Si passò il fucile sull'altra spalla e riprese la salita. Giunse alla porta, aspettandosi di rivedere lassù il vecchio, ma non vide nessuno. Forse il vecchio lupo dello spazio era sulle montagne, a parlare con le sue pietre e i suoi alberi.
Corcoran si fece strada tra le rovine della città, ripercorrendo il cammino della volta precedente. Ma non vide l'albero.
Giunto in cima alla collina, scorse finalmente un tremolio nel cielo, e dopo un passo vide l'albero: quell'incredibile, enorme albero che saliva alle stelle. Dopo un altro passo, l'albero divenne più nitido e Corcoran poté scorgere la scala che saliva attorno al tronco.
Ansimando per la fatica, corse verso la scala. Rimani lì, la pregò. Non andartene.
La scala rimase al suo posto, e divenne sempre più reale man mano che lui si avvicinava. Alla fine Corcoran si lasciò cadere ai suoi piedi, esausto. Allungò la mano e posò il palmo contro la corteccia, che era ruvida e robusta, uguale a quella di qualsiasi albero… a parte l'altezza e la dimensione.
La scala, poté vedere, era di metallo spesso e aveva anche una ringhiera.
Si alzò e si diresse verso la scala, poi si fermò e tornò a sedere. No, disse, prima voglio riprendere fiato, prima voglio essere pronto. Posò a terra il fucile e si sfilò dalle spalle lo zaino. Lo aprì e controllò il contenuto: cibo, una borraccia, una giacca pesante, una coperta per riscaldarsi di notte e un rotolo di corda per legarsi alla scala, nel caso avesse dovuto passare la notte lassù.
Rifece lo zaino e si appoggiò all'albero. Soltanto quando sarò pronto, si disse. Sotto di lui si stendevano le rovine, e più in basso la valle dove lui e David avevano seguito un sentiero che portava a una piccola comunità.
Un quarto d'ora più tardi, si alzò, si mise in spalla lo zaino, raccolse il fucile e si avviò lungo la scala. La salita non era difficile, la distanza tra uno scalino e l'altro era quella a cui era abituato, la ringhiera era robusta e gli dava un senso di sicurezza.
Non si guardò alle spalle finché non fu costretto a fermarsi. Poi guardò in basso e rimase sorpreso nel vedere quanta strada avesse percorso: dovette sporgersi dalla ringhiera per vedere le rovine che giacevano alla base dell'albero. Da quella altezza sembravano soltanto un mucchio di pietre grigie. Le mura che le circondavano sembravano soltanto una sottile linea più volte interrotta. Dietro le rovine si stendeva una distesa verde di monti, rotta occasionalmente dal riflesso argenteo di qualche fiume. Sollevando lo sguardo verso la cima dell'albero il tronco sembrava non avere mai fine. Saliva dritto verso il cielo fino a scomparire in mezzo all'azzurro.
Continuò a salire. Quando si fermò la seconda volta, per riposare, non riuscì a distinguere le rovine. Le colline che si stendevano tutt'intorno alla base non davano alcun senso di profondità. Il diametro dell'albero sembrava essersi ridotto, anche se rimaneva assai più grande di quello di qualsiasi albero ordinario.
Pensò di essere giunto a un'altezza di almeno cinque chilometri, anche se la cosa sembrava impossibile: nessuno poteva salire a una simile altezza facendo soltanto due brevi tappe. E non aveva notato diminuzione della temperatura o variazioni della densità dell'aria. L'enormità dell'albero non era la sola cosa impossibile, contraria a tutte le regole a lui note.
Si domandò se dovesse continuare a salire, e si chiese che cosa volesse dimostrare con la sua ascesa e che cosa si aspettasse di trovare. Ma i misteriosi effetti fisici collegati alla presenza dell'albero lo spinsero a continuare. Lassù, si disse, doveva esserci la risposta ai misteri incontrati fino a quel momento. Dopo avere fatto tanta strada, non poteva fermarsi. Se non fosse giunto alla cima sarebbe sempre rimasto con la curiosità di sapere cosa ci fosse lassù…
Mancava solo un'ora al tramonto quando riprese a salire; sotto di lui la terra era completamente avvolta nel buio, a eccezione di un'unica altissima montagna. Qualche tempo più tardi, si accorse di avere dimenticato il fucile su uno scalino. Ma il fucile non gli serviva; e non aveva voglia di andare a riprenderlo. Continuò a salire, e adesso, senza il peso del fucile, la salita era più agevole. Salì ancora, e giunse il crepuscolo: un crepuscolo non azzurrino come quello che lui conosceva, ma grigio. Presto, si disse, avrebbe dovuto fermarsi, legarsi a uno scalino con la corda che si era portato, mangiare qualcosa, cercare di dormire. Ma sapeva che avrebbe dormito poco.
