Non ci furono ulteriori avvistamenti del velivolo che era sceso su di loro il giorno del loro arrivo, anche se Timothy aveva l'impressione di essere costantemente spiato.
A volte scorgevano sul fianco di una montagna Spike e il mostro. Anche se non ne era certo, Timothy aveva l'impressione che Spike avesse ottenuto un vantaggio, e che fosse lui a spingere il mostro, dove voleva.
L'altipiano pareva interminabile. Continuarono a camminare un giorno dopo l'altro, e niente cambiò. Le montagne mantennero la loro distanza, senza mai sembrare più vicine. Non si aveva alcuna percezione delle distanze. Ai piedi di una delle montagnole, trovarono una fonte e poterono riempire i secchi vuoti. Il rigagnolo che nasceva da quella fonte correva per poche centinaia di metri prima di essere assorbito dal terreno asciutto. Horace brontolava ormai senza interruzione; Emma continuava a fregarsi nervosamente le mani. Conrad non si occupava di loro; continuava a marciare, penetrando sempre di più all'interno di quel territorio brullo.
Un pomeriggio il paese cambiò, la pianura venne interrotta da un canyon. Dal ciglio del precipizio videro in fondo al canyon un fiume, accompagnato da strisce di vegetazione molto folta su entrambi i lati. Alla loro sinistra sorgeva un'alta collina, il cui fianco occidentale era stato eroso nelle epoche geologiche dal fiume che aveva scavato anche il canyon. Tra la collinetta e il canyon si stendeva un breve tratto piano su cui sorgevano le rovine di un'antica città.
Non persero molto tempo tra le rovine. I robot trovarono uno stretto sentiero che conduceva al fondo del canyon e che si snodava sul fianco di un'alta parete di roccia rossa. Alla fine del sentiero, la roccia rientrava su se stessa, e formava un largo tetto, da cui giungeva un soffio d'aria più fresca: un sollievo, dopo il sole cocente.
Conrad, seguito dai tre umani, si mise al riparo sotto la tettoia naturale.
— Qui — disse Conrad — ci fermeremo per un po'. Non è proprio ciò che speravo di trovare, ma saremo protetti mentre prepariamo la nostra prossima mossa. L'acqua del fiume è poco distante. E lungo la riva possiamo trovare cibo adatto agli umani.
Emma si sedette in terra. — Mi piace — disse. — Possiamo toglierci dal sole fino al tramonto. E non ci sarà bisogno di razionare l'acqua. Forse potrò fare il bagno.
— È meglio che niente — disse Horace, brontolando. — Meglio che stare là fuori all'aperto.
Il giorno seguente, un robot mandato in esplorazione trovò i rottami. Erano alla base del monte da cui aveva origine il canyon. Il mucchio era largo di base e si spingeva fino a metà della montagna. Il robot ritornò di corsa, annunciando la notizia. Tutti corsero a vedere la scoperta.
La maggior parte dei rottami era di metallo. In origine, senza dubbio, doveva esserci molto altro materiale, ma nel corso dei millenni le parti meno robuste si erano consumate. Solo il metallo, alcune pietre bizzarramente sagomate e qualche grosso pezzo di legno erano rimasti. La cosa strana era che il metallo non si era deteriorato. Era ancora liscio e lucido; non c'era segno di ruggine.
— Una lega — disse Conrad — sconosciuta sulla Terra. Questa roba sembra ancora nelle condizioni di quando l'hanno gettata via.
I pezzi metallici avevano ogni forma e dimensione: c'erano minuscole piastrine, parti isolate lavorate a macchina, strumenti e utensili rotti, metallo modellato secondo forme complicate e in blocchi massicci. Qualche pezzo era genericamente riconoscibile; altri sfidavano l'immaginazione. I robot distesero sul terreno le parti maggiormente accessibili e continuarono a esaminarle, perplessi.
— Una tecnologia aliena — disse Conrad. — Potremmo impiegarci tutta la vita, per capire che cosa sia questo materiale.
Era chiaro che i rottami erano stati scaricati dal ciglio del canyon, forse dagli abitanti della città abbandonata che adesso era ridotta a un cumulo di rovine.
