall'altro.
— Sono Spike e il mostro — spiegò Timothy. — Il mostro, vedendo quel che succede, cerca di allontanarsi, probabilmente per tornare all'interno del monastero. E Spike è altrettanto deciso a spingerlo verso di noi.