Raggiunse il bordo occidentale della spianata rocciosa e studiò il canyon sotto di lui, cercando qualche traccia del lavoro dei robot. Ma non riuscì a vedere alcun segno di attività. La lunga striscia blu del fiume serpeggiava sul fondo del canyon, in mezzo a due piccoli bordi verdi di vegetazione. Dietro il fiume, la parete rossa del canyon saliva fino a confondersi con l'intenso colore giallo dell'altipiano.
Ormai era il momento di scendere dalla montagnola: doveva scendere con molta attenzione, poiché la discesa poteva essere più pericolosa della salita.
Udì alle sue spalle il rumore di una pietra smossa, e si affrettò a voltarsi. Il cuore gli balzò in gola. Il mostro assassino correva verso di lui, e dietro il mostro c'era Spike, che si muoveva velocemente in direzioni casuali.
Timothy si affrettò a scansarsi per non farsi scorgere dal mostro. Questi, che probabilmente non aveva visto l'abisso che si spalancava sotto di lui, si lanciò a sua volta di lato, puntando sull'umano. Rapidamente, Spike si mosse in modo da spingerlo altrove, e il mostro si voltò nella nuova direzione. Timothy inciampò e cadde. Con la coda dell'occhio vide che il mostro, benché lottasse disperatamente per fermarsi, oltrepassava il ciglio del precipizio e cadeva. Per un attimo parve rimanere sospeso a mezz'aria, poi scomparve.
Timothy si rialzò e corse al ciglio del precipizio in tempo per vedere il mostro piombare contro un masso, sul fianco della montagnola, rimbalzare nell'aria, e infine frantumarsi. I frammenti volarono in tutte le direzioni e caddero in fondo al canyon, suddividendosi in pezzi sempre più piccoli.
Timothy si voltò verso Spike, che era a pochi passi da lui: lo vide intento a danzare una danza di vittoria, girando su se stesso, balzando nell'aria, scivolando sul terreno.
— Tu e i tuoi maledetti giochi! — gridò, pur sapendo che se era stato un gioco, era stato un gioco mortale.
— Dunque — proseguì poi — finalmente l'hai fatto fuori. Non hai mai abbandonato la tua preda. Quel primo giorno lo hai spinto verso di noi, sperando che Horace gli sparasse. Poi, anche quando quel piano è andato in fumo, hai continuato a dargli la caccia.
Spike si era fermato, e si limitava a oscillare avanti e indietro.
— Spike — gli disse Timothy. — Ti abbiamo sottovalutato. In tutti questi anni ti abbiamo sempre preso per un pagliaccio. Vieni, scendiamo a raggiungere gli altri. Saranno lieti di vederti.
Ma quando si avviò verso la strada da cui era salito, Spike si mise davanti a lui. Timothy si diresse da un'altra parte, ma Spike gli bloccò la strada anche questa volta.
— Maledizione, Spike — gridò Timothy. — Adesso ti metti a spingere me? Non lo sopporto.
Udì un debole ronzio e si voltò per, vedere che cosa fosse. Era un lucente velivolo che scendeva nella loro direzione: era simile a quello che li aveva spiati il giorno del loro arrivo. Toccò delicatamente terra e non si mosse più. La parte superiore si sollevò con lentezza, e Timothy poté vedere la creatura che lo pilotava: un mostro. Testa molto piccola, spalle esageratamente larghe. Quello che sembrava un naso si suddivideva in due antenne gemelle. Dalla nuca spuntavano alcune penne di colore rosso che sembravano la cresta di un uccello. Un singolo occhio composito sporgeva tra il naso e la cresta rigida. L'alieno si voltò verso Timothy ed emise una serie di pigolii.
Timothy fece qualche passo in direzione del velivolo, per vedere il suo mostruoso pilota. Provava una forte curiosità. Di fronte a lui c'era una forma di vita intelligente, di ordine superiore a quello degli abitanti della città in rovina. Spike raggiunse Timothy e si mise al suo fianco, poi passò rapidamente dietro di lui e si mise dall'altra parte, per spingerlo in avanti.
