Corcoran si staccò rabbiosamente da Boone. — Che diavolo è successo? — gridò. — Perché mi hai afferrato così?…
— L'albergo crolla — disse Boone. — Guarda dalla finestra. Guarda la polvere.
— Impossibile. Siamo ancora nell'albergo.
— No — disse Boone. — Siamo nella scatola che hai visto tu. Abbiamo girato dietro l'angolo.
— Diavolo! — esclamò Corcoran. — Intendi dire che…
— C'è voluta una crisi, Jay. Dovevo capirlo. Riesco a farlo solo all'ultimo istante, nel momento critico, quando non c'è più speranza.
Corcoran fissò Boone e disse, in tono d'accusa: — Mi hai voluto fare uno scherzo. Non mi hai avvertito.
— Non lo sapevo neppure io. Questa mia abilità da baraccone è una caratteristica di sopravvivenza. Non entra in gioco finché non c'è pericolo. È sempre successo così. È una risposta istintiva.
— Ma le altre volte, a quanto dici, sparivi solo per qualche istante. Poi ritornavi al punto di partenza. E adesso, invece? Ritorneremo indietro?
Boone scosse la testa. — Non credo. Le altre volte sono ritornato soltanto quando il pericolo era scomparso. Qui ci troveremmo sospesi a mezz'aria, in un edificio che ci crolla sotto i piedi. Se ritornassimo al punto di partenza, cascheremmo anche noi. E le altre volte non avevo nessun posto dove andare. Le altre volte mi trovavo in un limbo, un mondo piatto e grigio, senza connotati visibili. Ma questa volta siamo in un posto reale… in questa scatola.
— Allora ci siamo — disse Corcoran. — Siamo nel nascondiglio di Martin. Che cosa facciamo, adesso?
— Decidi tu — rispose Boone. — Mi hai chiesto di recarmi dietro un angolo. Io l'ho fatto e ti ho portato con me. Tu sei sempre quello che fa le domande. Adesso comincia a cercare le risposte.
Diede un'occhiata alla stanza in cui erano capitati. Il mobilio era strano: forma e funzione sembravano familiari, ma la disposizione era diversa da quanto ci si aspettava. Contro la parete, di fronte a loro, c'era quello che sembrava un caminetto, ma che probabilmente non lo era. Al di sopra del caminetto c'era una grossa forma rettangolare che forse era un quadro. Ma se lo era, pensò Boone, andava assai al di là delle concezioni più arzigogolate dell'arte moderna, e lui incontrava molta difficoltà a farlo rientrare fra le opere d'arte.
La stanza pareva galleggiare nell'aria senza difficoltà: non si scuoteva e non ondeggiava. Boone si domandò come fosse possibile. Era attaccata in qualche maniera all'albergo che si stava progressivamente trasformando in un mucchio di calcinacci. Eppure rimaneva al suo posto, anche senza il sostegno dell'edificio, a una trentina di metri di altezza.
Boone passò rapidamente a un'altra finestra. Alla debole luce dei lampioni stradali, si alzava sulla strada una bianca nuvola di polvere, e rimbalzava sul marciapiede una pioggia di mattoni rotti, di travi scheggiate e di pezzi di marmo. Non c'era dubbio: il vecchio Hotel Everest era caduto.
La stanza sobbalzò all'improvviso sotto i piedi di Boone e s'inclinò bruscamente; poi riprese la stabilità, mentre veniva percorsa da un fremito. Boone lasciò la finestra e si girò verso Corcoran, tenendo il respiro.
Il sobbalzo aveva sganciato uno dei lati del quadro, o di quel che sembrava un quadro, e dietro la cornice si scorgeva un pannello scuro incassato nella parete. Il pannello era coperto di strumenti scintillanti, e nel suo centro si scorgeva una luce rossa intermittente.
Corcoran era fermo a gambe divaricate e guardava il pannello. La luce rossa continuava ad accendersi e spegnersi.
All'improvviso, dal pannello giunse una voce che pronunciava frasi incomprensibili, parlando in fretta e in tono irritato.
— Parlate inglese! — gridò Corcoran. — Non potete parlare inglese?
