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— Discutevamo sul da farsi — disse Corcoran. — Quale sarà la nostra prossima mossa? Nessuno di noi ne ha idea.

— Spostarsi non è un problema — disse Muso di Cavallo. — La rete ci può portare dovunque vogliamo andare.

— Potremmo ritornare a Hopkins Acre — suggerì Boone. Rivolse a Enid, un'occhiata interrogativa: — L'idea vi piacerebbe?

Lei scosse la testa. — Laggiù non c'è più niente.

— C'è sempre la stella che abbiamo trovato — disse Boone. — Quella contrassegnata con una X. Ha un pianeta abitato. Lo abbiamo visto con la televisione di Enid.

Muso di Cavallo non parve convinto. — Pensate che sia importante perché ha la X. Anch'io l'ho pensato in un primo momento, ma adesso non ne sono più convinto. La X potrebbe essere un avvertimento di tenersi lontani.

— Non mi era venuto in mente — ammise Boone. — Potrebbe esserlo. Come la croce che veniva tracciata sulla porta degli appestati durante il Medioevo.

— A me piacerebbe visitare il centro della galassia — disse Muso di Cavallo. — Saltiamo sulla rete e andiamo…

Boone balzò in piedi. Dietro Corcoran e Muso di Cavallo, l'aria si era messa a tremolare. Si udì un tonfo sordo. A pochi passi dal tavolino si materializzò un viaggiatore.

Tutti balzarono in piedi, eccetto il Cappello. Il Cappello continuò a sedere senza muoversi.

— Ma quello è il mio viaggiatore! — gridò Enid. — È quello che ho perduto, quello che ho lasciato dietro di me!

— Quello che vi hanno rubato — precisò Corcoran. — Henry ha detto che qualcuno lo ha trascinato via.

— Ma se l'hanno rubato — disse Enid — come può essere qui?

Il portello si spalancò e ne uscì un uomo che si guardò attorno e poi li fissò. Corcoran andò verso di lui. — Martin — disse. — Bella combinazione, incontrarvi qui. C'è anche Stella, con voi?

— No, adesso lei ha altri interessi — rispose Martin. Pareva incerto, confuso da ciò che vedeva.

Enid domandò, tranquillamente: — È lo stesso Martin che custodiva il nostro osservatorio di New York?

— Proprio lui — rispose Corcoran. — È scappato quando gli ho riferito che qualcuno faceva domande su un posto chiamato Hopkins Acre.

— E adesso ha rubato la mia macchina.

— Voi dovete essere Enid, vero? — domandò Martin. — Sì dovete essere proprio voi. Io non ho rubato il vostro viaggiatore. L'ho acquistato dall'uomo che lo ha rubato. Un uomo ignorante. E spaventato. La chiave era ancora dentro, ma aveva paura di girarla. Non aveva idea di cosa potesse succedergli, ed è stato lieto di vendermi il viaggiatore per pochi soldi. E poiché così possedevo due macchine, io ho preso questa, e Stella ha preso l'altra.

— Avete trovato la macchina di Enid, e adesso venite da noi — disse Boone. — Spiegateci come avete fatto.

Martin si guardò di nuovo attorno, poi alzò le spalle. — Ci sono dei modi di trovare le persone… — disse vagamente.

— Ne sono certo — disse Corcoran. — E se c'è una persona che li conosce, quella siete voi. Per chi lavorate, adesso?

— Per nessuno. Per me stesso: lavoro in proprio — rispose Martin.

— E le cose vi vanno bene, suppongo — disse Corcoran, ironico.

— Male non vanno. Non capisco la vostra ostilità, Corcoran. Vi ho sempre pagato bene, vi ho dato un mucchio di lavoro.

— Mi avete sempre fregato — disse Corcoran. — Avete sempre fregato tutti.

Dal viaggiatore fece capolino qualcuno.

— Un Infinito! — strillò Enid. — Avete un Infinito nel viaggiatore!

Martin si voltò verso l'Infinito e gli gridò: — Bravi! Vi ho detto di non farvi vedere prima che vi chiamassi. Ma non potevate aspettare, dovevate guardare! Adesso, tanto vale che usciate fuori.