Mentre saliva, cercava di pensare ai misteri dell'albero: la scala, la forza misteriosa che gli impediva di stancarsi e che manteneva costante intorno a lui la pressione atmosferica. La ragione gli diceva che un albero come quello non poteva esistere, e neppure una scala come quella, che si avvolgeva a chiocciola intorno al tronco per infiniti chilometri, senza mai avere limite.
Ma l'albero esisteva davvero, anche se pareva che soltanto lui, con la sua vista particolare, fosse in grado di vederlo. David non aveva scorto niente, e il vecchio, anche se pareva molto interessato agli alberi, non ne aveva fatto parola. Se qualcuno l'avesse visto, l'esistenza dell'albero sarebbe stata nota a tutti: un prodigio conosciuto in tutto il mondo, oggetto di infiniti commenti.
Pensando a questo, perse parte della concentrazione e non prestò attenzione a dove metteva i piedi. Inciampò nel bordo di uno scalino e allungò la mano istintivamente per afferrarsi alla ringhiera…
Qualcosa gli attraversò la vista, come un lampo. Tutto divenne nero. E scomparve ogni cosa…
Non c'era più la ringhiera. Cercò disperatamente di afferrarsi agli scalini per non precipitare. Ma non c'era nessuno scalino: si trovava su un terreno piatto, ed era steso a terra.
Perplesso e spaventato, sollevò la testa e non vide altro che una distesa grigia e piatta. L'albero e la sua scala elicoidale erano scomparsi.
Si alzò in ginocchio e si guardò attorno, ma continuò a vedere soltanto la pianura grigia. Nebbia grigia che si muoveva su una terra grigia.
Lentamente, si alzò in piedi. Davanti a lui, a poca distanza c'era una sorta di linea che correva sul terreno. La raggiunse, e vide che era una strada, la cui sfumatura di grigio era soltanto leggermente diversa da quella del terreno circostante. Era perfettamente rettilinea, e si stendeva a perdita d'occhio in entrambe le direzioni. In centro c'erano due strisce più scure che sembravano rotaie, come quelle dei tram della sua infanzia. E, come a confermare questa ipotesi, lontano ih mezzo al grigio, comparve una vettura tramviaria dall'aspetto molto antiquato, che si dirigeva verso di lui. In alto era coperta da un tenda a strisce, e nonostante il suo aspetto cigolante, non faceva alcun rumore. Corcoran si spostò per lasciarla passare, e la vettura venne a fermarsi davanti a lui, che, come se fosse la cosa più naturale del mondo, salì a bordo e si sedette senza farsi domande.
Non c'era dubbio, pensò poi; la vettura lo portava chissà dove, ma era meglio salire che rimanere fermo in mezzo a quell'interminabile grigiore. Comunque, anche dopo che fu salito, per qualche tempo il grigiore non cambiò; non c'era niente da vedere. Alla fine, però, cominciò a scorgere qualcosa in lontananza; un edificio a forma di cubo, e alcune persone che si muovevano accanto a esso. Tra l'edificio e il binario c'erano dei tavolini e delle sedie, ma parte della scena era coperta di una nebbia trasparente punteggiata di minuscole luci.
La vettura proseguì tranquillamente sui binari; quando fu quasi giunta all'edificio, Corcoran vide che due delle persone lo fissavano con attenzione. Una gli pareva familiare, e un istante più tardi la riconobbe. Senza aspettare che la vettura si fermasse, balzò a terra e le corse incontro.
— Tom! — gridò. — Grazie a Dio, sei proprio tu! Cosa fai qui? — Lo prese per le spalle. — Sono andato a cercarti — disse. — Ho trovato qualche traccia, ma…