Timothy trangugiò a vuoto. Quando fu nuovamente in grado di parlare, domandò: — Potete spiegarmi cosa succede?
— Tutto a tempo debito — disse Hugo. E aggiunse. — Prima, permettetemi di accompagnarvi alla vostra abitazione. È stato preparato un pasto per voi.
Si avviò verso la casa, seguito da Timothy e da Spike che correva qui e là al loro fianco. Alle loro spalle, il velivolo si alzò nuovamente in volo.
C'era qualche piccola differenza, ma l'edificio sembrava sotto tutti gli aspetti una buona copia di Hopkins Acre. L'erba era tagliata, gli alberi erano al posto giusto, il profilo del terreno era molto simile. C'era una sola differenza: dovunque si posassero gli occhi si scorgeva una parete di montagne, mentre a Hopkins Acre la montagna più vicina distava centinaia di chilometri.
Giunti alla casa salirono gli scalini di pietra fino alla porta massiccia. Spike li aveva lasciati e ruzzolava allegramente sul prato.
Hugo aprì una delle porte e lo fece entrare. C'erano senza dubbio delle differenze, ma occorreva un po' di tempo per notarle. Davanti a lui c'era il soggiorno, ancora buio, con sagome scure che erano mobili, e subito dopo la sala da pranzo con la tavola apparecchiata.
— C'è un arrosto di abbacchio — disse Hugo. — A quanto sappiamo è uno dei vostri piatti favoriti. Non ce n'è molto, ma siamo soltanto in due a mangiare.
— Abbacchio… qui!
— Quando facciamo una cosa quaggiù — disse Hugo — la facciamo nel modo migliore possibile. Abbiamo un grande rispetto per le varie culture che risiedono in questa comunità.
Timothy entrò in camera da pranzo. La tavola era apparecchiata per due, e dalla cucina giungeva rumore di stoviglie.
— Naturalmente — disse Hugo — non troverete i fucili di Horace nella stanza delle armi, anche se la stanza delle armi c'è. C'è anche il vostro studio, ma, ahimè, è vuoto. Non abbiamo potuto duplicare i vostri libri e i vostri appunti, e la cosa ci spiace, ma c'erano delle limitazioni che non siamo riusciti a superare. Sono certo comunque che potremo fornirvi del materiale adatto a sostituire i vostri libri.
— Ma… aspettate un attimo — disse Timothy. — Come potete sapere di Horace e dei fucili, del mio studio e dei miei libri, e dell'abbacchio? Come lo sapete?
— Riflettete un attimo — gli disse Hugo — e poi cercate di indovinare…
— Spike! Per tutti questi anni ci siamo allevati la serpe in seno!
— Non una serpe. Un osservatore molto diligente. Se non fosse stato per lui, non sareste qui.
— E gli altri, Horace ed Emma? Voi mi avete rapito. Non potete andare a prendere anche gli altri?
— Penso che la cosa si potrebbe fare. Ma per ora non è nei nostri programmi. La persona che ci interessa siete voi.
— Io? Perché vi servo proprio io?
— Lo saprete a tempo debito. Comunque, vi assicuro che non correte alcun pericolo.
— Anche gli altri due sono umani. Se vi occorrono umani…
— Non solo umani. Un certo tipo di umani. Riflettete bene e ditemi la verità. Vi piace Horace? Ammirate il suo modo di pensare?
— Be' no. Ma Emma…
— Non sarebbe felice senza Horace. È diventata molto simile a lui.
Era vero, fu costretto ad ammettere Timothy. Emma amava Horace, ed era arrivata a pensarla come lui. Ma, anche così, non era giusto lasciare quei due nell'arido deserto mentre, a quanto pareva, lui era destinato a vivere laggiù.
— Vi prego, accomodatevi — gli disse Hugo. — Il vostro posto è a capotavola, poiché siete il signore della tenuta, e da signore dovete condurvi. Io siederò alla vostra destra, poiché sono il vostro braccio destro. Forse vi sarete accorto che sono un umanoide; il mio sistema organico funziona pressappoco come il vostro e anch'io ingerisco il cibo, pur se ammetto di avere incontrato qualche difficoltà ad abituarmi al vostro tipo di cibo. Ma ora sono giunto ad apprezzare molti dei vostri piatti. L'abbacchio è il mio preferito.