Tre Infiniti uscirono dal viaggiatore e si fermarono là davanti. Erano creature dall'aspetto strano, alte poco più di un metro e con abiti simili a tonache col cappuccio. Sotto il cappuccio si intravedevano lineamenti volpini.

— Dunque, adesso lavorate per loro — disse Boone.

— In questo momento. Sono dei profughi. Gli Infiniti sono tenuti in una sorta di quarantena da un gruppo chiamato il Centro Galattico, che si è arrogato il diritto, senza averne l'autorità, di imprigionarli sul loro pianeta. Questi tre sono riusciti a uscire. Ho sentito parlare di loro e ho promesso di aiutarli.

Uno degli Infiniti fece un passo avanti e disse con una vocina acuta: — Vi preghiamo di volerci comprendere. Appartenete a una razza a cui abbiamo prestato la nostra assistenza. Abbiamo reso immortale gran parte della vostra razza, che adesso è al sicuro da ogni pericolo. Siamo una razza con alti principi morali, che fa del bene agli altri e non chiede niente in cambio. Ma adesso siamo vittime di un'ingiustizia, e cerchiamo amici disposti a parlare in nostra difesa contro la crudele e ingiusta quarantena…

— Ritenete di essere stati trattati ingiustamente? — domandò Enid, con tono troppo gentile.

— Certo, signora.

— E volete che noi vi aiutiamo?

— È il nostro più grande desiderio.

— Ci avete costretti a fuggire in esilio — disse Enid — e una volta fuggiti, avete inviato dei mostri assassini a cercarci.

— Noi tre, e la maggior parte della nostra razza, non abbiamo niente a che vedere con i mostri assassini. C'era tra di noi una certa frazione, che, gonfia di arroganza…

— E questa frazione gonfia di arroganza è ancora presente?

— Noi riteniamo di sì. Ma non abbiamo niente a che fare con i mostri. Sono un altro problema. Noi tre siamo degli ambasciatori che cercano aiuto e comprensione.

— Fino a che punto siete compromesso in questa faccenda? — domandò Boone, rivolto a Martin.

— Ben poco — rispose Martin. — Io fornisco solo il trasporto.

“Basta” disse una voce, nella loro mente.

— Chi è stato? — domandò Martin, sorpreso.

— È il Cappello — disse Boone. — È il suo modo di parlare, direttamente nella testa, senza preoccuparsi di pronunciare le parole.

— Un momento — disse Enid. — Prima d'ogni altra cosa, voglio che questo Martin mi restituisca le chiavi del viaggiatore.

— Mi pare una richiesta molto ragionevole — disse Corcoran. Fissò Martin, che dopo qualche istante di esitazione, prese di tasca le chiavi e le consegnò a Corcoran, che le portò a Enid.

— Non intendevo fuggire — disse Martin, cercando di ricostruire la sua dignità un po' appannata.

— Certo — disse Boone. Si voltò verso il Cappello: — Mi spiace dell'interruzione. Cosa dicevate?

“Dicevo” riprese il Cappello “che c'è soltanto una destinazione logica per noi. Non il centro della galassia, e neppure la stella con la X, quale che sia. Chi ha mai sentito parlare di una stella simile?”

— Era sulla carta — disse Muso di Cavallo. — C'era una sola stella con una X.

— Quale destinazione suggerireste? — chiese Boone.

— Se intendete andare via — annunciò il robot, uscendo dall'edificio — verrò anch'io. Da troppo tempo sono qui, e ho visto soltanto questo Cappello, che non mi fa molta compagnia. Porterò il forno e gli apparati per la conservazione del cibo. Avrete bisogno di me, se non volete morire di fame. Chi mai può dire dove questo pazzo Cappello vi porterà. Non mangia niente e non conosce le comodità…

— Basta così — disse Boone. — Ci avete convinti. — Si rivolse a Muso di Cavallo e domandò: — La rete ci può portare tutti?

— Certo — disse Muso di Cavallo. — La rete ci porterà.

— Che cosa ne facciamo del viaggiatore? — chiese Enid.

— Qui è al sicuro — disse Muso di Cavallo. — La rete è molto meglio.

— Ma dove andiamo? — chiese Corcoran. — Il Centro Galattico di cui parlavano gli Infiniti sembra un posto interessante, ma occorrerebbe sapere come raggiungerlo.