— Non c'è bisogno di spingermi — disse Timothy, ma Spike continuò a spingere e a girare su se stesso. Timothy fece qualche passo, dicendosi che era lui a volersi avvicinare per vedere il pilota: non era Spike a costringerlo…
Raggiunse la parte posteriore del velivolo e toccò il metallo. La superficie era tiepida e liscia. All'interno sotto la calotta sollevata, c'era quello che sembrava uno scompartimento per passeggeri. Non c'erano sedie, ma il pavimento e le pareti erano imbottiti e si scorgevano dei tubi metallici che potevano servire come mancorrenti.
Comunque, Timothy non aveva intenzione di entrare nel velivolo. Si voltò a guardare cosa facesse Spike, e vide che si precipitava contro di lui. Inciampò contro il bordo dell'apparecchio e cadde all'indietro. Svelto come il fulmine, Spike balzò dentro, il portello si chiuse e l'apparecchio si staccò da terra.
Catturato, si disse Timothy. Rapito da Spike e da quell'orrendo pilota, che lo stavano portando in un posto dove non aveva avuto alcuna intenzione di andare. Provava un po' di timore, ma non molto. Soprattutto, era offeso per il modo.
Si rialzò in piedi, e tenendosi alla ringhiera, guardò fuori. Scorse la parete del canyon illuminata dal sole, le sue rocce rosse.
La famiglia si era dispersa e adesso si era dispersa ancora di più. Si domandò vagamente se fosse mai destinata a ricostituirsi, e temette di no. I suoi familiari venivano spostati in giro come pedine di una scacchiera. Qualcuno o qualcosa si stava servendo di loro.
Gli ritornò in mente Hopkins Acre, e ripensò a quanto gli piaceva quel luogo: l'antico edificio nobiliare, il suo studio con le pareti tappezzate di libri, la scrivania coperta dai suoi scritti, l'ampio prato, gli alberi, il ruscello. Era stata una vita piacevole, e laggiù lui aveva svolto il suo lavoro; ma, ripensandoci, si domandò quale fosse il suo lavoro. A quell'epoca gli era parso importante, ma lo era stato davvero? Tutto sommato, che risultati aveva ottenuto?
Il canyon era scomparso dietro l'orizzonte, e adesso volavano a bassa quota sopra l'interminabile deserto dell'altopiano. Sotto lo sguardo di Timothy, comunque, parte del colore marrone scomparve gradualmente, e ricomparve il colore giallo della prateria, inframmezzato da ruscelli e boschi. L'aridità del deserto si era allontanata alle loro spalle.
Davanti al velivolo s'innalzavano le montagne, molto più alte di quanto gli erano parse in precedenza: picchi che trafiggevano il cielo, facce di roccia nuda che fissavano la pianura. Per un attimo ebbe l'impressione che l'apparecchio andasse a schiantarsi contro la parete della montagna, ma all'ultimo momento si aprì davanti a loro uno spazio, con alte pareti di roccia ai lati. Per qualche istante l'aereo volò tra pareti rocciose; poi la roccia si aprì bruscamente e lasciò il posto a una valle verde e ampia, chiusa tra gli alti monti. Nel fondo della valle correva un'alta catena rocciosa, e sui fianchi di questa catena, a metà altezza, sorgeva una parete bianca che sembrava fatta di madreperla. In cima c'era un gruppo di palazzi bianchi e altissimi, oltre ad alberi e ad altri edifici che sembravano abitazioni. Alcuni avevano la forma di capannoni, altri sembravano bungalow, altri ancora semplici baracche, e infine ce n'erano molti che non assomigliavano ad alcun edificio a lui noto.
L'aereo volò sulla catena interna e raggiunse la sua parte più alta: qui si diresse verso un prato verde, accanto al quale sorgeva una casa. Toccò terra, e la calotta trasparente si sollevò. Il pilota disse qualcosa, e Spike scese a terra. Un po' confuso, Timothy lo seguì e si fermò a poca distanza dall'apparecchio. Poi osservò la casa… e rimase senza fiato per la sorpresa. A parte poche differenze, era la casa di Hopkins Acre.
Una creatura deambulante che aveva corpo sottile, gambe arcuate, braccia ciondolanti, era intanto uscita dalla casa e si dirigeva verso di loro. Si fermò davanti a Timothy e gli disse nella sua lingua: — Sono il vostro interprete e accompagnatore, e spero di essere in futuro anche vostro amico. Potete chiamarmi Hugo; naturalmente, non è il mio nome, ma credo possiate pronunciarlo senza difficoltà.