La luce rossa si spense e la voce continuò in inglese, anche se con una strana pronuncia: — Certo, conosco la lingua. Ma perché in inglese? Sei Martin, vero? Dove sei stato? Perché non hai risposto?
— Non sono Martin — disse Corcoran. — Martin non c'è.
— Se non siete Martin, allora chi siete? Perché rispondete se la cosa non vi riguarda? Perché vi trovate in casa di Martin?
— Amico, chiunque siate — disse Corcoran — è una storia lunga e non c'è tempo di raccontarla. L'albergo è stato demolito, e noi siamo qui in casa di Martin, sospesi nell'aria, rischiando di cadere da un momento all'altro.
L'uomo che parlava dall'altra parte del pannello rimase senza fiato per la sorpresa. Poi disse: — Non vi agitate. Possiamo mettere a posto ogni cosa.
— Io non mi agito affatto — disse Corcoran. — Solo, credo che sia necessario il vostro aiuto.
— Vi aiuteremo. Ascoltate con attenzione.
— Ascolto con attenzione.
— Davanti a voi c'è un pannello. Impossibile non vederlo. Si accende quando la copertura viene tolta. E adesso dev'essere senza copertura.
— Maledizione, certo che è senza. Piantatela con queste bambinate, e ditemi che cosa devo fare. Il pannello è qui davanti a me. A che cosa serve? Come funziona?
— In basso a sinistra c'è una tastiera, un gruppo di pulsanti. Nella fila in basso; partite da destra, contate tre pulsanti e spingete il terzo.
— L'ho spinto.
— Adesso due pulsanti in su, a partire da quello che avete appena premuto, e spingete il secondo.
— Fatto — disse Corcoran.
— Adesso… non dovete fare niente, fino a mio ordine. In diagonale, verso l'alto e verso destra, contate tre pulsanti. Capito bene?
— Capito bene. Ho un dito sul pulsante prescelto.
— Aspettate a premerlo. Devo sapere il momento esatto in cui lo premete. Premendolo, passate a me il controllo, e io vi porto via dal posto dove siete.
— Volete dire che prendete il controllo del luogo dove ci troviamo e che lo portate da un'altra parte?
— Voglio dire proprio questo. Avete qualcosa in contrario?
— La cosa mi piace poco — disse Corcoran. — Ma noi non siamo in condizione di discutere.
— È già la seconda volta che dite “noi”. In quanti siete?
— Due.
— Siete pericolosi? Avete armi?
— No, naturalmente. Perché dovremmo avere armi?
— Ah, non lo so. Ma a volte…
— Qui stiamo sprecando del tempo prezioso — gridò Corcoran. — Da un momento all'altro possiamo sfracellarci.
— Avete a portata di mano il pulsante giusto?
— Sì.
— Allora, schiacciatelo.
E lo schiacciò. L'oscurità calò su di loro come una cappa di piombo: un'oscurità che scombussolò il loro senso d'orientamento, come se fossero stati strappati via dalla realtà. Non provarono alcun senso di movimento… non provarono niente.
Poi ci fu un urto leggero. L'oscurità si diradò e cominciò a filtrare la luce dalle finestre e da una porta (o portello) che si apriva in modo da costituire una sorta di passerella incernierata nella parte bassa.
— Suppongo — disse Boone — che questo sia il punto di arrivo.
Si avvicinò alla porta. Al di là si scorgeva un prato, e in fondo al prato una casa: antica e di notevoli dimensioni, costruita di pietre grigie sulle quali cresceva il muschio.
Sul prato c'era un uomo vestito da cacciatore, che correva nella loro direzione. Sotto il braccio aveva un fucile. Al suo fianco, a destra, correva un cagnone allegro, un bellissimo setter dorato. A sinistra c'era invece un mostro a forma di globo, alto quanto lui. Il mostro rotolava senza fretta accanto all'uomo, e procedeva alla stessa velocità. Aveva la superficie completamente coperta di lunghe siine acuminate che luccicavano al sole, ma che, nonostante fossero appuntite, non affondavano nel terreno.
Per un istante, Boone ebbe la sensazione che il mostro camminasse in punta di piedi, ma poi capì che galleggiava nell'aria, e che nel procedere girava lentamente su se stesso.