— Ma noi mangiamo anche altre cose — disse Timothy, un po' seccato.
— Oh, lo so. Spike, vi devo dire, non ha trascurato nessun particolare. Ma ora sedete; avvertirò in cucina che siamo arrivati e che abbiamo fame.
Timothy si sedette a capotavola. Notò che la tovaglia era pulita, bianca come la neve, e che i tovaglioli erano piegati nella maniera giusta. Chissà perché, la cosa lo tranquillizzò. Hugo suonò il campanello e si sedette alla destra di Timothy. — Qui — disse — abbiamo del porto eccellente. Volete assaggiarlo?
Timothy annuì. Tre altri umanoidi, copie quasi esatte di Hugo, uscirono dalla cucina. Uno di loro portava il piatto con l'arrosto. Vide che parte della carne era stata tagliata a fette, e quella, pensò con soddisfazione, era una dimenticanza di Spike. Arrosti e volatili non si devono tagliare a fette in cucina; il taglio della carne è un rito da consumare sulla tavola. Un altro umanoide portò una zuppiera di minestra e la servì, versandola nei piatti fondi. Il terzo posò sulla tavola un grande piatto di verdura cotta.
La minestra era ottima, con verdura, pezzi di prosciutto e pasta. Al primo cucchiaio si accorse di avere fame. Dimenticando ogni regola dell'etichetta, la consumò con quella che Conrad avrebbe certo definito una fretta disdicevole.
— Squisita, vero? — domandò Hugo. — Quella Becky è diventata un'ottima cuoca, ma ci abbiamo messo molto tempo.
Continuò a chiacchierare: — La vostra servitù non ha la mia padronanza della lingua. Capisce qualche parola semplice e può dare delle risposte elementari, ma non è in grado di sostenere una conversazione. È un vero peccato che non siate telepatico, ma in tal caso avrei dovuto fare a meno del piacere di servirvi.
— Gli individui di questa comunità sono telepatici? — domandò Timothy.
— Non tutti, ma la maggior parte sì, e inoltre abbiamo il basico. Ma voi non lo conoscete, e ci vorrebbe del tempo per insegnarvelo.
— Il basico?
— Una lingua comune. Una lingua artificiale creata unendo parole facili, provenienti da molte lingue diverse. Con una grammatica rudimentale, naturalmente e priva di eleganza, ma chi parla basico riesce a farsi capire. Ci sono molte razze che non comunicano mediante i suoni, e neppure con la telepatia. Comunque, si è trovato il modo di farsi capire da tutti.
Finirono di mangiare e si appoggiarono allo schienale della seggiola.
— E adesso — disse Timothy — volete spiegarmi esattamente dove ci troviamo? Che tipo di posto è questo?
— Questo potrebbe richiedere delle spiegazioni molto lunghe — disse Hugo. — Per ora, diciamo che siamo in un centro galattico composto da molte culture provenienti da pianeti assai lontani tra loro. Siamo pensatori e ricercatori. Cerchiamo di capire il senso dell'universo. Qui, in questo centro, ci incontriamo per conversare su un piano di parità. Mettiamo in comune il nostro pensiero, le nostre teorie e le nostre scoperte. Si formulano delle domande, si cercano le risposte.
— Allora — disse Timothy — nel mio caso avete preso un abbaglio. Non sono un grande pensatore, e sono molto lento. Devo rimuginare a lungo i miei pensieri prima di metterli sulla carta. Per me la matematica è un totale mistero, e non conosco la scienza. Quel poco che sono riuscito a capire, l'ho imparato da solo. Non ho seguito nessun corso regolare. Non ho titoli di studio. Mi affascinano la storia e la filosofia. Ho cercato, nel corso di molti anni, di comprendere i motivi che hanno indotto la mia razza a seguire una certa strada, ma le risposte che ho trovato sono molto limitate. Non riesco a capire come Spike…
— Spike — disse Hugo — ha visto in voi più cose di quante ne vediate voi stesso.
— Non riesco a crederlo. Spike ha sempre dato l'impressione di essere sciocco. Si divertiva con giochi stupidi. Ne aveva uno, per esempio, in cui saltava da un quadrato all'altro, salvo che non c'era nessun quadrato. Erano quadrati immaginari.