— È un mucchio di rottami molto grande, per una città così piccola — disse Horace.
— Poteva essere la discarica pubblica di una zona più grande. — Disse Timothy. — Un tempo, nella pianura che abbiamo attraversato, potevano esserci molte altre città. Forse era una zona agricola assai popolata. Poi venne la siccità e la base economica della zona scomparve…
— Possiamo utilizzare il metallo — gli disse Conrad. — Possiamo costruire le macchine che ci occorrono.
— Intendi dire che dobbiamo starcene qui nascosti mentre voi pensate alle macchine? Che genere di macchine? — chiese Horace.
— Utensili, per prima cosa.
— Avete i vostri utensili. Avete zappe e vanghe, asce e seghe, picconi e palanchini…
— Armi — disse Conrad. — Armi migliori di quelle che abbiamo adesso. Archi migliori. Frecce che vanno dritto. Questo metallo è forte ma flessibile. Eventualmente, balestre. Aste e lance. Catapulte.
— Ti diverti! — esclamò Horace. — Hai trovato un mucchio di oggetti nuovi, e ti vuoi divertire a…
— Insieme — continuò Conrad — possiamo costruire un carro per portare l'acqua e il cibo che raccogliamo. I nostri robot possono tirare il carro e un'eventuale carrozza. E potremmo anche costruire una motrice a vapore…
— Tu sei pazzo! — esclamò Horace.
— Penseremo a tutto — disse Conrad. Metteremo al lavoro il cervello.
Nei giorni successivi lo misero al lavoro. Fecero dei conciliaboli. Tracciarono disegni sulla sabbia. Andarono a scavare il carbone in un giacimento posto a un chilometro di distanza, prepararono una forgia e si misero all'opera. Horace era più nervoso che mai. Emma, ricordando le giornate passate sull'altopiano, era contenta di starsene in un posto dove c'era l'acqua e non batteva il sole. Timothy si recò in giro a esplorare.
Risalì il sentiero che portava all'altopiano e passò lunghe ore nell'esplorazione delle rovine della città. Frugando nella sabbia e nella polvere trovò di tanto in tanto qualche manufatto: armi primitive; sbarre lunghe fino a un metro fatte di metallo, con tracce di ruggine; ceramiche dalla forma strana, che potevano essere idoli. Si sedette a guardare ciò che aveva trovato, ma non riuscì a cavarne un senso. Comunque, le rovine esercitavano su di lui uno strano fascino, e vi ritornò varie volte.
Laggiù, chissà quanti millenni prima, era vissuta una forma di vita intelligente che aveva avuto una società e un'economia evoluta. Che tipo di intelligenza fosse stata le rovine non lo lasciavano capire. Le porte degli edifici erano circolari e talmente piccole che Timothy vi entrava a malapena. Le stanze erano talmente basse da costringerlo a camminare carponi per esplorarle. Non c'erano scale che conducessero ai piani superiori, ma soltanto pertiche metalliche troppo lisce per arrampicarsi.
Alla fine si decise a salire sulla massiccia collinetta tronca. I suoi fianchi erano pieni di massi in equilibrio precario, che quando li sfiorava minacciavano di cadergli addosso. Tra un masso e l'altro c'era della ghiaia scivolosa, su cui doveva salire con attenzione, per non smuovere i massi.
Forse, si era detto, gli abitanti della città avevano messo in cima alla collina un posto di guardia, a scanso di possibili invasioni da parte di popolazioni straniere, o per controllare le mandrie, o per scopi che non riusciva a immaginare. Ma in cima trovò solo una distesa di rocce, sabbia e argilla su cui non cresceva nessuna pianta; sulla roccia non c'era nessun lichene. Il vento fischiava attorno a Timothy, che giudicò quella vetta il fazzoletto di terra più desolato che avesse visto.
Sotto di lui si stendeva un panorama affascinante sui colori giallastri dell'altopiano che avevano attraversato si stagliavano altre montagnole come la sua, più scure del piano; a ovest si scorgeva il canyon, rosso come una ferita, e al di là del canyon il profilo spezzato di una catena di montagne azzurrine.